Vanno in scena i rifiuti
Esordio milanese alla Fabbrica del vapore per Asso di monnezza di Ulderico Pesce. Lo spettacolo è un’allegoria pericolosamente realistica dell’emergenza rifiuti, ben più ampia di quella campana. Nell’eterno gioco delle tre carte non è più l’asso di denari quello che fa vincere e che va ritrovato nei movimenti fluidi del mazzaro. Il botto lo fa l’asso di monnezza, perché è nella gestione dei rifiuti che s’intrecciano interessi spesso illeciti con problematiche di salute pubblica e scelte di politica economica.
Una famiglia divisa in due: da una parte la madre Marietta e i due figli Antonio e Vincenzo impegnati nella raccolta differenziata e nella tutela dell’ambiente, dall’altra il padre Nicola che, insieme al terzo figlio Christian, fa affari con la malavita legata al business della spazzatura. Un business che non riguarda solo lo smaltimento dei rifiuti urbani, oggi di grande attualità, ma soprattutto di quelli industriali. Scorie spesso velenose e dunque più redditizie per le organizzazioni criminali che hanno tutto l’interesse a mantenere il tutto sotto silenzio. La semplificazione bene/male funziona e fa riflettere il pubblico sul tema, sentito e documentato da Ulderico Pesce, oltre che con innegabile passione, soprattutto con dati, nomi, fatti e numeri. Siamo in un territorio incerto dove il teatro diventa un tramite per trasmettere istanze e contenuti. Di teatrale nel senso classico del termine resta davvero poco. Niente scenografie, poca musica e uso ridottissimo delle luci.
Quello che interessa all’autore-attore è svelare gli intrighi e i retroscena di questi traffici non per alimentare sterili polemiche, ma per metterne in luce le conseguenze tangibili e preoccupanti sulla vita e la salute delle persone coinvolte: tutti.
L'intervista
Ulderico Pesce e il teatro: un’esigenza, più che una passione, che arriva da lontano, da un nonno arrotino. «Si sedeva fuori dalle macellerie che lo pagavano in natura e raccontava storie. - ricorda Pesce – parlava di lotte operaie, di braccianti che occupavano i campi, di rivolte antifasciste. Storie ma anche poesie e canzoni che intonava con la sua voce forte e profonda. Ero affascinato: in lui vedevo un Gassmann sulla scena, non mio nonno in una strada qualunque del sud Italia. Poi le cose cambiarono e, alla fine degli anni ’50 non ci fu più bisogno di arrotini. Mio nonno cominciò a lavorare alla manutenzione delle strade, ma dopo tre giorni fu cacciato. Perché era socialista.»
Tutto inizia in famiglia…
« …e continua a scuola. Mio padre era sindacalista e andava tutti i giorni alla camera del lavoro che si stava in un paese vicino. Nei paraggi c’era un liceo classico che io ho frequentato per pura comodità. Lì mi sono innamorato della letteratura greca e del teatro antico, che è la prima forma di teatro civile, in cui molte spazio è dato alle questioni politiche. Cosa sono l’Edipo re di Sofocle o I Persiani di Eschilo se non indagini sulla tirannia, su come si governa, sull’oppressione di un popolo sull’altro? Dopo il liceo ho conosciuto Marisa Fabbri e Giorgio Albertazzi con cui ho cominciato a recitare. Poi ho lavorato con Carmelo bene, Luca Ronconi, Gabriele Lavia e altri»
Collaborazioni molto importanti e diverse tra loro
«Sicuramente. Da questi incontri ho ricevuto tanti insegnamenti tecnici; ma la vera folgorazione l’ho avuta nel 1990 quando ho conosciuto il regista russo Anatoli Vassilev, con cui ho viaggiato per tre anni in un tour internazionale. Insieme ad attori di vari Paesi abbiamo portato in giro testi di Platone, Pirandello e Dostoevskij recitando ognuno nella propria lingua. Un’esperienza che mi ha fatto capire veramente qual era il tipo di spettacolo che avrei voluto portare il giro: il teatro organico»
Che significa “teatro organico”?
