CONFLITTO DI GAZA

Intervista a Nahum Barnea

«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.

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[viviana d'introno e cesare zanotto]

L'INTERVISTA

La voce della libertà

Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.

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[marzia de giuli e luca salvi]

L'INCHIESTA

È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).

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[alberto tundo]

MARIO CAPANNA

Onda e '68 a confronto

Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.

Ascolta l'intervista

[cesare zanotto]

CIBO E MEMORIA

Viaggio nel gusto italiano


La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.

[francesco perugini]

GIORGIO BOCCA

Intervista sulla crisi del giornalismo italiano


Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.

[gaia passerini]

EVENTI

Non solo fiera: Milano capitale del design

Fethi Atakol è uno dei giovani designer che tra il 16 e il 21 aprile hanno esposto le proprie creazioni alla Fiera del Mobile di Milano. Anche quest’anno l’evento, che attira i professionisti del settore da ogni parte del mondo, ha dedicato ampio spazio agli esordienti: il Salone Satellite è un padiglione concepito esclusivamente per gli studenti e i giovani talenti del design.

«Non è facile essere scelti per esporre al Salone Satellite», racconta Fethi: i posti disponibili quest’anno erano 150 per almeno 600 richieste. Ciò significa che hanno selezionato un designer ogni quattro». Per cominciare, i candidati devono avere meno di trentacinque anni e non essere sponsorizzati. Le richieste di partecipazione vanno spedite in agosto a Marva Griffin, art director dell’agenzia Cosmit che organizza il salone: «Ho inviato le fotografie di tre oggetti che ho realizzato, e solo due mesi dopo, a fine ottobre, ho saputo di essere stato scelto».
Per esporre al Salone Satellite non basta il genio creativo: «Essere selezionati – puntualizza Fethi – non vuol dire guadagnarsi il diritto di esporre gratis, ma avere l’opportunità di comprare uno spazio nudo (moquette e pareti bianche). Il costo si aggira intorno ai 3mila euro; le spese aggiuntive – ad esempio, il trasporto degli oggetti – sono extra e ancora una volta a carico dei designer». Per non parlare del fatto che quasi nessuno dei giovani artisti è di Milano, per cui vanno considerati anche i costi di vitto e alloggio. Ma Fethi Atakol non ha dubbi: «Lo rifarei. La Fiera del mobile è una vetrina sul mondo: sento di aver guadagnato grande visibilità. Non avrei mai pensato che galleristi, giornali e tv da tutto il mondo potessero interessarsi ai miei oggetti». Fethi definisce la sua specialità redesign: «Mi piace andare a cercare gli oggetti in cantina o in soffitta, e attribuire agli scarti nuove funzioni. Voglio che le mie creazioni non siano solo belle da guardare, ma soprattutto che servano».
Allo Spazio Satellite i designer italiani sono la minoranza: molti di loro sono giovani che vengono dall’Estremo Oriente o dal Nord Europa. Il nome di Fethi può trarre in inganno, «ma anche incuriosire il pubblico – racconta –, diversamente dalle firme italiane che, come ho notato al Salone, suscitano sempre meno interesse. In realtà sono di padre turco e di madre italiana e attualmente vivo a Rimini. Le aziende italiane – continua Fethi – hanno una forte tradizione, ma attualmente si rivolgono ai designer stranieri. Negli anni Sessanta le star erano gli artisti nostrani, mentre oggi i più richiesti sono residenti all’estero. Nel nostro Paese manca il coraggio di investire nei giovani talenti, non solo nel settore dell’arredo e del design. In Olanda, una realtà che conosco bene, i progettisti di interni si affermano a venticinque anni, mentre qui in Italia a quaranta; ai giovani olandesi vengono riconosciute responsabilità e meriti». La Fiera del Mobile è stata per Fethi una vetrina sorprendente: «Non credevo di guadagnare tanta visibilità. Negozi di arte e design a Parigi, Londra e Roma mi hanno proposto di esporre pezzi singoli, ma alcune aziende italiane e statunitensi vorrebbero coinvolgermi anche in produzioni industriali». Al di là delle offerte di lavoro, Fethi è contento di essersi confrontato con i colleghi stranieri: «Ho apprezzato particolarmente il design giapponese perché è sinuoso e mi fa pensare agli origami. In generale, ho avuto la possibilità di conoscere gli stili più diversi; ancora una volta Milano ha attirato artisti da tutto il mondo». Il capoluogo lombardo si riconferma, dunque, capitale del design. Anche adesso, che la Fiera del Mobile ha chiuso i battenti, non mancano eventi per esperti del settore o semplicemente appassionati e curiosi. Palazzo Reale ospita fino all’undici maggio un’esposizione intitolata 99 icone di design dedicata alla storia del made in Italy: «Di solito – spiegano gli organizzatori – alle mostre c’è distacco tra opere e pubblico, mentre in questo caso il clima è familiare». I visitatori riconoscono gli oggetti esposti, ritrovano le icone della propria infanzia e adolescenza: la vespa piaggio, la moka bialetti, gli occhiali Persol e la Fiat 500. Per non parlare dei cult che hanno fatto la storia del made in Italy: i blazer destrutturati di Armani, le camice bianche di Ferrè, i pantaloni alla capri di Emilio Pucci o le sneakers di Superga. Impossibile non riconoscere nel modello Borsalino del 1857 il cappello da passeggio del nonno. Ed è inevitabile – anche - associare un evergreen come le cravatte di Marinella ad altrettanti – inossidabili – esponenti politici.


[giovanni luca montanino]
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MODA

Indipendent: Moda razzista ma non in Italia


Dopo Naomi Campbell il nulla. E’ l’accusa lanciata dal noto giornale inglese Independent on Sunday secondo cui per le modelle di colore è sempre più difficile trovare spazio sulle passerelle, nelle riviste e sui cartelloni pubblicitari. Razzismo? Forse. Sta di fatto che secondo le grandi aziende della moda le ragazze nere non fanno scattare nei consumatori la “voglia di emulazione” o, in parole povere, non invogliano a spendere. Una conferma che arriva anche da Carole White della Premiere Model Agency che ammette di aver ricevuto richieste per modelle “non etniche” ma solo per quelle “caucasiche” (cioè bianche).

