CONFLITTO DI GAZA

Intervista a Nahum Barnea

«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.

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[viviana d'introno e cesare zanotto]

L'INTERVISTA

La voce della libertà

Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.

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[marzia de giuli e luca salvi]

L'INCHIESTA

È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).

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[alberto tundo]

MARIO CAPANNA

Onda e '68 a confronto

Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.

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[cesare zanotto]

CIBO E MEMORIA

Viaggio nel gusto italiano


La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.

[francesco perugini]

GIORGIO BOCCA

Intervista sulla crisi del giornalismo italiano


Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.

[gaia passerini]

ASTRONAUTI

Paolo Nespoli, l’uomo dello spazio


Dalle stellette alle stelle. Una strada né breve, né facile, ma possibile. Paolo Nespoli ce l’ha fatta. Un percorso cominciato nel 1977 alla scuola di paracadutismo di Pisa e giunto al culmine con la missione Space Shuttle Atlantis dove l’agenzia spaziale europea (Esa) dopo un lungo addestramento, lo scorso ottobre lo ha lanciato in orbita. In mezzo tante esperienze: incursore con il battaglione d’assalto Col Moschin di Livorno, due anni in Libano dal 1982 al 1984 al seguito del contingente Italcom e una laurea in ingegneria meccanica riconosciutagli dall’Università di Firenze.

Un personaggio come Paolo Nespoli è il testimonial ideale per le forze armate che lo hanno invitato a raccontare la sua esperienza davanti a un folto pubblico composto da autorità militari, politiche e tanti bambini. Sono soprattutto loro ad essere affascinati dalla figura dell’astronauta. E proprio i più piccoli, i soldati di domani, sono i principali destinatari dell’evento, organizzato, guarda caso, dal distaccamento lombardo dell’ufficio promozione reclutamenti. Detto questo, la scelta è stata decisamente azzeccata. Paolo Nespoli è un uomo colto e umile, e quando il Presidente del consiglio comunale di Milano, Manfredi Palmeri lo presenta come “angelo ed eroe”, Lui nega e rispedisce al mittente l’aura retorica che le autorità politiche e militari hanno cercato di costruirgli intorno. Quando prende la parola, la platea è subito rapita perché Nespoli è un ottimo oratore e la sua presentazione diretta e coinvolgente. Scorrono in video le dure fasi dell’addestramento, effettuato in Canada e in New Mexico, le riprese mozzafiato della partenza e le immagini del colloquio in orbita con il Presidente della Repubblica Napolitano. Non mancano però le curiosità e, quando una bambina gli chiede come se la sbrigavano con il bagno, Nespoli risponde divertito ma non troppo: «In effetti è un problema concreto perché in assenza di gravità non è facile. Tanto che nell’addestramento hanno inserito una simulazione in cui dobbiamo riuscire a….centrare il buco». E in chiusura c’è spazio per una licenza poetica che Nespoli dedica soprattutto alle giovane generazioni: «Guardate avanti e puntate sempre in alto:le stelle non sono poi così lontane». Se lo dice lui, c’è da credergli.

[luca aprea]
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ESTERI

India, dietro le violenze anti-cristiani la regia del potere

Come se la passano le minoranze cristiane in India? Negli ultimi due anni gli episodi di violenza contro le comunità cristiane sono cresciuti in modo esponenziale. Un rapporto dell’All Catholic Union, associazione che riunisce i laici cattolici indiani, lo scorso novembre denunciava 190 casi di attacchi dall’inizio del 2007. Da quest’estate si è registrato il picco storico di aggressioni: quattro ogni settimana. «È difficile che le persecuzioni contro i cristiani si esauriscano finché c’è al governo il Partito del Congresso. I nazionalisti, tornati al potere, considerano Sonia Gandhi una pedina del Vaticano», spiega padre Carlo Torriani, un missionario del Pime, il Pontificio istituto per le missioni estere.

