G8, prove generali di golpe
Quando sullo schermo appare Gianfranco Fini che, da vice-presidente del Consiglio nel luglio 2001, nega la responsabilità delle forze dell’ordine nei disordini del G8 di Genova, un grido pieno di rabbia, chiaro e distinto, si leva dal fondo del salone: «Bastardo!». Tanto è il senso di ingiustizia legato al ricordo dei soprusi subiti in quei giorni, alla Camera del Lavoro di Milano per la presentazione del film documentario Fare un golpe e farla franca, di Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio con Mario Portanova.
In realtà, Fini, Luciano Violante e Roberto Castelli (allora ministro della Giustizia), non hanno voluto dare la loro testimonianza su quei tre giorni, dal 19 al 21 luglio, in cui la Costituzione venne messa da parte, secondo gli autori. Il documentario osserva dal punto di vista di chi visse dall’alto, da ruoli istituzionali, quelle ore drammatiche, in cui, secondo Deaglio «venne messo in atto per la prima volta in Italia un modello di repressione che può sempre tornare buono». L’intento è dimostrare che tutto rispondeva a una logica militare golpista: 18mila poliziotti schierati, carceri svuotate per fare posto a cinquemila possibili arresti, duecento body bag pronte, l’ospedale di San Martino attrezzato a camera mortuaria, l’impedimento di ogni contatto con legali e familiari per i fermati, una campagna di tensione in cui si parlò persino di sacche di sangue infetto che i no global avrebbero lanciato negli scontri con la polizia.
Dal palco l’eurodeputato Vittorio Agnoletto (Prc-Sinistra europea) punta il dito contro l’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro che, in una telefonata con Bertinotti, definì l’operazione alla scuola Diaz «un normale controllo del territorio». La sua analisi è politica: «Era un uomo scelto dal precedente governo di centro sinistra e tutta la catena di comando delle operazioni non era la parte di destra della polizia. A Genova la polizia ha giurato fedeltà al capo del nuovo governo; l’episodio della scuola Diaz è il suo biglietto da visita. Quei funzionari sono stati tutti promossi e il centro-sinistra non ha neppure fatto una commissione d’inchiesta parlamentare». Lorenzo Guadagnucci è un reporter che la notte di sabato 21 venne malmenato dalla polizia nella scuola Diaz: «L’assoluzione dei funzionari e la condanna dei sottoposti fa passare l’idea che i capi si siano fatti “turlupinare” dai poliziotti semplici, che avrebbero organizzato tutto. Se poi sono stati addirittura promossi vuol dire che viviamo in una democrazia menomata o di tipo autoritario». L’autore di Noi della Diaz (Berti-Altrecononomia), si riferisce soprattutto a Francesco Gratteri, allora guida del Servizio Centrale Operativo della Polizia e ora capo dell’Anticrimine, che al processo Diaz si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Enrico Deaglio spiega che, nonostante l’approfondito lavoro di indagine, rimangono zone d’ombra. L’ex direttore di Diario dissente da Agnoletto: «Non si può dire con certezza che Placanica abbia coperto qualcuno più alto in grado». E da Haidi Giuliani: «I black block erano almeno 500, non di meno», «furono lasciati liberi di agire, ma non sappiamo se fra di loro vi fossero infiltrati». La Costituzione divenne carta straccia, ma per Deaglio il G8 fu «la prima esplosione di una democrazia visiva, nonostante per i giornalisti le condizioni fossero pessime. È così passata una doppia immagine degli scontri del G8 e il servizio trasmesso dal Tg1 il 26 luglio fu un buon atto di autonomia rispetto al governo, atto che sicuramente il governo non gradì». Quel servizio mostrava infatti le forze dell’ordine infierire su persone inermi, una realtà che Haidi Giuliani commenta così: «Quello di Carlo è stato l’unico gesto di resistenza, forse». Per arrivare a un’amara considerazione: «Sette anni fa ci impegnavamo per un mondo migliore, alternativo alla legge dei mercati globali. Oggi ci stanno facendo credere che questa sia l’unica realtà possibile e forse noi non stiamo combattendo abbastanza».
[daniele monaco]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
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[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
DOCU-FILM
alle 16.12.08
Etichette: cinema, giornalismo
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