La parola ai romeni
Negli ultimi giorni l’Italia è stata sconvolta dall’esplosione della “questione romena”. Dal giorno del delitto di Tor di Quinto in poi, tutti i mass-media si sono lanciati ad approfondire l’argomento, interpellando sociologi, psicologi, sacerdoti e chi più ne ha più ne metta. Ma cosa pensano loro, i romeni? È la domanda a cui ha cercato di rispondere Mag, raccogliendo una serie di testimonianze dirette.
Corina, nata a Deva 20 anni fa, è arrivata in Italia nel 2004, seguendo i genitori che si sono trasferiti a Milano per ragioni di lavoro, e ora studia Lingue all’Università Cattolica.
Come ti trovi in Italia?
«Nel corso dei tre anni di liceo sono riuscita a crearmi buoni rapporti sia con i compagni sia con i professori, ma all’inizio è stata dura. Mi sentivo giudicata dagli altri ragazzi per la mia provenienza ed è capitato che anche gli insegnanti facessero riferimenti o battute cattive. Ovviamente dipende sempre dalle persone che si incontrano, che possono essere più o meno razziste e darlo più o meno a vedere, ma ho passato parecchio tempo sforzandomi di dimostrare che si può essere diversi, che io sono diversa».
Diversa da chi?
«Dall’immagine che la gente ha dei romeni. Solo dopo un po’, quando mi hanno conosciuto meglio, gli altri sono riusciti a vedermi per quello che sono davvero. Il primo periodo è stato piuttosto difficile proprio per questo motivo».
E adesso?
«Frequento l’università dallo scorso ottobre e finora non ho detto a nessuno che sono romena, lo sa solo una mia compagna di liceo che studia con me. Ho paura di rovinare i rapporti di amicizia appena nati. Questo non vuol dire che mi vergogno delle mie origini: se mi chiedessero da dove vengo non avrei problemi a rispondere, anche perché dall’accento si capisce che non sono italiana. Però non me ne vanto».
Dopo quello che è successo a Roma, hai notato dei cambiamenti nell’atteggiamento degli italiani verso di te e la tua famiglia?
«Gli italiani che ci conoscono sono delle brave persone e in questi giorni ci sono stati molto vicini. Ci hanno detto che non importa quello che si sente in giro, per loro non cambia niente. Hanno capito che per noi non è un bel momento».
Spesso si fa confusione tra rom e romeni. È giusto distinguere oppure no?
«Certo, bisogna distinguere nettamente. Loro sono molto diversi da noi per cultura: non vivono come noi, non lavorano e non vanno a scuola come noi. Si isolano in Romania esattamente come fanno in Italia. Voi italiani dovete capire che anche noi facciamo fatica a vivere accanto ai rom. Non c’entrano nulla con i romeni».
A distinguere ci tiene anche Annamaria, originaria di Constanta, che è stata molto diretta non appena ha saputo l’argomento dell’intervista.
«Non posso dire molto, perché la mia è una realtà particolare: sono stata data in affido a una famiglia italiana, per motivi personali, 18 anni fa, e ora ne ho 21. Mi sento italiana a tutti gli effetti, manca solo la cittadinanza, che però dovrebbe arrivare tra pochi giorni. Quindi cerco di tenermi ben alla larga dalla questione romena, come pure dai romeni, che non mi piacciono per niente. So che tra loro si trova anche brava gente, ma capisco benissimo il punto di vista degli italiani. La paura è tanta. Le persone oneste continuano a ripetere “Non siamo tutti così”, ma personalmente non ritengo che valga la pena di rischiare. Ripeto: ho paura».
La paura di cui parla Annamaria è la stessa che, da qualche tempo a questa parte, una sua connazionale legge negli occhi di chi la guarda. Mariana viene dal nord della Romania, dove tre anni fa ha lasciato un figlio e un nipotino appena nato per venire in Italia a lavorare come badante.
Com’è stato l’impatto con la realtà italiana?
«Senz’altro positivo, anche se dipende dagli italiani con cui si entra in contatto: diciamo che io sotto questo punto di vista sono stata quasi sempre molto fortunata».
Ultimamente qualcosa è cambiato?
«Sì, negli occhi della gente. Nessuno mi ha parlato esplicitamente, ma ho la netta impressione di non essere simpatica a molti italiani: mi guardano con freddezza, con diffidenza, e anche quando si sforzano di essere gentili io capisco che non sono sinceri fino in fondo, come se non avessero il coraggio di esprimere quello che pensano veramente. Prima questi comportamenti non erano così evidenti. Noi romeni ci sentiamo umiliati, soprattutto perché non siamo noi i responsabili di quello che è successo».
Cosa intende?
«Parlando con i miei datori di lavoro, persone intelligenti che hanno completa fiducia in me, mi sono resa conto di una cosa: voi italiani non capite che tra noi romeni e i rom c’è la stessa differenza che esiste tra cielo e terra. I rom, che è come dire gli zingari, se ne vanno dalla Romania perché da noi la legge è troppo dura. Si comportano in Romania esattamente come in Italia: vivono nelle baracche e rubano. La differenza sta nel fatto che là, quando vengono colti in flagrante, finiscono in carcere per anni e se cercano di ucciderci noi romeni reagiamo, spesso uccidendoli. Li conosciamo troppo bene e sappiamo come difenderci: ecco perché vengono da voi. Per questo mi arrabbio quando sento bollare i romeni come criminali. A chi me l’ha detto nei giorni scorsi ho risposto: “Fammi vedere un romeno, un vero romeno, che abbia commesso un crimine”».
[lucia landoni]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
guarda l'intervista
[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
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