«E’ qualcosa di scioccante, atroce – accusa uno dei più noti fotografi di moda inglesi, Nick Knight –. L’industria della moda e della pubblicità sono immerse nel razzismo. Le modelle nere nelle principali agenzie di moda sono sottorappresentate. Basta guardarsi attorno – conclude il fotografo – per accorgersi che il numero della ragazze di colore è praticamente nullo nelle campagne pubblicitarie». Un mondo della moda, quindi, impregnato di razzismo ma che vede nell’Italia una piccola isola felice. “Nonostante la xenofobia della Lega Nord”, si legge dalle pagine dell’Indipendent, dal nostro Paese arriva una chiara risposta in controtendenza: sul numero di luglio di Vogue Italia, infatti, ci saranno solo modelle nere. «Si tratta di un omaggio alla loro bellezza – afferma Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia –. Nella moda non vedo affatto discriminazioni. Forse qualche anno fa era diverso ma oggi in passerella le ragazze nere non hanno più alcun problema». Allora niente discriminazioni? Non proprio. «Il discorso è diverso nel campo della bellezza – ammette Franca Sozzani –. Ma ciò è dovuto semplicemente al fatto che i grandi marchi fanno campagne mondiali che devono andar bene per tutti i mercati principali e scelgono testimonial generiche. Bianche? Sì, bianche. Ma le eccezioni esistono già – conclude la direttrice di Vogue Italia –. Basti pensare alla splendida Liya: è nera ed è una delle maggiori testimonial di una importante marca di bellezza».

[matteo mombelli]
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GIORNALISMO

Trovare notizie è ... Sempre meglio che lavorare

«Il giornalista è sottoposto continuamente a un tribunale che non dà scampo: quello dei lettori. Se uno non sa scrivere, il suo pezzo potrà anche essere sistemato in qualche modo da un caporedattore, ma sarà sempre un pezzo nella migliore delle ipotesi mediocre. Nessuno conquista il pubblico per spintarella, questo è poco ma sicuro, i lettori non si fanno infinocchiare». Un libro che riporti affermazioni del genere dovrebbe diventare una lettura irrinunciabile per chiunque voglia entrare nel mondo dell’informazione.

Sempre meglio che lavorare – Il mestiere del giornalista, recentemente uscito in libreria per i tipi di Piemme, è un divertente e agile saggio da leggere tutto d’un fiato: in 216 pagine tratteggia un affettuoso e ironico affresco di una professione considerata affascinante e un po’ misteriosa dai profani e visceralmente amata dai pur disincantati addetti ai lavori.
L’autore, Michele Brambilla, è uno che di giornalismo se ne intende: dopo 18 anni trascorsi in via Solferino, («In Italia i giornalisti si dividono in due categorie: quelli che lavorano al Corriere della Sera e quelli che al Corriere della Sera ci vorrebbero lavorare»), è stato direttore de La Provincia di Como, dove ha imparato che l’informazione locale è «un bagno di realismo, il ritorno alla cronaca fatta scarpinando e non telefonando, il rapporto con i lettori guardandosi in faccia e non via e-mail». Attualmente vice direttore de Il Giornale, Brambilla ha sfruttato la propria esperienza per raccontare vizi e virtù di inviati e cronisti, direttori e opinionisti. Il lettore di Sempre meglio che lavorare è condotto per mano dietro le quinte dei più grandi quotidiani del nostro Paese e impara a conoscere le esilaranti figure che popolano ogni redazione che si rispetti: dal genio incompreso allo specialista della pausa caffè, dall’inviato che ha un’abilità diabolica nel fare la cresta sulla nota spese al free lance sempre in viaggio verso mete esotiche e scoop immaginari. Intervallati alle pagine semi- serie, si trovano poi i ritratti dei più grandi giornalisti italiani, colti nella quotidiana vita professionale da chi ha avuto il privilegio di imparare da loro i segreti del mestiere e ora ne trascrive i consigli. È una vera e propria galleria di mostri sacri, che comprende Dino Buzzati e Indro Montanelli, Enzo Biagi e Oriana Fallaci, senza dimenticare Giovanni Guareschi, noto ai più per essere il papà letterario di Don Camillo e Peppone, ma anche bravo cronista. Si avverte un certa nostalgia dell’autore per il giornalismo di una volta, quando «la nera era una cosa seria», ben distinta dallo spettacolo, e il virus del politically correct non aveva ancora contagiato i giornali, per cui si poteva scrivere «obeso» anziché «di taglia importante» o «basso» invece di «verticalmente svantaggiato». Ma, nonostante tutto, nelle redazioni si continua a svolgere una delle professioni più belle del mondo, anche perché, come diceva Luigi Barzini, «il mestiere del giornalista è difficile, carico di responsabilità, con orari lunghi, anche notturni e festivi, ma … è sempre meglio che lavorare».


[lucia landoni]
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IN LIBRERIA

«Vi presentiamo gli impresentabili»

Parte con una chiara divisione di buoni e cattivi il nuovo libro di Marco Travaglio e Peter Gomez. In “Se li conosci li eviti” i virtuosi, purtroppo, occupano solo poche pagine rispetto ai curricula dei malandrini che si trovano tra le liste dei partiti che hanno corso alle ultime elezioni. Un “manuale di pronto soccorso” per aiutare gli elettori a scegliere il meglio, o il meno peggio, tra i candidati, anzi tra i parlamentari nominati dai partiti grazie al Porcellum.

Il sottotitolo parla da sé: “Raccomandati, riciclati, condannati, imputati, voltagabbana, fannulloni nel nuovo Parlamento”. Gli “impresentabili” sono di tutte le liste e colori. Oltre 150 biografie di politici, vecchi e nuovi, con tutte le loro malefatte. Il libro è concepito come una guida a sezioni per orientarsi nell’intricata rete della politica italiana. Per puntare il dito contro i furbetti che si comprano la casa a prezzi stracciati in pieno centro a Roma, contro e contro quelli che credono che l’attuale Papa si chiami Bonifacio o che l’America sia stata scoperta nel 1862. Ci sono anche quelli che dicono una cosa e poi fanno l’opposto come Walter Veltroni che nel 2006 dichiara di non aver alcuna intenzione di presentarsi come leader del centrosinistra o Berlusconi che dichiara di essersi battuto fino all’ultimo perchè Biagi restasse in Rai. Quelli che hanno votato l’indulto e quelli che hanno partecipato alla grande abbuffata della monnezza in Campania. E poi i voltagabbana, gli assenteisti cronici e quelli con la fedina penale sporca, o dubbia. A farla da padrone è il Popolo delle libertà, che ha rinnovato il repertorio con parecchie new entry per meriti penali. I condannati in primo o secondo o terzo del Pdl sono 25, più almeno altrettanti indagati o rinviati a giudizio, senza contare i miracolati dalla prescrizione. L’Udc vanta almeno 5 condannati, fra provvisori e definitivi. La Destra 2 rinviati a giudizio, tra cui il suo leader Storace. L’Arcobaleno ha due condannati, uno i Socialisti 1. Anche il Pd, nonostante la promessa di Veltroni di non candidare nemmeno i condannati in primo grado, schiera due condannati definitivi, un condannato in primo grado, uno in appello, cinque indagati, un rinviato a giudizio, tre salvati dalla prescrizione. Politici che uccidono la libertà di parola, l’etica, la moralità, la legalità. Politici che non hanno interesse a far “rialzare” la nostra povera Italia. Lo stile è quello a cui ci hanno abituato i due giornalisti che insieme hanno già scritto diversi libri come “Uliwood Party” (2006) o “Mani Sporche” (2007). Un calibrato mix di satira, cura per i dettagli e precisa documentazione è la ricetta che rende leggero e pratico il tomo di oltre 500 pagine. Travaglio e Gomez hanno mandato “Se li conosci li eviti” in libreria qualche settimana prima delle elezioni con lo scopo di orientare gli italiani a votare meglio: ma se non avete fatto in tempo a prenderlo prima di andare alle urne, potete comunque leggerlo adesso e farvi un’idea di chi ci ha governato e di chi ci governerà.
“Se li conosci li eviti”
Di Peter Gomez e Marco Travaglio
Chiarelettere editore
Principio Attivo, pp. 576, euro 14,60

