Lella Costa è una donna che ha dell’incredibile. Ripercorrendo la sua lunga carriera teatrale e riprendendo i soggetti del suo ultimo lavoro da scaffale, scarta personaggi mitici e universali come fossero caramelle: spiega e riesce, come sul palco, a raccontare di archetipi e storie eterne della nostra cultura senza annoiare. Con l’unica pretesa che non diventino una semplice parodia. « Il segreto è uno solo - dice -: conoscere davvero il testo, entrare in confidenza con la storia e immergersi in essa». La sua è una capacità tutta femminile: quella di chiacchierare e di aprire alle digressioni e ai rimandi d’attualità anche solidi nuclei teatrali, come sono le opere di Shakespeare. Così è per la carneficina finale dell’Amleto, per il dramma della lussuriosa e malata Margherita, che nella Traviata è costretta a lasciare il suo unico vero amore Alfredo, e per la continua inadeguatezza di Alice che si accompagna con il tempo che passa. La comicità di Lella è dilagante, ma è lei stessa ad ammettere che, in qualsiasi classico, è l’autore stesso che, pur inscenando il dramma, conserva un senso di rispetto e la voglia di sedurre costantemente il pubblico. «Insomma – racconta –, anche Shakespeare sapeva che dopo un po’ la sequenza verghiana delle sfighe e delle catastrofi diventa insopportabile e rischi l’effetto comico involontario!».
Prima di fare tutto questo, Lella Costa ogni volta sceglie l’opera che farà sua. Ma da cosa si fa guidare? Ci racconta che la scelta del testo nasce da una folgorazione. «Tutto nasce da un testo che ami, da un autore che ti incuriosisce e dalla sensazione che sia importante dire quella cosa e in quel momento, affinché rimanga valida per anni». Mica paglia, come direbbe lei, scusate. Per questo anche Stanca di guerra, messo in scena per la prima volta nel 1996 e riproposto negli anni fino a poco tempo fa, non è cambiato di una virgola. La guerra, adesso più di allora, rappresenta la nostra quotidianità. E il principio per cui questi classici sono ancora così vivi è il medesimo: parlano ancora di noi.
[cinzia petito]
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