Padre Torriani vive a Mumbai dal 1969, dove si occupa del suo ashram, un eremo a pochi chilometri dalla città dove accoglie una comunità di 40 lebbrosi che ha fondato nel 1983, e di un’organizzazione che si occupa di curare le persone affette dalla lebbra.
La sua comunità è stata mai oggetto di violenze?
«No, non è mai stata presa di mira dall’intolleranza degli estremisti indù, mentre in una comunità vicina alla mia altri padri con cui lavoro, proprio cinque giorni fa, hanno subìto un attacco durante una riunione nella parrocchia di padre Francis Mulakkal. Erano attivisti del Bajarang Dhal, uno dei gruppi fondamentalisti presenti nella regione. Hanno fatto irruzione nella sala e hanno cominciato a lanciare sassi. Legati a questi episodi ci sono anche le richieste d’ammissione alle numerose scuole parrocchiali di Mumbai, molto ambite da famiglie di ogni confessione perché rappresentano esempi d’eccellenza. Il numero delle richieste continua a crescere e questo preoccupa gli estremisti».
Quindi anche le scuole sono nel mirino degli induisti.
«Sì, e non capita raramente, dato che a Mumbai i cattolici sono mezzo milione. Le scuole diventano un bersaglio privilegiato. Insegnanti e dirigenti scolastici vengono sottoposti a continue minacce. Talvolta sono vittime di pestaggi.
Pochi giorni fa in Turchia un ragazzo ha accoltellato padre Adriano Franchini, un sacerdote di Smirne. Le autorità parlano di uno squilibrato. Ma appare più concreta la possibilità che si sia trattato di un infiltrato di cellule fondamentaliste. Dietro alle aggressioni anti-cristiane in India c’è una regia?
«Certo. Almeno due. La prima è quella rappresentata dal Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss), un’organizzazione integralista indù che ha come obiettivo principale quello di combattere le minoranze cristiane. Le considerano protagoniste di un vero e proprio attentato culturale all’identità indiana. Chi si converte al cristianesimo, nella logica di questi gruppi, verrebbe sradicato con la forza alle proprie tradizioni induiste. Sono arrivati a colpire fin nel sud dell’India, a Goa e Bengaluru, dove la presenza di comunità cristiane è più bassa. Lì il bersaglio sono i predicatori, sia cattolici che protestanti. Il pretesto dell’odio religioso è il solito: conversioni forzate. Poi c’è il Bharatiya Janata Party, uno dei partiti nazionalisti più intransigenti, che sta guidando una campagna contro la parità dei diritti fra le religioni in India promuovendo riconversioni forzate che chiama “ritorno a casa”. Questo avviene soprattutto nel Madhya Pradesh, nell’Orissa e nelle aree tribali, sfruttando il fatto che si tratta di zone meno sviluppate, in cui la popolazione è completamente inerme. Sfrutta i giornali attraverso proclama che annunciano migliaia di riconversioni. Poi si scopre che in realtà sono sempre meno di quelle annunciate, ma il fenomeno esiste».
Quando termineranno le aggressioni?
«È difficile prevederlo. Finché al governo c’è il Partito del Congresso non credo che succerderà. È una cosa organizzata per screditare Sonia Gandhi. Viene vista come una specie di infiltrata del Vaticano. Ma in realtà non ha mai preso le difese dei cattolici. Lascia fare agli altri, non si è mai esposta a questo gioco politico. L’obiettivo è quello di farla cadere per restaurare uno Stato integralmente indiano».
Qualcuno è mai venuto da lei per essere battezzato? «Apertamente no. Almeno in questo periodo. All’inizio sì, nei primi anni mi capitava, ma avevo paura che fossero mandati dalla polizia per vedere come mi comportavo. Quando succedeva non battezzavo nessuno. Magari regalavo una Bibbia, ma mandavo chi voleva convertirsi da un parroco indiano».
Ma ci sono casi in cui battezzare nuovi fedeli non comporta rischi?
«Sì, Mumbai per questo è abbastanza sicura, soprattutto da quando i vescovi hanno introdotto l’affidavit. È un atto giuridico che impone ai nuovi fedeli di presentarsi di fronte a un giudice per dichiarare che ci si converte liberamente e senza aver subito pressioni.
Ma, una volta che la conversione è divenuta di ordine pubblico, la paura di subire violenze non potrebbe dissuadere anche i più devoti? «Può essere, ma è una mossa prudenziale dei vescovi per evitare che le conversioni vengano impugnate come conversioni forzate o conversioni di minori. Questo però non avviene negli altri Stati del sud. Per esempio in Andhra Pradesh , dove tutti i nostri padri del Pime lavorano. Là le conversioni avvengono ancora con il rito tradizionale».
E cosa succede qui a chi decide di convertirsi?
«Oltre a subire aggressioni viene emarginato. La maggior parte dei convertiti fa parte dei cosiddetti fuori casta, il gradino più basso della scala sociale, ma a cui Gandhi ridiede dignità. Quando un indiano si converte al cristianesimo non può godere più del sostegno sociale di cui godono invece i fuori casta indù, e cioè posti riservati nelle scuole, nelle università e nel lavoro. È una doppia emarginazione: sociale e religiosa.
Nella sua comunità, oltre ai Vangeli, legge passi del Corano e del Bagavadgita. Promuove il dialogo interreligioso. Pensa ancora alla missione apostolica?
«Io continuo a testimoniare la parola di Gesù. Ma bisogna anche valorizzare le altre religioni. Fra i lebbrosi della mia comunità non ci sono cristiani. Sia dal punto di vista teorico che pratico, anche musulmani e indù possono accogliere il messaggio di Cristo. L’esempio più bello è quello di Gandhi. Io sono venuto in India perché ho letto la sua autobiografia. Più cristiano di lui, infondo, chi potrebbe esserci?».