[gaia passerini]
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EDITORIALE DALLA CINA

Una lettera agli occidentali

Cari amiche e amici,
scrivo questa lettera per esporvi il pensiero di comuni cittadini e giornalisti cinesi che hanno studiato con grande rispetto politica, economia, diritto, filosofia e storia occidentale, e che si sono interrogati per anni con onestà intellettuale e ammirazione per la civiltà straniera, pur mantenendo un punto fermo, e cioè l’amore per la propria patria. Sono la grande maggioranza dei cinesi. Ma alcune parole e comportamenti dei media occidentali nei confronti delle vicende legate alla fiaccola olimpica ci hanno fatto capire che davvero siamo troppo idealisti.

Abbiamo accolto a braccia aperte le Olimpiadi, ed eravamo felici di poter finalmente mostrare al mondo, sorridendo, il risultato del nostro costante impegno, e come il nostro giardino non fosse più così desolato - grazie a sforzi immensi. Ma abbiamo ricevuto solo insulti. Quando abbiamo invitato i migliori atleti e i leader politici di tutto il mondo a partecipare alla cerimonia di apertura, abbiamo messo il massimo impegno e mobilitato tutto il popolo, ma abbiamo ricevuto solo ostilità. In questi ultimi cento anni, noi cinesi abbiamo sempre combattuto tra mille difficoltà. Molte sono giunte dall’Occidente, ma il vero motivo è certamente la nostra arretratezza. Dal 1978 abbiamo potuto finalmente correre verso il progresso, abbiamo sperato di poter convivere pacificamente con voi, vincere insieme. Abbiamo imparato molto da voi, abbiamo aperto le nostre porte, abbiamo cambiato noi stessi, abbiamo sperato di poter entrare in quel mondo fantastico dei paesi occidentali più sviluppati del nostro. Dopo 30 anni siamo molto stanchi e non desideriamo che vivere un po’ meglio. Ora che il nostro impegno ha portato dei risultati, vorremmo invitarvi a venire qui come nostri ospiti, ma ci sentiamo offesi dalle parole di quei signori francesi che, al passaggio della fiaccola, urlavano agli studenti cinesi: «Se vi infastidisce che insultiamo il vostro paese, tornate da dove siete venuti». Siamo senza parole, perché ammiriamo l’indipendenza dei media occidentali, il valore delle notizie oggettive e vere. Molti cinesi hanno installato le antenne per guardare la Cnn e la Bbc, e sono diventati assidui frequentatori dei vostri siti Internet, ma i media stranieri riportano senza sosta tutta la resistenza che ha incontrato la fiaccola a Londra, Parigi e San Francisco, tutte le televisioni riprendevano visi stranieri di persone che non hanno mai messo piede in Tibet, e che sventolano la bandiera dell’indipendenza urlando «Tutto il mondo combatta le Olimpiadi di Pechino» e opponendosi alla Cina «che non rispetta i diritti umani», «che schiavizza i cittadini» e «che ogni giorno uccide centinaia di tibetani». Vogliono dare una lezione alla Cina «amica del governo del Sudan che perpetua il genocidio del Darfur». Il presidente francese ci insegna come dobbiamo comportarci se vogliamo che partecipi alle Olimpiadi, il premier tedesco non verrà e anche il presidente Bush potrebbe non essere presente alla cerimonia di apertura. Quando la nostra atleta tedofora disabile si difendeva dagli attacchi dei manifestanti, la vostra conduttrice televisiva rideva. Quando le guardie cinesi hanno tenuto a bada i rivoluzionari, molti media li hanno giudicati aggressivi, e il leader del partito conservatore inglese ha chiesto come mai la nostra polizia fosse entrata in Inghilterra. Sulla Cnn la star di Hollywood Richard Gere ha urlato: «Ogni paese affronti la Cina e prenda delle misure. È noto che tutto quello che i cinesi fanno e dicono è una presa in giro, partecipare alle Olimpiadi significa calpestare i diritti umani e perpetuare il genocidio». Ti sbagli Richard Gere, e vi sbagliate tutti, Cnn, Bbc e giornalisti occidentali. Noi non siamo gente che prende in giro, ma vi accogliamo alle Olimpiadi con cuore sincero, non vogliamo sottrarvi nulla, desideriamo solo vivere un po’ meglio, e vorremmo gioire insieme agli amici di tutto il mondo una volta superate queste difficoltà. In questa nostra grande casa vivono cinquantasei diverse etnie, ci sono certamente dei contrasti come in una famiglia, ma siamo tutti fratelli. Se considerate queste vicende con occhio più critico, vi accorgerete che non c’è una sola verità, e che alla fine ad essere insultati non sono i cinesi ma lo spirito olimpico, la libertà e la pace. Noi vogliamo solo vivere bene, come voi, e questa non è una richiesta esagerata. Se molti occidentali sono stati penalizzati dalle nostre esportazioni, è perché ci siamo aperti all’economia di mercato da un giorno all’altro, e voi dovreste riflettere e aiutarci a progredire e a migliorare il sistema, invece di metterci in difficoltà. Per la maggior parte di voi occidentali, la Cina è un paese lontano, la guardate in televisione come se fosse una soap opera, questo è per voi la Cina. Dovete sapere che quando ci lamentiamo perché i nostri giornali non sono liberi, è perché li abbiamo paragonati ai media occidentali, ed è proprio grazie al vostro esempio che speriamo di far crescere il quarto potere. Non solo ci avete trasmesso il valore di un’informazione seria e oggettiva, ma ci avete anche insegnato la libertà e l’uguaglianza. Grazie a voi abbiamo scoperto che il nostro paese ha ancora tanti problemi, e che il governo ha commesso molti errori. Continuiamo a camminare nella vostra direzione, ma abbiamo anche visto come usate la libertà e l’uguaglianza che ci insegnate. E questa è per noi una sconfitta. Sappiamo che la prospettiva di 1,3 miliardi di persone che vivono bene vi preoccupa. Ma non temiamo le critiche, perché sono il prezzo che un paese deve pagare per crescere, e continuiamo a sperare nella vostra amicizia. Ma se non ci trattate con rispetto, ci stringeremo e non perderemo la faccia. Rinunceremo alle Olimpiadi piuttosto che essere dei perdenti, e non avremo paura di dire addio a un Occidente che non ci rispetta.

