SAGGIO

Un pezzo a me, uno a te: come ti spartisco l'Italia

Lottizzare, ovvero dividere in lotti. Lotto: ognuna delle parti in cui un tutto viene diviso; in particolare, appezzamento di terreno corrispondente a una determinata unità edilizia. Insomma, cosa c’entra un termine derivato dall’edilizia con le estensioni della politica italiana? Lottizzazione della Rai, della sanità e chi più ne ha ne metta. L’etimologia della parola non lascia scampo a equivoci, ma ci pone davanti a un quesito fondamentale. Il Belpaese è lottizzato? Ovvero, è suddiviso, spartito, ritagliato, quotato e assegnato alla gestione di qualcosa o qualcuno?

La risposta non può che essere, ahimè, positiva. In soccorso, però, viene una lettura illuminante, L’elogio della lottizzazione (Saggi tascabili Laterza) di Paolo Mancini, docente di Comunicazione all’Università di Perugia e alla Luiss di Roma. La spartizione dei poteri da parte delle forze politiche del Paese è un dato di fatto assodato da tempo. La Rai è, infatti, il più grande esempio di questo processo di falsa coscienza marxiana; resta dunque da chiedersi quale sia il movente che abbia spinto Mancini a comporre un saggio su una questione arcinota. Scrive Mancini nell’introduzione al volume: «Tutti condannano la lottizzazione; ma tutti, in misura maggiore o minore, ancora la praticano? Perché? Non vale forse la pena di indagare le ragioni di questa inesorabile presenza e possibile falsa coscienza?». L’intento di Macini dunque è proprio quello di entrare nei meandri, non solo negativi, del fenomeno: «Sì, un processo alla lottizzazione. Questo è quello che voglio fare, con tanto di avvocato difensore e pubblica accusa». Il titolo del libro è chiaramente una provocazione di sottile ironia, eppure sembra che nel dna del politico della seconda Repubblica sia ormai radicato profondamente il gene lottizzatore. Come notava, ironicamente, Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera il 16 gennaio scorso, la signora Mastella ha addirittura rimproverato al marito l’assegnazione di un posto da primario di ginecologia a un medico di Forza Italia. Ma dove vogliamo andare se perfino gli uteri seguono le ragioni di partito?

Sicuramente ci può essere un velo di compassione nell’analisi del fenomeno lottizzatorio. Con la discesa in politica del Cavaliere, a braccetto col suo conflitto di interessi, è probabile che il fenomeno lottizzatorio venga letto con un tacito assenso pluralistico dei canali informativi. Ma Mancini scava ancora più a fondo nella questione e pone come punto di partenza il 1987, con un racconto tratto a sua volta da Senza rete di Angelo Guglielmi. Secondo gli autori, l’era della lottizzazione ebbe inizio una sera in un ristorante romano vicino al centro quando Walter Veltroni, allora responsabile dei problemi televisivi del Pci, Biagio Agnes, direttore generale della Rai ed Enrico Manca, presidente del consiglio d’amministrazione di viale Mazzini, trattarono la facoltà di designazione di un direttore di rete al Pci. Fu il punto di non ritorno. Già. Perché, se da principio motore ci potrebbe essere la pulsione pluralistica, l’incancrenirsi del fenomeno lo ha ricoperto di accezioni patologiche irreversibili. Però, se la lottizzazione ha colpito di tutto un po’, il fiore all’occhiello rimane la questione della Rai. Scrive Mancini nel primo capitolo: «Lottizzare la Rai significa non solo controllare risorse e distribuire ai propri clientes, come avveniva nel caso di qualsiasi altra azienda o amministrazione pubblica, ravvivando così il clientelismo e la partitocrazia, ma significa anche agire su una delle leve principali della democrazia: il consenso». Insomma, la Rai è il sancta sanctorum del «prendere due piccioni con una fava». Vale a dire, da un lato si ottempera alla necessità di partito, dall’altra si va dritti al cuore dell’opinione pubblica: l’influenza mediatica.


[francesco cremonesi]

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