In Cina più esecuzioni con l'iniezione letale
Il dibattito aperto negli Stati Uniti sulla costituzionalità delle iniezioni letali non scuote le autorità cinesi. L’agenzia di Stato Xinhua riferisce giorno per giorno i punti di vista dei giudici occidentali spaccati tra progressisti e conservatori, usando toni pacati che riaffermano la posizione della Cina: di abolizione della pena capitale non si parla. Non solo: il vicepresidente della Corte suprema, Jiang Xingchang, ha dichiarato che «sempre più condanne saranno eseguite con l’iniezione letale, ammessa in Cina dal 1997 e ritenuta il metodo più umano dalla società nonché dagli stessi condannati a morte e dai loro familiari».
Sebbene la legalità della pena capitale non sia argomento di discussione, a ben guardare si intravedono spiragli significativi. Se è vero che il governo non fornisce dati ufficiali sul numero di sentenze eseguite, nel 2006 ha però restituito la facoltà di giudizio alla Corte Suprema. Si tratta di una svolta radicale con l’obiettivo di contenere il fenomeno diffuso delle condanne ingiuste sentenziate negli ultimi vent’anni dai tribunali locali. E se è vero che, secondo alcuni attivisti, le esecuzioni sarebbero oltre diecimila l’anno, Amnesty International sostiene che dal 2005 al 2006 le condanne capitali sarebbero diminuite del 40 per cento, complici le pressioni della comunità internazionale in vista delle Olimpiadi che si apriranno a Pechino in agosto. «Senza contare che negli anni cinquanta, quando il governo considerava le persone alla stregua di “risorse rinnovabili”, si contavano un milione di casi l’anno», ha ricordato il professor Franklin Zimring, autore di un libro sulla pena di morte in Asia. Con un recente comunicato la Corte Suprema ha sancito che «la pena capitale dovrà essere inflitta soltanto a un ristretto numero di criminali, e con maggior giudizio». Si eseguiranno controlli più severi sui veleni dell’iniezione letale e saranno graziati gli assassini disposti a collaborare con le autorità. Addirittura il giudice supremo Xiao Yang si è sbilanciato rispetto alla posizione ufficiale, dichiarando al quotidiano China Daily che «anche la Cina seguirà la tendenza internazionale verso l’abolizione o la limitazione della pena di morte». Naturalmente non nei prossimi anni, né decenni. Almeno finché la stragrande maggioranza dei cinesi continuerà a credere fermamente – e lo dimostrano i sondaggi – nella legge del taglione. O fino a quando qualche giurista illuminato riuscirà a convincere la leadership che uccidere non è l’unico mezzo per prevenire i reati. Alcuni nomi circolano già sui giornali di tutto il mondo. Xuan Dong, per dieci anni giudice della Corte suprema, che dal 2001 si batte per i diritti umani. Li Heping, avvocato di Pechino, inviso alle autorità per aver denunciato casi di tortura. Li Fangping, famoso per aver difeso un uomo condannato a morte per il furto di un cellulare. Sono espressioni di una nuova mentalità che non potrà non interessare i giovani. Come i giuristi del primo corso sulla pena capitale, avviato dall’Università di Pechino nel 2006, dove per la prima volta autorità accademiche mettono in discussione la tradizione millenaria (secondo cui la vita dell’uomo appartiene al sovrano) con la prospettiva che forse, un giorno, il sistema giudiziario cinese potrebbe cambiare.
[marzia de giuli]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
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[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
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