Grazie per l’attenzione

La redazione di Business Watch, 12 aprile 2008


[traduzione di marzia de giuli]
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AMERICA LATINA

Cuba, un nuovo inizio?

Dopo 49 anni e 55 giorni di potere ininterrotto l'ottantunenne Fidel Castro lascia Cuba in eredità al fratello Raul. L'Assemblea nazionale ha eletto il 76enne Comandante in capo delle Forze Armate, nuovo presidente del Consiglio di Stato per i prossimi cinque anni. Ora, nella Repubblica socialista, l'attesa è per le riforme, dopo la timida revisione costituzionale del 1992 che aveva fissato garanzie per gli investimenti stranieri, rispetto religioso, flessibilità per il commercio estero, elezione popolare con voto diretto e segreto.

C’è chi vede in Raul Castro la speranza di un cambiamento, di un’apertura verso l’occidente data la sua fama di “moderato”, c’è chi è convinto che sia solo un burattino nelle mani di Fidel che continuerà a governare indisturbato da dietro le quinte, c’è chi ammira e già comincia a rimpiangere l’ormai ex Lìder Maxìmo. «C’è un po’ di tristezza per le dimissioni di Fidel Castro, ma anche la consapevolezza che lui resterà sempre l'unico Comandante in capo leader indiscusso della rivoluzione che ha portato la democrazia a Cuba». A parlare è Ida Garberi, giornalista italiana di “Prensa Latina” agenzia di stampa latino-americana. 42 anni, residente a L’Avana da sette. «Sono arrivata per la prima volta a Cuba nel 1997 come turista ed è stato amore a prima vista – spiega - ho sempre ammirato il processo rivoluzionario di questo Paese. Sono convinta ogni giorno di più che Cuba sia davvero l'unica alternativa possibile al fracasso del capitalismo, lo spirito guida di questo meraviglioso Socialismo del secolo XXI in America Latina». La percezione occidentale per la politica cubana, però, è tutta diversa: sono pochi quelli che appoggiano il suo sistema di governo e che considerino “Repubblica democratica” un Paese in cui esiste un unico partito e lo stesso leader da cinquant’anni. Con l'avvento di Raul Castro e l'avvio di un programma di riforme e modernizzazione, tutti sperano che passino gli anni in cui anche i medici si improvvisavano guide turistiche per raccattare qualche mancia dai turisti. Camminando tra le vie di Trinidad o di Holguìn sono moltissimi quelli che ti offrono un posto letto, un pranzo o che cercano di venderti una collanina di semi. Il contatto coi turisti dà la possibilità di entrare in possesso di peso convertibile, la moneta riservata agli stranieri, 25 volte più forte rispetto al peso cubano, moneta nazionale. Nell’isola è stato necessario introdurre una doppia valuta, una per scambi prettamente interni e una per quelli internazionali e per le merci importate, a causa dell’embargo che soffoca l’economia cubana. «Dai primi anni Sessanta – dice la Garberi - gli Stati Uniti hanno imposto il “bloqueo”, un embargo totale che colpisce non solo Cuba, ma tutti i paesi con cui commercia, i quali diventano oggetto di rappresaglia economica da parte del governo degli Usa. Un atto che tende a sovvertire l'ordinamento politico del Paese e pertanto considerato illegittimo dal diritto internazionale». Ma le possibilità che con il cambio di presidenza l’embargo possa essere sciolto o quantomeno allentato sembrano remote: «Non credo che gli Usa abbiano la volontà di togliere le restrizioni fino a quando Cuba non ritornerà sotto il loro regime diventando colonia americana – continua -. Io posso solo sperare che il prossimo presidente degli Stati Uniti sia più savio di quello attuale, anche se
personalmente ho poca fiducia nei due partiti politici nordamericani». E’ di questi giorni, tuttavia, la notizia dell’autorizzazione del Governo alla vendita di telefonini e apparecchiature elettroniche a Cuba. Si vedono file di acquirenti davanti ai negozi. Sembra che qualcosa già cominci a muoversi: la soluzione ai problemi dei cubani non saranno certo cellulari e dvd, ma è già un inizio.

[gaia passerini]
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LIBERTÀ DI INFORMAZIONE

Olimpiadi, i blog che ammiccano al regime

Blog imbavagliati per le Olimpiadi. Il Comitato olimpico internazionale apre all’attivazione di diari web per gli atleti ai Giochi di Pechino, ma le regole da rispettare stritoleranno ogni forma di libertà d’espressione. A rischio anche il lavoro dei giornalisti accreditati. E arriva la denuncia delle associazioni che si battono per i diritti umani: una deriva pericolosa che strizza l’occhio al regime comunista, impegnato nella repressione violenta del dissenso.

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TRASPORTI

Milano si muove verso l'Expo

Il dado è tratto, il Bie ha deciso: Milano ospiterà l’Expo del 2015. Feeding the planet, energy for life - questo il titolo proposto dall’Italia per la manifestazione internazionale - porterà alla capitale economica italiana finanziamenti per milioni di euro e migliaia di nuovi posti di lavoro. «È una città che merita»: così esulta il sindaco Letizia Moratti. Ma se Milano ha vinto, adesso deve rimboccarsi le maniche per dimostrare di saper gestire la sfida Expo. Che significa intervenire sui propri punti deboli, a cominciare dal settore chiave dei trasporti. Vediamo come.

