Mamadou va a morire e noi non lo impediamo
Mamadou ha 34 anni, è nato in Mali e cresciuto in Gambia. Parla correntemente inglese, francese, bambara e wolof, due dialetti dell’Africa nera. Ha conosciuto la guerra e la povertà e perso il padre e cinque fratelli per malattia. Lui rappresenta le migliaia di giovani che ogni anno muoiono durante i viaggi della speranza tra le coste africane e la terra promessa europea. Mamadou va a morire – La strage dei clandestini nel Mediterraneo è il titolo di un reportage che proietta gli abitanti del cosiddetto Primo Mondo sui barconi dei migranti più disperati, quelli disposti a pagare 500 euro per delle traversate il più delle volte senza ritorno.
Gabriele Del Grande, un giovane giornalista dell’agenzia di stampa Redattore sociale, ha trascorso un anno nel Maghreb, seguendo le rotte dei clandestini in Turchia, Grecia, Tunisia, Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, Mali e Senegal. Le loro storie sono state raccolte nelle 150pagine di un saggio portato nelle librerie qualche mese fa da Infinito Edizioni e ora giunto alla prima ristampa.
Del Grande, particolarmente sensibile al tema dell’immigrazione, ha fondato nel 2006 il blog Fortress Europe (Fortezza Europa), un osservatorio che monitora costantemente l’invasione che non c'è, riportando verità distanti anni luce da quelle strombazzate dai media ufficiali. «Nel 2006 almeno 1.024 giovani africani sono morti lungo le rotte atlantiche verso le isole Canarie, nella totale indifferenza della Spagna, dell’Unione europea e dei Paesi di origine delle vittime, capaci soltanto di rinnovare vetusti proclami contro l’immigrazione clandestina e di militarizzare ancora di più le frontiere – si legge nel reportage –. Ma, al di là degli allarmismi, i dati parlano chiaro: nel 2005 il governo spagnolo regolarizzò 690mila immigrati irregolari: il 20% erano ecuadoregni, il 17% rumeni e il 12% marocchini, seguiti a ruota da colombiani, boliviani e bulgari. Le richieste provenienti dall’Africa sub-sahariana, da cui tutti temono l’invasione della penisola iberica, non superavano il 4% del totale». I ragazzi come Mamadou, che decidono di bruciare le frontiere, ovvero di abbandonare patria e famiglia per ritrovare la speranza, parlano della loro vita come di un continuo combattimento per l’avvenire. Romeo è nato nel 1981 e in Camerun faceva il calciatore in una squadra della prima divisione. È partito con una videocassetta delle sue migliori partite in valigia e un sogno: la Liga, la serie A spagnola. Oggi, dopo tre anni di vita buttati, ha fondato Aracem, l’associazione dei deportati dell’Africa centrale in Mali. Quando qualcuno gli chiede perché ha lasciato il suo Paese, risponde così: «Se ci tuffiamo nel deserto è per cercare qualcosa. Siamo tutti soldati perché lottiamo contro la nostra miseria. Non la stiamo fuggendo, la combattiamo. Tutti quelli che oggi si trovano nel Sahara sono dei combattenti, come quelli che ci sono già passati e quelli che presto partiranno». Alle speranze di chi lotta per garantirsi un domani, fanno da contraltare le reazioni di chi non vuole rinunciare alle certezze del presente e le vede insidiate. Nell’ultima categoria rientra anche l’Italia, di cui il lavoro di Del Grande mette impietosamente in luce le colpe: dall’agosto 2003 al dicembre 2004 il nostro governo ha finanziato 47 voli della Air Libya Tibesti e della Buraq Air, per un totale di oltre 5mila passeggeri rispediti nei Paesi d’origine. Tra loro, 55 sono stati costretti a tornare in Sudan e 109 in Eritrea: 164 potenziali rifugiati politici deportati in Stati in guerra, contro ogni convenzione internazionale sul diritto d’asilo. Dati alla mano, il reportage punta il dito anche contro i media: «A raccontare l’immigrazione clandestina è sempre più un giornalismo lontano dai numeri e viziato dalla spettacolarizzazione, che vede solo extracomunitari, assalti a Lampedusa, invasioni, ondate e maxisbarchi». Mamadou va a morire è un pugno nello stomaco, ma anche un ottimo spunto di riflessione.
[lucia landoni]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
guarda l'intervista
[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
1 commento:
Grazie Lucia di parlare su questo libro... lo voglio leggere.. grazie anche per fare parte di quelli che lottano contro la media nn manipulata dei poderosi. Brava te e anche bellissimo questo blog. Complimenti Ragazzi!!!
Viviane Faria
Brasile
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