Memorie di un inviato al fronte
La guerra non finisce mai e, nell’era della comunicazione globale, è sempre più raccontata. Ma mai come oggi siamo lontani dal fronte, con i reporter in prima linea assediati dalle restrizioni della propaganda. La professione dell’inviato in guerra, con le sfide e i crescenti pericoli che comporta, è stata narrata da chi l’ha vissuta in prima persona negli ultimi anni. Così è nato Cronache dalla terra di nessuno, scritto dall’inviato di «Panorama» Giovanni Porzio, presentato in quetsi giorni al Circolo della stampa di Milano.
«Anzitutto – afferma Porzio - va ricordato il cambiamento tecnologico: con internet e i computer portatili il lavoro materiale è divenuto molto più agevole e le fonti si sono moltiplicate». Ma il vero cambiamento di cui si occupa il testo è un altro: «Il mio racconto – prosegue Porzio - parte dal 1991, dalla prima guerra del Golfo, una guerra che ha segnato un punto di svolta: con la copertura informativa garantita in tempo reale e diffusa in tutto il mondo dalla Cnn, per la prima volta un conflitto è stato documentato momento per momento in ogni suo evolversi. Non solo: la stessa Cnn, con le sue trasmissioni, era divenuta il principale canale di contatto tra Saddam Hussein, gli Usa e la Russia. I tre principali protagonisti del conflitto, infatti, utilizzavano l’emittente statunitense per comunicare tra loro in modo indiretto. E anche questa è una rivoluzione del ruolo degli inviati in guerra». «Dopo il 1991 – conclude Porzio – è cambiata definitivamente la tipologia delle guerre: non esistono più conflitti classici combattuti tra eserciti regolari. Si tratta sempre di operazioni anti-guerriglia o anti-terrorismo. Questa è l’ultima componente che contribuisce a modificare la professione degli inviati: i giornalisti non sono più percepiti come osservatori neutrali ma sono parte in gioco, i loro lavori sono schierati e sono a tutti gli effetti obbiettivi sensibili per i guerriglieri».
Francesco Cito, fotografo di guerra, insiste su come sia importante andare «oltre la tv», realizzando e diffondendo immagini che «sappiano di campo», che trasmettano quello che i combattenti sono, desiderano e temono, a prescindere dal colore della loro divisa. Cito ricorda come sia rischiosa la nuova politica editoriale che si sta diffondendo: «Appoggiandosi alle immagini che circolano su internet, gli editori preferiscono risparmiare e non mandano più fotoreporter sui teatri di guerra. Ma è un errore: le foto che circolano in rete sono le più drammatiche ed emozionanti, non le più oneste. Ed è proprio l’onestà la componente principale che un fotografo deve perseguire: non si devono rincorrere premi e celebrazioni. Quello che conta è raccontare il vero attraverso le immagini».
L’ultimo intervento è di Gabriella Simoni di Studio Aperto. L’inviata di Mediaset insiste sulla «forza della televisione» capace, come pochi altri media, «di smuovere le coscienze e sensibilizzare chi la utilizza». Per questo è fondamentale la professionalità dei giornalisti televisivi che, nel raccontare la guerra «non devono urlare e devono essere credibili e partecipi di quanto raccontano». Il problema maggiore nel realizzare servizi di qualità dai teatri di guerra sta nei costi: «Troupe e satellite – afferma la Simoni – costano moltissimo, e sono la scusa principale dietro cui le produzioni si trincerano, quando decidono di non inviare nessuno sul campo. Il paradosso è che la gente è attenta, vuole conoscere e capire. Ma le produzioni preferiscono spendere per show di varietà, più sicuri e redditizi dal punto di vista della pubblicità».
Se si pensa che nel solo 2007 sono 86 i reporter caduti in teatri bellici, si comprende come la professione dell'inviato di guerra sia molto cambiata e sia diventata più pericolosa. Ma resta l’unico mezzo perché il mondo possa davvero capire le dinamiche dei conflitti in corso e per conoscere le motivazioni delle fazioni in lotta. Senza dimenticare le guerre minori: quelle che non intaccano i grandi interessi economici ma causano centinaia di migliaia di morti.
[stefano carnevali]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
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[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
CONFLITTI
alle 3.3.08
Etichette: esteri, giornalismo, libri
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