La metropolitana di Milano vuole l'Expo

Dallo scorso tre marzo in piazza San Babila campeggia un orologio che scandisce il tempo mancante a un evento cruciale per tutti gli italiani in generale e per i cittadini milanesi in particolare: il 31 marzo il Bie (Bureau international des expositions) deciderà se l’Expo del 2015 verrà ospitato nel capoluogo lombardo o a Smirne, nella Turchia centro-occidentale. In palio finanziamenti per circa 14 miliardi di euro e una buona dose di prestigio internazionale, che non guasta mai. Milano spera e, in attesa della fatidica data in cui verrà emesso il verdetto, si dà da fare su più fronti. Quello dei trasporti, in particolare, da sempre rappresenta un tasto dolente per i meneghini, abituati a viaggiare su mezzi pubblici stipati come carri bestiame o, in alternativa, a rimanere intrappolati per ore in interminabili file di automobili che procedono con esasperante lentezza per le vie del centro. Sempre sperando che non piova, perché bastano poche gocce d’acqua a mandare letteralmente in tilt il motore economico del Paese. Se davvero vogliamo sperare nell’Expo, urge correre ai ripari. Metropolitana Milanese (MM), asse portante della rete locale di trasporti pubblici, l’ha capito e sta lavorando per potenziare ulteriormente le proprie linee, che attualmente coprono un’estensione di 76 km (la maggiore in Italia). «Stiamo realizzando delle opere che sono certamente finalizzate a un miglioramento dei servizi in vista dell’Expo, ma in prospettiva resteranno alla città – spiega un ingegnere direttamente coinvolto nei progetti –. Si tratta di interventi che, con il tempo, si sarebbero comunque resi indispensabili». I progetti per il prolungamento delle tre linee esistenti sono già stati approvati dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e alcuni dei cantieri stanno lavorando a pieno ritmo, mentre due linee verranno create ex novo per entrare ufficialmente in funzione ai primi del 2015. La linea 1 verrà prolungata da Sesto a Monza Bettola (nella zona sud della città, al confine con Cinisello Balsamo) e il cantiere aprirà il prossimo anno; la linea 2 verrà allungata in direzione Assago e in questo caso i lavori, ormai in fase molto avanzata, verranno completati entro il 2009; per l’inizio del 2011 dovrebbe essere invece ultimato il prolungamento della linea 3, da Maciachini a Comasina. Fin qui i potenziamenti dell’esistente, ma i progetti di MM per l’Expo non si fermano qui: il progetto per la linea 4, che andrà da Lorenteggio a Linate passando per piazza San Babila, è già stato in gran parte finanziato, mentre alcuni operai sono al lavoro per uno dei primi cantieri della linea 5, il cui tragitto, da Garibaldi a Bignami, procederà lungo viale Zara e viale Fulvio Testi. «Nel 2007 è stata poi ultimata la metrotramvia per Cinisello Balsamo, che migliorerà considerevolmente i collegamenti con l’hinterland milanese – dichiara l’ente Metropolitana Milanese –. Il problema fondamentale è proprio questo: andare a prendere gli utenti che arrivano da fuori città. Milano ha un territorio piccolo se paragonato a quello di altre metropoli delle stesse dimensioni. Non ha più senso che il trasporto pubblico si concentri solo all’interno della città». Sono inoltre in corso degli studi di fattibilità relativi a un progetto che prenderà concretamente il via nel caso in cui il capoluogo lombardo ottenga l’Expo: se il Bie preferisse Milano a Smirne, verrebbe approvato lo sbinamento della linea 1. «Attualmente questa linea è limitata perché divisa in due rami – dichiara un tecnico –. Con lo sbinamento verrebbero create due linee indipendenti, con un significativo aumento della frequenza dei treni e della capacità di trasporto dei passeggeri». Capacità che già allo stato presente è di tutto rispetto: ogni giorno i treni di Metropolitana Milanese trasportano circa 900mila persone, destinate a diventare 1milione e 400mila a seguito delle opere di potenziamento. Tutti gli interventi in corso di realizzazione potrebbero indurre sempre più cittadini ad abbandonare l’auto, risolvendo la situazione di squilibrio fra trasporto pubblico e privato che da sempre affligge Milano. «A questo proposito bisogna fare una distinzione tra chi si sposta all’interno della città e chi arriva da fuori – sottolinea ancora Metropolitana Milanese –. Se rimaniamo sul territorio milanese, la percentuale di uso dei mezzi pubblici si aggira intorno al 50% e ciò dimostra che l’offerta è buona e ben distribuita, anche dal punto di vista della frequenza. Questo però riguarda poco meno della metà del traffico milanese. Il resto è costituito da chi arriva da fuori e ha meno alternative all’uso del mezzo privato, soprattutto nel caso in cui provenga da un paese vicino, come per esempio Novate Milanese, e non debba raggiungere il centro della città. In questo gruppo di utenti la percentuale di uso dei mezzi scende a meno del 30%. Se non devi neppure entrare nella cerchia dei bastioni fai prima con la macchina. Ancora diverso è il discorso per chi arriva da più lontano, da Varese piuttosto che da Novara. La maggior parte di queste persone sceglie comunque il treno, nonostante ritardi e inefficienze varie». La sfida è quindi quella di soddisfare la domanda dei pendolari che vivono nelle zone più vicine, ma meno servite. Anche perché sfruttando maggiormente il trasporto pubblico si potrebbe ridurre l’emergenza inquinamento, solo scalfita dai provvedimenti del Comune. «L’ecopass ha indubbiamente ridotto il traffico in centro, ma riguarda un’area geografica troppo ridotta per risolvere un problema grave come quello delle polveri sottili, che interessa l’intera Pianura Padana» dicono dalla Metropolitana. Impulso ai mezzi pubblici, dunque: finora sono stati stanziati 260mila euro per la linea 3 (60% dallo stato e 40% dal comune di Milano), 70mila euro per la linea 2 (60% dallo stato e 40% diviso tra comune di Assago, comune di Milano, Provincia e Regione Lombardia), 200mila euro per la linea 1 (60% dallo stato e 40% diviso tra i comuni di Milano, Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo e Monza, Provincia e Regione Lombardia). Per le linee 4 e 5 lo Stato si è impegnato a contribuire per il 40%, mentre il resto dei finanziamenti dovrà essere erogato dal comune di Milano. Non è però ancora venuta meno la speranza che il contributo statale possa aumentare: a conti fatti, ogni euro avvicina Milano all’Expo e l’Italia a una prestigiosa vetrina internazionale.


