Italia-Brasile, il calcio è in comune
Un presidente progressista come Lula non poteva che parlare di redistribuzione della ricchezza. L’intento però non era politico. A margine del vertice Italia-Brasile il premier brasiliano l’ha buttata sul calcio e, durante la sua visita a Roma, ha sottolineato che c’è la necessità di redistribuire la ricchezza anche nel calcio perché «in tutto il mondo ci sono dieci club che da soli possiedono tutti i giocatori più bravi». Forse Lula ha sentito l’urgenza di esprimere questo concetto dopo aver incontrato il fior fiore del calcio brasiliano esibitogli da Berlusconi: fuoriclasse come Kakà, Ronaldinho e Pato che militano nella ricca squadra del presidente del consiglio. Ma la crisi economica mondiale travolgerà tutti, ha profetizzato Lula, e anche nel mondo del calcio una regolamentazione si renderà necessaria.
Le cronache sportive degli ultimi giorni sembrano dare ragione al premier brasiliano: uno dei campionati più seguiti al mondo, la Premier League, è in crisi economica e le squadre sono travolte dai debiti nonostante gli investimenti dei paperoni russi e arabi. Questo non è servito a fermare il Manchester United che, nonostante i conti in rosso, ha deciso di stipulare un nuovo contratto con Cristiano Ronaldo per impedire che l’asso portoghese lasci l’Inghilterra per la Spagna. Si vocifera di un compenso che sfiorerà gli 11 milioni di euro l’anno e che porterà Ronaldo quasi in vetta alla classifica dei calciatori più pagati al mondo. Meglio di lui se la passa solo Ibrahimovic che ha appena rinnovato con l’Inter.
«I calciatori più forti, i fenomeni affermati giocano in Inghilterra o in Spagna – ha spiegato Giancarlo Padovan, ex direttore di Tuttosport e adesso direttore editoriale del Corriere di Livorno – e lo fanno non tanto per la qualità del gioco superiore ma per questioni di carattere economico. In Italia la tassazione è troppo alta, come del resto anche in Francia, mentre Inghilterra e Spagna sono favorevoli sia al club che al giocatore che può percepire ingaggi ancora più alti». L’Italia è piena di squadre medio-piccole, guidate perlopiù da imprenditori locali, che hanno limitate risorse economiche rispetto ai magnati della finanza che possiedono squadre come il Manchester o il Chelsea. «I grandi magnati della finanza si trovano all’estero e non in Italia –dice Padovan –. Questi ricchi milionari russi e arabi investono cifre esorbitanti per comprare i calciatori migliori, anche se le società sono fortemente indebitate. In Italia nessuno può permettersi di agire così perché il fisco attua dei controlli».
In Italia molte piccole società hanno dimostrato di poter competere con i grandi club all’interno dello stesso campionato anche senza nomi eccellenti. «I grossi club italiani, come l’Inter o il Milan, acquistano grandi campioni – ha spiegato Padovan – ma non è detto che vincano. La tendenza si è invertita soprattutto negli ultimi anni, anche a seguito degli scandali che ci sono stati, quando anche le squadre minori hanno iniziato a essere competitive. La situazione è cambiata perché ci sono sempre meno soldi e le differenze tra squadre si sono ridotte. L’attuale classifica di serie A lo dimostra: ci sono otto squadre diverse ai primi posti e tra esse troviamo società considerate minori come l’Udinese, il Napoli o la Lazio». Abituati a pensare in termini di grandi campioni, compensi record e calcio spettacolo, forse i calciofili si sono dimenticati che la qualità del gioco non dipende solo dalla presenza del fuoriclasse di turno. Dopotutto il calcio è uno sport di squadra. «Si parla di calcio come se fosse uno sport individuale ma il valore della squadra è importante in ogni fase del gioco. Squadre come il Genoa, l’Udinese o la Lazio hanno dimostrato che chi si affida ad un collettivo omogeneo è competitivo quasi come le grandi».
Il presidente Lula si preoccupa per la partenza dei suoi campioni ma il Brasile non è l’unico vivaio dove procuratori e squadre europee possono pescare talenti. L’Africa negli ultimi anni è diventata il crocevia del calciomercato mondiale, dove migliaia di giovani giocano a calcio con la speranza di poter emigrare in Europa e cambiare la loro vita. Un mercato immenso che i procuratori europei hanno deciso di sfruttare al massimo, a volte a scapito delle regole. Il successo dell’ultima Coppa d’Africa 2008, svoltasi in Ghana, e gli imminenti mondiali del 2010 in Sudafrica hanno esasperato il fenomeno portando alla nascita di un vero mercato di talenti bambini. Corrado Zunino, giornalista di Repubblica tv, ha realizzato un reportage su questo argomento ed è andato in Ghana per vedere come stanno le cose. «L’Africa è un continente molto più povero dell’America latina – ha spiegato Zunino – e il calcio rappresenta una scoperta relativamente recente, che risale agli anni ‘70. Basti ricordare che la prima squadra africana a partecipare ad un campionato del mondo è stata lo Zaire nel 1974. Eppure, oggi, in Africa, si gioca a calcio ovunque, in campi creati sulla spiaggia, nelle discariche, per le strade. La spinta a giocare è forte e lo è anche quella ad emigrare, non solo per una questione economica ma anche culturale. L’Africa ha fatto propria la cultura del calcio». Nella capitale Accra centinaia di procuratori affamati e senza scrupoli vanno a caccia del talento da portare in Europa. Ma spesso è gente senza alcuna competenza. «Esiste uno sfruttamento da parte di procuratori africani ma anche europei – ha detto Zunino –, gente che non riesce a lavorare nel mercato europeo perché non è inserita nei canali giusti. Vanno a cercare il colpaccio in Africa e spesso a pagare sono i ragazzi e le loro famiglie. Capita che gli anticipino due o tre mila euro per il viaggio in aereo e poi, se non riescono a piazzarli in qualche grossa squadra, pretendono di riavere i soldi dalle famiglie povere che si vedono costrette a vendere la baracca dove vivono».
Il Ghana dopo la Coppa d’Africa è diventato il centro africano del calcio internazionale: ragazzi dai 12 ai 19 anni arrivano da tutta l’Africa centrale per trovare un ingaggio che li possa portare in Europa. Sognano soprattutto la Premier League inglese e squadre come il Chelsea e il Manchester United. Se l’età non è quella giusta non ci sono problemi, con 250 dollari si va all’anagrafe o alla questura di Accra ed è servito un passaporto falso. «Bisognerebbe trovare un modo per controllare questo tipo di immigrazione – secondo Zunino – ma le federazioni internazionali, come Fifa e Uefa, non hanno un potere reale su questo. Platini si è impegnato molto a regolamentare i minorenni: sotto i 18 anni non può spostarsi più nessuno, nemmeno all’interno della stessa nazione. Ci vorrebbero delle decisioni uniche applicabili in tutta Europa, invece finora sono state fatte solo leggi farraginose e inutili da chi non conosce la natura del fenomeno. I club europei e i vertici calcistici hanno tutto l’interesse a regolamentare l’immigrazione calcistica». I talenti stranieri devono avere dunque la possibilità di giocare in Europa, a patto che non vengano sradicati ancora minorenni dalle loro famiglie, perché molti di loro abbandonano la scuola e il lavoro per seguire il loro sogno europeo. Ma non tutti sono Drogba e Eto’o e, al loro arrivo in Europa, anziché un campo da calcio potrebbe attenderli la strada.
[michela nana]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
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[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
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