Fallita la ricostruzione in Iraq
Cifre truccate per gli addestramenti di soldati iracheni inesistenti e sprechi per 117 miliardi di dollari sui documenti del Pentagono. Il fallimento statunitense è certificato da Hard Lesson, il rapporto dell’ufficio dell’ispettore generale per la ricostruzione in Iraq a 5 anni dall’invasione, finito nelle mani del New York Times che ne ha fatto il titolone della domenica e che lo ha pubblicato integralmente sul suo sito. Nelle 513 pagine che mettono a nudo tutti gli errori e gli orrori della ricostruzione statunitense in mesopotamia, il passaggio dedicato all’alterazione dei livelli delle forze di sicurezza è quello più clamoroso. Secondo Colin Powell, ex segretario della difesa «il Pentagono inventava 20 mila unità la settimana».
Tutti i soldi spesi per ricostruire la democrazia nel ex regno del rais Saddam Hussein, tra cui 50 miliardi, presi direttamente dalle tasche dei contribuenti, sono stati usati per riparare i danni dell’invasione e le devastazioni che seguirono. Il resto è stato impiegato per lubrificare la fitta rete di clientela e corruzione per poter governare il Paese nei mesi successivi all’invasione, quando non si capiva quale autorità dovesse essere rispettata. Il rapporto a proposito di questo sistema di corruttela parla di “gestione alla Soprano ”(riferendosi al popolare telefilm basato sulla mafia italoamericana). Dal rapporto emerge che dopo 5 anni di “democrazia” in Iraq si produce meno petrolio di quanto se ne producesse prima, è aumentata del 10% la produzione di energia elettrica e si è dato accesso all’acqua potabile ad una fetta più larga della popolazione, ma senza garantire sicurezza sulla sua possibile contaminazione. Le reti di telecomunicazione fissa, danneggiate dalla guerra, hanno spinto gli iracheni ad acquistare più telefoni cellulari, ma resta incerto il numero di soldati addestrati e messi a disposizione degli Usa.
Il rapporto ha fatto infuriare l’opinione pubblica americana. Il tutto mentre George W. Bush, durante la sua quarta visita ufficiale a Baghdad, era costretto a schivare le scarpe di un giornalista iracheno esasperato per la sua dichiarazione «la guerra in Iraq non è ancora finita».
Il rapporto Hard Lesson, basato su oltre 500 interviste e 600 revisioni, ispezioni e controlli mirati, mostra come il costosissimo progetto di ricostruzione, secondo per volume di investimenti solo al Piano Marshall , fosse incerto sin dall’inizio. Le pagine trasmettono il senso del caos assoluto che precedeva le decisioni riguardo agli obiettivi della ricostruzione, oltre che la facilità con cui i lobbisti potevano esercitare pressione per ottenere fondi per generici “nuovi progetti di ricostruzione”. «Dopo aver letto la bozza del rapporto mostrata dal Times – dice Mario Biasetti, corrispondente della Fox statunitense a Roma – la democrazia, la pace interna, la prosperità e il circolo virtuoso da mettere in moto credo che per adesso restino solo dei bei sogni. La presenza statunitense in medio oriente si spiega sotto vari punti di vista e il processo di democrazia non è qualcosa che si impara in poco più di 24 ore. Certo è che un obiettivo così alto come quello di esporttare la democrazia in un Paese che esce da una dittatura deve essere come minimo pianificato».
Sono morti più di 4 mila soldati stars and stripes e decine di migliaia di iracheni per quella che qualcuno interpreta come la guerra per il petrolio e che ad altri sembra un’azione di geopolitica.
[roberto dupplicato]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
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[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
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