Ecco la Milano dei mezzi pubblici

È fatta: Milano ha ufficialmente conquistato l’Expo 2015. Questo significa miliardi di euro di investimenti, 30 milioni di turisti in arrivo, 70mila nuovi posti di lavoro e tantissimi progetti in cantiere. Tra i partner del comitato che ha sostenuto la candidatura meneghina di fronte al Bie figura anche Atm (Azienda trasporti milanesi), la più estesa rete italiana di trasporto pubblico. Nel capoluogo lombardo spostarsi velocemente, sfuggendo per quanto possibile all’incubo del traffico, è importante e lo diventerà ancora di più in occasione della prestigiosa manifestazione internazionale in programma tra sette anni. «L’Expo rappresenta indubbiamente una grande opportunità, ma molti dei nostri progetti erano già stati finanziati e avevano preso il via prima dell’assegnazione – spiega Marco Pavanello, direttore Marketing e comunicazione di Atm –. A differenza di MM e del consorzio che sovrintende alla realizzazione della linea 5 della metropolitana, noi ci occupiamo della gestione di infrastrutture che altri ci affidano. È quindi naturale che seguiamo più progetti a breve termine rispetto a loro. A settembre dell’anno scorso la nostra azienda ha approvato il piano d’impresa 2008 – 2010 e il fatto di lavorare in prospettiva triennale rappresenta una novità assoluta per noi, abituati a gestire programmi a scadenza ravvicinata. La recente pianificazione è la prima nella storia di Atm a riguardare un periodo così lungo. Il cambiamento è stato introdotto dal nuovo presidente e amministratore delegato, Elio Catania». Come dire, il 2015 è lontano, ma i cittadini di Milano e dell’hinterland chiedono di viaggiare meglio già da oggi. Per questo sono stati recentemente stanziati 900 milioni di euro per il potenziamento del trasporto pubblico nel capoluogo. Un terzo di questi fondi deriva dall’autofinanziamento, perché l’Azienda trasporti milanesi non se la sente di aumentare il prezzo dei biglietti in un periodo in cui il potere d’acquisto degli italiani è in caduta libera e molte famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese. D’altro canto, Stato, Regione Lombardia e Provincia investono relativamente poco su questo fronte. «Atm è una società per azioni un po’ particolare, perché le tariffe delle corse vengono stabilite dal mondo della politica e noi possiamo controllare i costi, ma non i ricavi – continua Pavanello –. Quindi, se non vogliamo far pagare di più gli utenti e le istituzioni non ci forniscono capitali sufficienti, dobbiamo necessariamente lavorare meglio a livello interno. Tagliando gli sprechi siamo riusciti a liberare molte risorse e ad autofinanziare i nostri progetti per 300 milioni. Il resto viene dai contributi delle autorità competenti». I fondi verranno utilizzati per tre finalità principali: 600 milioni serviranno per l’acquisto di 700 nuovi mezzi, tra treni per le linee metropolitane, autobus EEV (Enhanced Environmental Vehicle, ovvero Veicoli ad elevata sostenibilità ambientale, che anticipano la normativa antinquinamento Euro 6), tram (Sirio da 32 m e Sirietti da 26 m), filobus e minibus ibridi (cioè alimentati con gasolio ed elettricità), 250 milioni andranno a migliorare la qualità del servizio (ad esempio con l’istituzione di più Atm point informativi e la climatizzazione dei mezzi) e i rimanenti 50 saranno spesi per potenziare infrastrutture e tecnologie (la nuova sala operativa dell’azienda sarà pronta a luglio 2008). Si tratta di investimenti notevoli, ma ritenuti indispensabili per incoraggiare l’uso dei mezzi pubblici. «Le città italiane non sono pensate per sopportare il grande traffico – sottolinea il direttore Marketing di Atm –. Hanno centri storici e vie strette che richiedono uno shift modale dal trasporto privato a quello pubblico. A Milano la situazione è già piuttosto buona: l’80% degli studenti e il 65% dei residenti hanno rinunciato all’automobile. Però si può fare di più. Escludendo le ore di punta, la metà dei nostri mezzi di superficie viaggia quotidianamente vuota e anche le linee 2 e 3 della metropolitana funzionano al di sotto delle loro capacità. Bisogna fare in modo che cresca la domanda, aprendo nuove corsie preferenziali per gli autobus ed estendendo l’area interessata dall’ecopass. Ne trarremmo beneficio tutti, a cominciare dall’ambiente, che Atm cerca di tutelare facendo percorrere il 65% dei 1500 km della propria rete a mezzi elettrici». Nei tre mesi immediatamente successivi all’introduzione della pollution charge, l’Azienda trasporti milanesi ha registrato un incremento del numero degli utenti: si parla di 10mila abbonamenti in più, che hanno portato a una considerevole diminuzione del traffico nel centro cittadino. Qualunque risultato è migliorabile, ma questo è un primo passo. E poi all’Expo mancano ancora sette anni. Chissà se per allora Atm sarà riuscita a ripulire almeno un po’ l’aria di Milano.


