TEATRO

Quella Praga alchemica, secondo Ronconi

La lezione di Janàček è tutta nelle parole della protagonista: «È atroce sopravviversi. Se sapeste com' è leggera la vita per voi! Siete vicini a tutto. Per voi tutto ha un senso. Tutto ha valore per voi. Sciocchi, siete felici per la ragione che presto morirete». Questo messaggio, forte ed estremo, racchiude il valore dei giorni presenti, nella vita dell’uomo contemporaneo, con o senza qualità, e la necessità di viverli con rispetto e consapevolezza.

In questo affaire lo scenario è fatto di librerie in bilico: uno scatto sembra immortalarle prima che rovinino sui protagonisti. Ci troviamo nello studio legale dell’avvocato Kolenaty: due famiglie, i Prus e i Gregor, si contendono un’antica eredità. La situazione sembra sfavorevole per i Gregor; infatti, l’erede Albert teme la rovina. La matassa legale appare intricata, ma quando arriva in scena Emilia Marty, soprano misterioso e affascinante, la trama si carica di valenze simboliche. L’ipnotica donna sembra infatti conoscere alla perfezione il passato delle due famiglie ed è l’unica a sapere il luogo dove si trova l’antico testamento.

Emilia Marty, la cui figura magnetica cattura l’anima di tutti i personaggi, è una presenza transtemporale. Il suo fascino seduce e uccide, come avviene per il giovane fidanzato di Kristina, la figlia del commesso dello studio legale Vitek, che si toglie la vita per lei. Oppure come succede all’eccentrico Hauk-Sendorf, che vede in Emilia la sua antica fiamma gitana, Emilia Montez, da lui amata cinquant’anni prima. Quando la Marty sembra davvero sapere troppo, finisce per essere considerata pazza. Solo quando la fine si avvicina, decide di svelare la sua vera storia.

Il suo nome è Elina Makropulos, nata a Creta nel 1585. Suo padre, medico personale dell’imperatore Rodolfo II, aveva preparato un elisir che prolungasse la vita fino a trecento anni e l’aveva sperimentato su di lei. Elina diviene una creatura dalle molte identità, costretta a vivere la morte degli affetti più cari per generazioni. L’anima di Elina si fa pietra: una necessità, per proteggersi dai dolori e dalle emozioni delle diverse esistenze. Così appare cinica e glaciale, ma non è così. L’effetto della pozione sta per finire, ed è per questo che Emilia-Elina cerca disperatamente il testo greco con l’antica ricetta.

Improvvisamente si guarda allo specchio e si rende conto che una vita così le è insopportabile. Decide così di rinunciare all’immortalità ed è allora che i suoi sentimenti affiorano davvero. La scena finale, resa possibile dall’agilità degli interpreti, prevede una trasformazione fisica a scena aperta: la bellissima diva si ritrova d’un tratto canuta e stanca ad affrontare la morte.

La partitura del ceco, squadernata dall’orchestra nella direzione essenziale di Marko Letonja, racconta in dissonanze drammatiche l’animo cupo e ombroso di Elina, ma si fa leggera e distesa a tratti, come i ricordi più cari. Come nella Metamorfosi di Kafka, qui ogni gesto musicale ci parla della molteplicità delle vite, e della loro capacità di trasformarsi, anche repentinamente, senza dimenticare un riferimento, nemmeno troppo nascosto – un’installazione video che riproduceva in serie il volto della protagonista, ormai anziana – al Dorian Gray di Wilde, e al timore del tempo che passa e della bellezza caduca.

Ed è qui che si avverte la densità dei simboli dell’opera, palpabile anche nell’atmosfera in sala di questo debutto scaligero e nella scelta di un’illuminazione scenica plumbea e nebbiosa. I protagonisti, in primo luogo l'intensa Angela Denoke, non si sono risparmiati nemmeno sul palco delle prove, dimostrando di essere in piena voce, unita a un’intensa presenza scenica. La regia del maestro Luca Ronconi, senza forzature o intrusioni eccessive, ha seguito senza scossoni il dispiegarsi della trama, davvero paradossale. Una Praga alchemica, quasi inquietante, capitale di un Est europeo dove simboli e magia scivolano nel quotidiano. Irresistibile sortilegio, anche per scettici irriducibili.


[vesna zujovic]

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