[mario neri]
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SALUTE

Ictus, in dieci anni diminuiti i decessi del 10%

Ogni quattro minuti in Italia una persona viene colpita da ictus. Una malattia che, nel nostro paese, è ancora la terza causa di morte dopo le sindromi cardiovascolari e le neoplasie. L’attacco inoltre porta con sé altissimi costi sociali: sul totale dei malati, infatti, circa un terzo muore entro il primo anno, mentre un altro terzo resta invalido permanente con gravi conseguenze sulla sanità pubblica.

Ma negli ultimi anni si stanno compiendo grandi passi avanti, soprattutto in materia di prevenzione. È stato calcolato che ben l’80% dei casi potrebbero essere evitati con l’applicazione di efficaci misure preventive. In questo contesto si inserisce il lavoro di Spread (Stroke prevention and educational awareness diffusion) l’associazione che da dieci anni lavora per un unico obiettivo: creare un documento di raccomandazioni di buona pratica clinica sull’ictus cerebrale, condiviso da tutta la comunità clinico-scientifica. Oggi il volume prodotto da Spread e dal titolo Linee guida italiane per la prevenzione, la dignosi e il trattamento dell’ictus cerebrale è giunto alla quinta edizione. Un lavoro che, a dieci anni di distanza, rimane ancora l’unico esempio di linee guida condivise a livello clinico e scientifico e adottate da molti enti istituzionali tra i quali il ministero della Salute. Il progetto ha già ottenuto ottimi risultati: in dieci anni i decessi sono calati del 10%, mentre sono aumentati i pazienti che superano l’attacco con una minore disabilità residua. «Rimane però ancora molto da fare soprattutto sul fronte della prevenzione – afferma il Gianfranco Gensini, preside della facoltà di medicina e chirurgia e coordinatore generale di Spread –. In particolare, è necessario potenziare le stroke unit, strutture dedicate a questa patologia, ancora insufficienti in questo Paese».