«Significa che non si può recitare prescindendo dal contenuto dell’opera. In Italia il teatro per buona parte è finto, artificioso, per non dire morto, imbrigliato com’è nel labirinto dei finanziamenti. Dopo l’esperienza con Vassilev mi sono messo alla ricerca di testi che mi appartenessero e non ne ho trovati. E allora mi sono messo a raccontare le storie di mio nonno e ho scritto Contadini del sud. Poi ho voluto dare voce agli operai della Fiat e ai lavoratori clandestini. Adesso mi sto occupando di amianto»
Non c’è teatro senza denuncia sociale, quindi
«Senza denuncia, impegno e memoria»
Ti senti più un uomo di teatro o un sollevatore di questioni scottanti?
«Non so cosa mi sento, so solo che mi sento bene se faccio quello che mi piace»
Cosa ti piace del teatro?
«Le compagnie sperimentali, che fortunatamente esistono e funzionano; il teatro alternativo che accoglie chi come me, facendo teatro civile, viene considerato un figlio spurio del settore. Tutto quanto è ricerca e voce della gente»
Cos’è che invece non ti piace?
«la programmazione degli stabili, che nella maggior parte dei casi è un marchingegno fallimentare e costoso. Non mi piace l’artificiosità propria di un certo tipo di teatro, né la sovranità degli effetti scenici a sminuire l’importanza della parola»
I tuoi lavori sono documentati con precisione. Come lavori in fase do ricerca e raccolta di informazione?
«Non sono da solo, coordino un gruppo che mi aiuta nella ricerca di storie. Vado in giro, ascolto molte persone. Ovviamente le mie fonti sono spesso non convenzionali: ho a che fare con magistrati, giornalisti free lance, a volte anche con delinquenti. Ricevo segnalazioni nei teatri, a fine spettacolo e sul mio sito. In Asso di monnezza ad esempio i personaggi e le storie sono reali, mentre è di fantasia il legame di parentela che li unisce»
Anche Roberto Saviano si è occupato di rifiuti. Che ne pensi del fenomeno Gomorra?
«Saviano, come anche Travaglio, Rizzo e Stella svolgono un compito importante e hanno contribuito a rivoluzionare il mondo della letteratura innestandoci il seme dell’inchiesta»
Asso di monnezza è un tema che ti ha suggerito l’attualità più recente.
«Non proprio. In realtà il testo risale al 2005 e purtroppo il problema dei rifiuti non è destinato a terminare con quest’emergenza. Le questioni in gioco sono tante e toccano temi come la salute di tanti cittadini e l’alimentazione. Per migliorare la situazione occorre agire su diversi fronti»
Quali?
«Innanzitutto su quello della raccolta differenziata: l’umido, ad esempio, costituisce il 35-40% dell’immondizia prodotta ed è fondamentale che venga isolato perché bagna il resto dei rifiuti impedendo il riciclo degli altri materiali. E’ poi necessario che il reato contro l’ambiente non sia giudicato in un tribunale civile, ma venga considerato un reato penale, come già accade in molti altri Paesi, in modo da poter punire i responsabili con l’arresto. Sono i giudici stessi che denunciano la mancanza di strumenti per agire su questi reati»
Bisogna quindi ripensare il nostro rapporto con la materia?
«Sicuramente. Non solo occorre differenziare per riciclare, ma anche impegnarsi a produrre meno rifiuti. Diminuire il consumo dei beni usa-e-getta, razionalizzare la produzione e l’uso di delle confezioni, come i sacchetti di plastica, sono comportamenti basilari per un paese che ospita una percentuale altissima dei beni culturali di tutto il mondo. Cultura e ambiente devono essere le nostre prerogative. E lo saranno».
[cecilia lulli - emidia melideo]
CONFLITTO DI GAZA
Intervista a Nahum Barnea
«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.
[viviana d'introno e cesare zanotto]
L'INTERVISTA
Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.
guarda l'intervista
[marzia de giuli e luca salvi]
L'INCHIESTA
È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).
Ascolta l'intervista
[alberto tundo]
MARIO CAPANNA
Onda e '68 a confronto
Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.
[cesare zanotto]
CIBO E MEMORIA
La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.
[francesco perugini]
GIORGIO BOCCA
Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.
[gaia passerini]
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