Il nuovo rapporto della Fao, diventato ormai più un grido di dolore che un allarme, dimostra che la quota complessiva degli esseri umani sottonutriti invece di diminuire ha ripreso ad aumentare: ad oggi sfiora il miliardo. Il conteggio si ferma infatti a 963 milioni. Rispetto al 2007 altri 40 milioni di persone, quasi quanto l'intera popolazione della Spagna, è scivolata nel baratro della malnutrizione. Due anni fa erano addirittura 115 milioni in meno. E per questa situazione non si intravedono spiragli di miglioramento. Il bilancio potrebbe anzi precipitare nel breve periodo a causa della crisi finanziaria mondiale i cui effetti già si manifestano nell'economia reale. Il rapporto della Fao ci indica anche che il 65% degli affamati dell'intero globo vive in appena 7 paesi divisi tra Asia e Africa sud-sahariana, dove una persona su tre è cronicamente sotto la soglia di nutrizione. Si parla di stati come India, Cina, Indonesia, Bangladesh, Pakistan, Etiopia, e Congo. Quest'ultimo ha fatto registrare l'aumento più significativo: dal 29% al 76% della popolazione a causa del perdurare dei conflitti interni. Inoltre negli ultimi mesi, in 25 stati sono scoppiate rivolte e sommosse per il cibo.
Ad aggravare l'emergenza è l'andamento dei mercati: quando le quotazioni dei prodotti alimentari sono alte i consumatori più poveri non possono permettersi la spese. Se invece i prezzi si abbassano sono i contadini che non riescono a sopravvivere. Non a caso anche Benedetto XVI, all'interno del suo tradizionale messaggio per la giornata della pace aveva esplicitamente dato la colpa della crisi alimentare alla speculazione dei mercati e non alle carenze produttive o al sovrappopolamento della Terra. Il pianeta può infatti produrre cibo per circa il triplo della sua popolazione attuale. Il problema resta l'attuale distribuzione tutta a favore dei paesi ricchi e le speculazioni meramente finanziarie che gonfiano i prezzi senza considerare gli effetti devastanti sulle popolazioni più povere. Secondo Hafez Ghanem, vicedirettore della Fao e curatore del rapporto, «se i costi alti e la stretta creditizia della crisi economica costringeranno gli agricoltori a diminuire la semina, l'anno prossimo potrebbe verificarsi un’ondata di prezzi alimentari alti ben peggiore di quella registrata nel 2008».
Per salvare gli affamati servirebbero 30 miliardi di dollari l'anno, poca cosa in confronto alle spese per gli armamenti o alle cifra stanziate per ammortizzare la crisi economica. Basti pensare che questa cifra equivale ad appena l'8% dei finanziamenti annuali dell'Ocse all'agricoltura. «È urgente favorire lo sviluppo dell'agricoltura nel Sud del mondo - dice Ghanem - nella direzione di una agricoltura locale sostenibile e non solo intensiva per l'esportazione». Questo è l'unico rimedio per contrastare il fenomeno a lungo termine. Perché, se è vero che i meccanismi di controllo delle emergenze del World Food Programme riescono, in genere, a togliere abbastanza in fretta dai telegiornali le immagini dei bambini scheletrici coperti di mosche o con la pancia piena d'aria, è anche vero che esiste un'altra fame ben più subdola. Non è quella che uccide in pochi mesi ma quella che, tanto più quando è cronica, nega a una fetta enorme dell'umanità le energie sufficienti a vivere e dunque schiavizza il pensiero, indebolisce il sistema immunitario e impedisce il lavoro. Distruggendo così le speranze e le reali possibilità di sviluppo di un Paese.
Di fronte al disastro, forse non è più tabù mettere in discussione sia il modello di sviluppo economico, sia il sistema di aiuto ai paesi del terzo mondo. E bisogna fare questo, non tanto per rispettare lo slogan degli obiettivi del millennio, slogan ormai quasi compromesso, ma per dare un futuro a più di un miliardo di persone.
[raffaele buscemi]