I ritardi di Le Nord sono... politici

La questione è politica: ecco il motivo dei disservizi delle Ferrovie Nord Milano secondo un macchinista che lavora nell’azienda di trasporto locale da 32 anni e che, dall’inizio della carriera ad oggi, ha notato solo cambiamenti in negativo. «I treni di adesso sono più freddi, più sporchi e sempre più spesso in ritardo rispetto al passato», dichiara la nostra fonte, operatore e utente di Le Nord. La colpa è di un materiale rotabile scarso e decisamente troppo datato: i treni 700, 730 e 740 hanno più di mezzo secolo, i 750 (quelli a due piani, per intenderci) hanno 25 anni e persino i recenti Taf (Treni ad alta frequentazione) devono fare i conti con dei problemi tecnici non indifferenti. «I Taf soffrono del cosiddetto mal d’inverno – spiega il macchinista –. Quando si verificano delle forti gelate il pantografo si stacca dalla linea di contatto, il sistema va automaticamente in stato di protezione e il treno si blocca, a meno che non debba percorrere un tratto in discesa, dove procede per forza d’inerzia. Per questo di solito da novembre ad aprile per le prime corse della giornata non vengono utilizzati i Taf, ma altri treni che puliscono la linea di contatto. Anche il Malpensa Express (il diretto in servizio tra l’aeroporto di Malpensa e la stazione milanese di Cadorna ndr) viene sempre preceduto da una motrice che svolge questa funzione. Comprensibilmente, i problemi sorgono se capita che il clima sia molto rigido anche fuori stagione». Questi mezzi «che ricordano il periodo anteguerra», dovrebbero essere sostituiti in un mondo ideale o, quantomeno, data la cronica carenza di fondi che caratterizza il mondo reale, necessiterebbero di un’accurata e costante manutenzione per garantire un servizio decente. In realtà ciò non accade e qui entra in gioco la politica: «La Regione Lombardia ci impone di adottare un orario a cadenzamento ravvicinato, ovvero di far viaggiare su tutte le linee di percorrenza un treno ogni mezz’ora anziché ogni ora, anche nei momenti della giornata in cui è assolutamente superfluo – continua il dipendente di Fnm –. Questo costringe le macchine a girare 20 ore su 24 senza possibilità di effettuare le indispensabili soste per la manutenzione. Il risultato è prevedibile: i treni sono troppo vecchi per sopportare ritmi del genere e finiscono per scoppiare. Quindi viviamo una condizione di continua emergenza». L’amministrazione regionale ha promesso 80 nuovi Tsr (Treni servizio regionale) per far fronte alla situazione, ma finora a Le Nord ne sono arrivati solo otto. Quasi tutti gli altri sono stati dirottati sulle linee di Trenitalia per mantenere almeno in parte le «promesse da campagna elettorale» di Roberto Formigoni, che ha garantito mille nuovi treni ai pendolari lombardi. Treni che devono essere mostrati ai cittadini, anche se in realtà non sono a disposizione. A circolare sono sempre gli stessi, con tutti gli acciacchi dovuti all’età: «Le macchine vengono spostate un po’ qui e un po’ là, a seconda delle esigenze – prosegue il macchinista –. Succede addirittura che i treni guasti che suscitano le proteste degli utenti su una certa tratta vengano trasferiti su un’altra linea per un certo tempo. Nel momento in cui iniziano le lamentele anche nella nuova collocazione, i mezzi incriminati vengono destinati a un terzo percorso, ovviamente senza che a qualcuno venga in mente di fermarli per le riparazioni. Così ritornano alla tratta originaria con gli stessi problemi di mesi prima, di cui si spera che i pendolari si siano nel frattempo dimenticati. Siamo arrivati a un punto tale che l’azienda si accontenta del rispetto degli standard di sicurezza minimi. In sostanza, a loro interessa che il treno si muova. Il fatto che poi viaggi con le porte bloccate, con i bagni inagibili perché intasati o con i sedili sporchi da fare schifo, non è avvertito come un problema di cui preoccuparsi». La soluzione sarebbe quella di tenere sempre almeno cinque treni fermi come riserva, per consentire la manutenzione minima, attualmente confinata alle ore notturne, durante le quali due squadre di operai lavorano a pieno ritmo, non riuscendo a fare miracoli. I fondi indispensabili per acquistare i suddetti treni, però, non ci sono, anche per colpa dei passeggeri sempre pronti ad indignarsi. Quanti di loro non pagano il biglietto? Infatti, se in metropolitana l’introduzione dei tornelli ha portato alla quasi totale estinzione dei portoghesi, nel tratto del passante ferroviario milanese, cogestito da Fnm e Trenitalia, molti viaggiano gratuitamente, approfittando dell’assenza di controlli. «La situazione era migliorata tempo fa con l’introduzione delle squadrette, ovvero tre o quattro controllori che affiancavano il capotreno e si dedicavano esclusivamente alla verifica dei titoli di viaggio – spiega la nostra fonte –. I risultati erano positivi, ma questo provvedimento è stato abbandonato per carenza di personale». Ecco un altro problema non trascurabile: servirebbero più operatori, anche perché, con l’arrivo dei nuovi mezzi, macchinisti e tecnici devono fermarsi almeno una settimana per i corsi di aggiornamento necessari a guidarli. «Noi ci sforziamo di offrire il miglior servizio possibile, ma non è semplice confrontarsi con gli utenti, per i quali siamo rappresentanti di un’azienda di disservizio – conclude il dipendente di Le Nord –. Certo, la loro reazione è comprensibile. L’assenza di pedane per agevolare l’accesso dei disabili o di soffietti per passare da una carrozza all’altra senza uscire all’aperto mentre il treno è in movimento poteva essere tollerata 50 anni fa, ma nel terzo millennio fa ridere, per non dire piangere. Penso che se un tunisino viaggiasse sui nostri treni rimpiangerebbe quelli del suo Paese». Intanto la Regione continua a fare grandi promesse. In campagna elettorale tutti i voti contano e quelli dei pendolari sono migliaia…

[lucia landoni]
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MOSTRA

Come ti metto Audrey Hepburn sui manifesti

Chi non conosce Audrey Kathleen Ruston, nata a Bruxelles, ma di nazionalità inglese? O meglio, chi non ha mai visto un film interpretato dalla diva più elegante che Hollywood abbia mai conosciuto, vale a dire Audrey Hepburn (nota appunto col cognome della nonna materna)? Cresciuta in Olanda sotto il regime nazista, durante la seconda guerra mondiale studiò danza per poi approdare al teatro e infine al cinema americano, in cui interpretò ruoli indimenticabili soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta.

Dalla principessa Anna in Vacanze romane (1953) (Oscar come migliore attrice), a Holly Golightly in Colazione da Tiffany (1961) a Sabrina nell’eponimo film (1954). Ora una mostra alla Galleria degli Artisti di Milano – inaugurazione il 28 aprile – intitolata Audrey Hepburn in manifesto, metterà a disposizione di fan e curiosi le locandine italiane originali dei suoi film.
Sono tratti dalla collezione privata di Andrea Croci, giovane cantante e attore milanese che ha cominciato a raccoglierli da quando aveva sedici anni e che per la prima volta ha deciso di mostrarla al pubblico: «Avevo già prestato alcuni di questi manifesti – spiega il giovane collezionista – per la mostra Audrey Hepburn, una donna, lo stile, organizzata a Firenze nel 1999 dal museo Salvatore Ferragamo, in cui accompagnavano un’esposizione di vestiti originali dei film dell’attrice. Questa volta invece saranno i manifesti stessi ad essere messi in risalto». Da Colazione da Tiffany del ’62 a Sciarada, da Cenerentola a Parigi a Quelle due, fino a Vacanze romane (un poster gigantesco di 4 metri x 2, del quale esiste soltanto un’altra copia), ci si potrà fare un’idea di come Audrey Hepburn venisse raffigurata per il grande pubblico italiano. Ma questa mostra non sarà soltanto un omaggio all’attrice: «In realtà è come una vera e propria mostra di quadri – prosegue il giovane attore –. Questi manifesti furono realizzati da Ercole Brini (autore, tra l’altro, anche della locandina di Via col vento): è una pittura ad acquerello un po’ stilizzata e di grande effetto drammatico. Nelle locandine americane ci si limitava a mostrare soltanto le sagome degli attori. Il manifesto italiano trova un valore aggiunto nel rappresentare delle scene e nell’usare uno stile pittorico che è sempre stato apprezzato in tutto il mondo». La venerazione di Andrea Croci per la sua diva prediletta non si limita alla sua carriera cinematografica: «Amo Audrey non soltanto per i suoi film. Ammiro molto il modo in cui aveva affrontato le difficoltà della sua infanzia e la sua generosità quando, dopo avere smesso quasi del tutto di recitare, cominciò a occuparsi dei bambini nei paesi più disagiati, diventando ambasciatrice speciale dell’Unicef». Per Croci la Hepburn incarna l’assoluta bellezza del cinema di una volta e purtroppo non ha lasciato eredi: «Come Marilyn Monroe, Shirley MacLaine o Grace Kelly è un’attrice unica e irripetibile, un’icona senza tempo». Una donna che, se in Colazione da Tiffany diceva di «non potere appartenere a nessuno», grazie a questa mostra – che ne immortala la magia e la classe – diventa di nuovo il sogno di tutti.

