Al Piccolo di Milano il dilemma dell’uomo moderno
«Il tema della morte è un tabù nella nostra società. Basti pensare ai dibattiti sul testamento biologico che invece di affrontare il problema reale, spostano l’attenzione dei cittadini aggrappandosi agli aspetti più futili». Il duro attacco di Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro, trova rassicurazione nel lavoro di artisti come Pietro Carriglio, che ha offerto la propria creatività coordinando l’aspetto registico e scenico della rappresentazione di una nuova edizione di Amleto. Il capolavoro shakespeariano, appena conclusa la tappa genovese, si ferma a Milano da questa sera e ci terrà compagnia fino all’8 marzo. Questo Amleto è inevitabilmente impregnato di lutto: non solo a livello di azione scenica, ma anche «per quel che riguarda il tramonto del senso delle cose in un mondo ora dominato dalla finzione e dalla simulazione», come scrive Alessandro Serpieri, autore di una nuova traduzione del testo.
Il gruppo di attori si è imposto come obiettivo un lavoro simbiotico: la vicinanza anagrafica e il comune bagaglio di esperienze ha permesso ai componenti della compagnia del Teatro Biondo di Palermo, di collaborare con i colleghi del Teatro Stabile di Catania. Una compagnia che da tre anni lavora per valorizzare la propria terra d’origine esportandone i valori nelle altre regioni. Il legame indissolubile di Carriglio con la sua Sicilia è poi stato trasposto in una personale ricerca sulla vera struttura del teatro di Shakespeare, che Carriglio vorrebbe “incarnare” nella città di Palermo.
Infatti, il regista aveva presentato un progetto che avrebbe dovuto svolgersi nelle tre piazze che ruotano intorno al centro storico della città. Per problemi logistici ed economici la realizzazione si è arenata, ma «non ci arrendiamo, perché il nostro scopo è far sì che l’Unesco riconosca il centro storico di Palermo come patrimonio dell’umanità». La salvaguardia di aree urbane così ricche dal punto di vista storico e culturale è un messaggio che, secondo il regista, andrebbe esteso a tutto il nostro Paese, non solo per una questione di riassetto organico, ma soprattutto per il rispetto di tradizioni e testimonianze architettoniche. Il regista ripensa al Nos Milan, definendola una «sublime visione di Milano, un tentativo estremo di salvarla». Il teatro diventa così il mezzo per recuperare le nostre origini urbane e il Piccolo è e vuole essere il simbolo del legame con la città, per «un’economia della cultura, e non per una cultura dell’economia», come sottolinea Escobar, unendosi a Carriglio nella valorizzazione del ruolo sociale «dell’uomo di teatro che non sta chiuso nel teatro», ma che invece pone la propria arte al servizio della collettività.
Intanto l’Amleto di Carriglio viaggia e arriva allo Strehler in una veste nuova. Il regista ha affrontato questa tragedia più volte: già nel 1982 in We like Shakespeare rifletteva sulla crisi dell’uomo rinascimentale. La nuova lettura è stata sperimentata per la prima volta nel 2006 a Gibellina, in un suggestivo scenario: Amleto era di fronte ad un’enorme montagna di sale e la scalata del re incontrava a metà strada un violoncello. Metafisica e metafora musicale per spiegare l’uomo.
Per realizzare quest’ultima versione, Carriglio ha deciso di ripartire da zero, per arrivare ad una semplicità estrema. «Siamo ai confini del mondo, giunti ad un punto dal quale non si ritorna. È un’ u-topia, cioè un non-luogo. La pedana basculante sulla quale si muovono i protagonisti esprime appieno l’idea di sospensione, di un confine senza confini, di infinito». Tra gli interpreti, Galatea Ranzi, enfant prodige nella Mirra di Alfieri, Luciano Roman e Luca Lazzareschi, che ha parlato della complessità nella costruzione del personaggio. «Amleto vive di opposti, di contrasti. Bisogna “farselo amico” per riuscire ad entrare nella sua doppia follia, che lo porta a lottare con il mondo femminile e con se stesso. La sua pazzia è duplice, in parte reale e in parte distorta». L’Amleto di Cariglio è un antieroe moderno, in crisi con la propria anima e con il mondo, e che incede col passo tremulo di chi sta in equilibrio su un filo sospeso nel vuoto.
[vesna zujovic]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
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[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
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