CULTURA

Lella nel teatro delle meraviglie

Si apre il sipario, ed ecco una semplice e nemmeno improbabile sceneggiatura teatrale. Bastano un palchetto, un tavolino e due bicchieri d’acqua. Il resto lo fa lei, come in tutte le sue rappresentazioni a teatro, le sue apparizioni in tv e le sue collaborazioni nei giornali. Lei che è capace di far ridere e piangere in scena esattamente come fa nella vita, dice. Lei che non vuole essere chiamata ex femminista, perché a suo modo continua ad esserlo: con orgoglio svela che dietro le quinte delle scene si circonda con dovizia di uomini validissimi. Ma rimane convinta che l’appartenenza a quel genere sessuale sia un deficit irreversibile. Lei è Lella Costa che, nella libreria Feltrinelli di piazza Piemonte, a Milano, ha presentato a una folla divertita e commossa, appunto, il suo ultimo libro Amleto, Alice e la Traviata. A farle da spalla, seduto comodamente al tavolino come fossero in un bar qualunque, c’era Michele Serra che, da collega e amico di vecchia data, ha coccolato Lella nelle pagine di prefazione e l’ha punzecchiata (ma tanto ha vinto lei) durante tutta l’intervista.

Lella Costa è una donna che ha dell’incredibile. Ripercorrendo la sua lunga carriera teatrale e riprendendo i soggetti del suo ultimo lavoro da scaffale, scarta personaggi mitici e universali come fossero caramelle: spiega e riesce, come sul palco, a raccontare di archetipi e storie eterne della nostra cultura senza annoiare. Con l’unica pretesa che non diventino una semplice parodia. « Il segreto è uno solo - dice -: conoscere davvero il testo, entrare in confidenza con la storia e immergersi in essa». La sua è una capacità tutta femminile: quella di chiacchierare e di aprire alle digressioni e ai rimandi d’attualità anche solidi nuclei teatrali, come sono le opere di Shakespeare. Così è per la carneficina finale dell’Amleto, per il dramma della lussuriosa e malata Margherita, che nella Traviata è costretta a lasciare il suo unico vero amore Alfredo, e per la continua inadeguatezza di Alice che si accompagna con il tempo che passa. La comicità di Lella è dilagante, ma è lei stessa ad ammettere che, in qualsiasi classico, è l’autore stesso che, pur inscenando il dramma, conserva un senso di rispetto e la voglia di sedurre costantemente il pubblico. «Insomma – racconta –, anche Shakespeare sapeva che dopo un po’ la sequenza verghiana delle sfighe e delle catastrofi diventa insopportabile e rischi l’effetto comico involontario!».

Prima di fare tutto questo, Lella Costa ogni volta sceglie l’opera che farà sua. Ma da cosa si fa guidare? Ci racconta che la scelta del testo nasce da una folgorazione. «Tutto nasce da un testo che ami, da un autore che ti incuriosisce e dalla sensazione che sia importante dire quella cosa e in quel momento, affinché rimanga valida per anni». Mica paglia, come direbbe lei, scusate. Per questo anche Stanca di guerra, messo in scena per la prima volta nel 1996 e riproposto negli anni fino a poco tempo fa, non è cambiato di una virgola. La guerra, adesso più di allora, rappresenta la nostra quotidianità. E il principio per cui questi classici sono ancora così vivi è il medesimo: parlano ancora di noi.


[cinzia petito]

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