Durante la lettura emerge però un interrogativo legato all’essenza stessa del processo analogico. Propria dell’analogia è la capacità di esaltare le vicinanze tra due elementi dimostrandone però accuratamente le differenze: «Riconosco che nella lettura di questo volume si possa correre il rischio della prevalenza della congiunzione nel processo analogico – spiega l’autore – . La passione verso gli autori mi ha portato all’esaltazione di queste affinità. Resta comunque l’analisi delle differenze tra i tre. Il Gesù che parla nel volume è quello di Giovanni, passato attraverso la lettura di Pareyson e Cacciari, mentre Socrate è assolutamente platonico. Lao Tzu invece è stato letto personalmente, grazie alla pratica delle arti marziali (Tomatis infatti è istruttore di Kung Fu ndr), filtrato quindi attraverso l’esperienza». Le distanze di cui parla Tomatis sono incarnate, per esempio, dalla lingua con cui Lao Tzu si esprime. Continua Tomatis: «Il suo linguaggio è fatto di ideogrammi, un elemento che, nella sua apparente scleroticità, riesce a rendere maggiore il senso del divenire proprio perché apre una visione più allargata della realtà». Nella struttura dialogica compare anche un quarto personaggio, Aurora, voce dell’uomo posto di fronte all’esperienza mistica: «La comunione delle posizioni avvicinate dagli interlocutori avviene attraverso Aurora, una sorta di Sofia biblica – continua l’autore – ; così, queste affinità si mostrano vicine non per comparazione o mediazione, quanto nell’occupare uno spazio dialogico superiore e indicibile».
L’operazione svolta da Tomatis, oltre che essere sicuramente coraggiosa, ha il pregio di percorrere il binario fondamentale dell’attività filosofica: la capacità di osare. «Il filosofo deve osare e per scrivere così come Tomatis serve audacia –lo dice il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, filosofo anche lui –. Le domande dell’uomo restano sempre quelle, e sono quelle che tutte le confessioni ci hanno posto: ecco, questo libro le mette di nuovo sul piatto e le espone con un linguaggio del tutto particolare. Filosofia non è osare per sciocca presunzione, perché non si ottiene mai una risposta definitiva». Il perché la speculazione filosofica sia tutta una scommessa, uno spingersi oltre, lo chiarisce Cacciari stesso. «Perché congiunge, cioè avvicina realtà diverse». E lo fa in vari modi, come nel caso di René Guinon che va alla ricerca delle fonti comuni da cui deriva tutta la storia del pensiero. Tomatis, invece, secondo Cacciari, «non dà voce a una tradizione bensì cerca queste affinità attraverso un esercizio di comparazione e analogia». Analizzando le scelte linguistiche di Tomatis, Cacciari risale il concetto di analogia con cui l’autore ha avvicinato i tre protagonisti dei dialoghi: «Tomatis procede per analogia e questa ci mostra come due realtà possano avvicinarsi anche senza incontrarsi mai, come, ad esempio, per l’amore rinascimentale o per l’amicizia stellare di Nietzsche». Continua Cacciari: «Gesù, infatti, parla da teologo: e questo Gesù teologo è il Gesù di Giovanni, a cui, d’altra parte, si sono sempre riferiti Hegel o Ratzinger. Ma il senso del logos evangelico, della “parola” di Giovanni, è diverso, da non confondersi assolutamente con il “pensiero”, il logos classico. Questo perché la concezione divina classica non ha nulla a che vedere con quella cristiana». In sostanza, un dio-logos e verbo, che si fa carne e che viene ad abitare in mezzo a noi, mette in luce la paradossalità e la forza stessa del cristianesimo.
[francesco cremonesi]
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