Somalia, l'inferno dei giornalisti
Sono otto i giornalisti uccisi in Somalia dall’inizio dell’anno, tre negli ultimi mesi, minacce di morte e aggressioni che ormai sono all’ordine del giorno. Sullo sfondo un paese che da oltre dieci anni convive con il caos e con la guerra. È questa la drammatica situazione in cui sono costretti a lavorare i giornalisti somali. Il 19 ottobre l’ultima vittima, Bashir Nur Gedi, direttore dell’emittente radiofonica Shabelle.
I killer non sono stati identificati, e come già successo in circostanze analoghe probabilmente non lo saranno mai.
La Somalia, dopo l’Iraq, è il luogo più pericoloso al mondo per un giornalista. Ma perché si vogliono colpire i reporter? Spiega Mustafa Rashid, giornalista del Somaliland Times: «I responsabili di questa situazione sono le forze che hanno il controllo della capitale, il Governo Federale di Transizione (TFG) e l’Etiopia. Sono loro che non vogliono far sapere al mondo quello che sta succedendo a Mogadiscio. La situazione per i giornalisti è difficile, le redazioni dei media sono assaltate dalle truppe etiopi o dai soldati governativi, i giornalisti spesso assediati nei loro uffici per giorni. Nessuno però ha il coraggio di incolpare direttamente le forze governative. I reporter delle testate occidentali come Reuters e AP sanno cosa succede ma non lo dicono. Ma non me la sento di biasimarli, qui è davvero pericoloso.
Le forze governative – prosegue Rashid - hanno accusato degli omicidi i ribelli islamici ma ciò non corrisponde al vero. Quando le Corti Islamiche erano al potere non ci sono mai stati incidenti. Perché dovrebbero cominciare a uccidere i giornalisti ora?». Più prudente nell’attribuire responsabilità, Baabul Nour, webmaster di Shabelle.net (la testata diretta da Bashir Nur Gedi). Anche lui, come altri colleghi, ha subito minacce di morte: «Quasi ogni giorno riceviamo telefonate intimidatorie e uscire di casa è molto pericoloso. Il motivo di questa situazione è l’instabilità politica. La Somalia, di fatto, non ha un governo da 16 anni. Tutte le parti in guerra sono colpevoli perché nessuna di esse gradisce che siano rese pubbliche le proprie vittime. Non saprei dire se gli attacchi ai reporter diano un vantaggio alle forze governative o ai ribelli ma chiunque uccide un giornalista compie un crimine orribile». Ma cosa può fare la comunità internazionale per fermare questa caccia ai cronisti? Amnesty International, Reporter Sans Frontieres e anche l’UE hanno preso posizione condannando gli omicidi e chiedendo che le autorità si decidano ad individuarne i responsabili. Ma per il momento, secondo Baabul Nour, sono solo parole: «Da queste istituzioni finora sono arrivate solo dichiarazioni. Si può fare di più».
[luca aprea]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
guarda l'intervista
[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
LIBERTÀ DI INFORMAZIONE
alle 12.11.07
Etichette: africa, giornalismo
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