[luca salvi]
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TELEVISIONE

Giovani talenti per il nuovo spettacolo della Clerici

Il ritorno al passato fa presa, la musica leggera anni Sessanta piace, specie al pubblico televisivo del sabato sera. Cavalca il successo de “I migliori anni” di Carlo Conti il nuovo spettacolo condotto da Antonella Clerici in onda su Rai Uno dal prossimo 5 aprile. Venti giovani talenti tra i 10 e i 15 anni, provenienti da scuole di canto e dallo Zecchino D’Oro, saranno i protagonisti di Ti lascio una canzone, sfidandosi nella reinterpretazione dei successi del passato.

«Canteranno dal vivo – sottolinea la Clerici – accompagnati dall’orchestra diretta dal maestro Leonardo De Amicis. Abbiamo scelto minorenni non professionisti per dare un messaggio di giovinezza e ingenuità: sarà divertente vedere ragazzini nati nel 2000 intonare i successi della musica italiana. Il programma vuole essere un omaggio alla nostra tradizione canora dimostrando il suo valore anche per le nuove generazioni». Ti lascio una canzone è prodotto in collaborazione con la Ballandi Entertainment, ideato e diretto da Roberto Cenci, e andrà in onda in quattro puntate in diretta dal teatro Ariston di Sanremo. La giuria sarà composta da cantanti ed esperti del settore che hanno debuttato in giovane età (sabato sarà il turno di Anna Tatangelo) e avrà il compito di giudicare le performance e assegnare il premio di qualità alla migliore. Ma sarà il pubblico da casa con il televoto a decretare la canzone vincitrice di ogni puntata e quella della finalissima. Accanto alle esecuzioni dei giovani cantanti ci sarà spazio per gli interventi comici di Max e Angelo, vincitori dell’ultima edizione di Stasera mi butto, e per l’esibizione di interpreti nazionali e internazionali. La super-ospite della prima puntata di Ti lascio una canzone sarà Liza Minnelli. «Canterà i suoi successi, da Cabaret a New York New York – dice la conduttrice – e spero che interagisca con i bambini». Ma non saranno solo i ragazzi e gli ospiti a esibirsi in performance canore: la stessa Antonella Clerici interpreterà la sigla di apertura con 40 ragazzi e promette un look «da hippy chic, molto colorato, firmato Laura Biagiotti». La nuova trasmissione, tuttavia, dovrà vedersela con gli alti ascolti della Corrida di Gerry Scotti: «Non ho l’ambizione di superare la Corrida che è imbattibile, lo sa anche il direttore di rete, Fabrizio Del Noce, che mi ha chiesto di mantenere lo share intorno al 20-22%. L’importante è realizzare un buon prodotto». Punta sul vivo, la Clerici, difende anche gli ascolti de Il treno dei desideri che si è visto sorpassare da C’è posta per te: «Contro un programma fatto così bene e che si rivolge allo stesso nostro target abbiamo ottenuto una media del 24-25%, che considero un grande successo. In un altra collocazione il Treno avrebbe raccolto anche il 28-30%». Nel frattempo la bionda conduttrice continua con La prova del cuoco. E a settembre? «Si vedrà».

[gaia passerini]
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SPETTACOLI

Disney on Ice: la magia arriva in Italia

Prendi Pinocchio e Mulan. Il Re Leone e i giocattoli di Toy story. La Bella addormentata nel bosco e Gli Incredibili. Tutti assieme, presentati dalla coppia per eccellenza, Minnie e Topolino, in quella che sembra essere la moda del momento: un musical sul ghiaccio.

Non solo: un musical sul ghiaccio d’eccezione, che dal suo debutto nel 1999 è stato visto da più di 13 milioni di persone in tutto il mondo. Tutto questo è “Disney on Ice”, per la prima volta, dopo anni di attesa, in Italia, a Milano, Torino e infine Roma.
Le prevendite, già aperte su Ticketone e Vivaticket, stanno facendo registrare numeri da record: ma come potrebbe essere altrimenti per uno spettacolo dove oltre sessanta personaggi dai costumi sbalorditivi e curatissimi volteggiano sul ghiaccio dei palazzetti al ritmo delle musiche di maestri come Art Kempel e Stan Bread per portare davanti agli occhi di tutti le scene più famose dei cartoni Disney?
L’allestimento è di quelli monumentali: oltre 130 persone, 25 tir, e almeno tre giorni per essere montato tutto. Una superficie di oltre 840 metri quadri dove, sulle scenografie di David Potts, far vivere ai bambini – ma anche ai più grandi – la scena della balena di Pinocchio o del drago della Bella Addormentata, animati da macchine sceniche speciali, o dove far danzare La Bella e La Bestia, con le coreografie di Sarah Kawahara, che ha già vinto un Emmy Award e che ha lavorato con la pattinatrice Michelle Kwan, pentacampione del mondo.
Prodotto da Feld Entertainment, e presentato in Italia da Applauso Spettacoli, “Disney on Ice”, questa antologia dei più celebri brani della Disney, sarà presentato in 15 date, tre per ogni città. Dal 9 al 13 aprile al Palasharp di Milano, dal 16 al 20 aprile al Mazdapalace di Torino e infine al Palalottomatica di Roma dal 23 al 27.

[gaia passerini]
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