[matteo mombelli]
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TEATRO

Legnanesi, l'orgolio di essere lumbard

Concluso il rodaggio nelle piazze della Lombardia profonda (sold out a Legnano, Cassano Magnago e Varese), i Legnanesi sbarcano durante il periodo delle feste a Milano: portano in scena Regna la rogna, rivisitazione aggiornata del testo originale di Felice Musazzi, che nel lontano 1949 fondò la compagnia. Puntuali almeno tanto quanto il panettone, dal 29 dicembre saranno ospiti dello Smeraldo, «che così ribadisce la sua natura di teatro popolare», come sottolinea il direttore artistico Gianmario Longoni. Uno che nel teatro dialettale e nel recupero delle tradizioni ci crede fortemente. Al di là di strumentalizzazioni e censure.

Quando qualcuno afferma che gli spettacoli dei Legnanesi sono di marca leghista, loro negano categoricamente e si offendono un po’. Un’ospitata a “Miss Padania” non è sufficiente per tacciare di “celodurismo” il teatro dialettale. Tanto più che Antonio Provasio e la sua compagnia si sono esibiti anche alla festa dell’Unità di Cremona, davanti a più di 3500 persone.
Tutti travolti dalle vicende dei Colombo, una «famiglia proletaria», come l’ha ironicamente definita lo stesso Antonio Provasio, su cui è imperniato anche questo Regna la rogna. La Teresa, la Mabilia e il Giovanni, maschere legate alla tradizione, alla Milano dei cortili, dei palazzi a ringhiera: «Per certi versi il nostro è un teatro di resistenza», afferma Enrico Dalceri, che con una parrucca bionda e le ciglia finte si trasforma nella Mabilia. È grazie a questo personaggio, parodia della divina Wanda Osiris, che i Legnanesi riescono ad inserire nei loro spettacoli numeri da rivista classica, con tanto di corpo di ballo.
Risate grasse, travestimenti, lustrini e pailettes: il pubblico sembra apprezzare questa miscela nazionalpopolare in salsa lombarda. Anche quando finisce sugli schermi delle tv private regionali. A quando la sfida con il grande pubblico? «Siamo stati contattatati da Giancarlo Bozzo, uno degli autori di Zelig – rivela Provasio –. Abbiamo rifiutato, seppure ingolositi. La nostra casa resta il teatro».


[fabio bordighi]
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LAVORO E TECNOLOGIA

Le imprese tecnologiche creano posti di lavoro

Il mercato del lavoro nel campo ICT (information&communication technology) segna anche in Italia una crescita graduale. Secondo un’indagine retributiva promossa dall’Associazione nazionale delle imprese ICT (“Assintel”), al 94% dei nuovi assunti viene garantito un posto di lavoro fisso. Ma permangono anche in questo settore alcune distorsioni tipiche del mondo occupazionale italiano.

Assintel ha ripreso questo tipo di analisi dopo alcuni anni di stallo e un rinnovamento dirigenziale interno. Spiega il presidente Giorgio Rapari: «Quest’anno riprendono le indagini, anche grazie all’aiuto dell’IDC, l’istituto di ricerca mondiale più importante in ambito tecnologico. Esse saranno utili alle imprese per orientare gli investimenti nel 2008. Anche se la crisi americana dei sub-prime fa prevedere una possibile ripercussione sul mondo occupazionale anche in Italia».
La ricerca, realizzata nel mese di novembre su 162 aziende (per lo più piccole e medie) tramite una metodologia on-line, mette in luce una crescita del mercato del lavoro del 4,3%. Fabio Rizzotto, dell’IDC Italia, lamenta come «il mercato informatico italiano abbia perduto valore nel settore hardware (solo il 3% delle imprese sono hardware vendor), mantenendo una certa vitalità in quello software (bel il 40%)». Per i lavoratori, le aziende adottano al 62% un contratto nazionale del terziario, ma per il restante 38% prevedono un contratto dell’industria metalmeccanica, senza però grosse differenze retributive tra i due tipi di contratto: si passa dai 76-78mila euro per i dirigenti ai 44-46mila per i quadri, 25mila per gli impiegati, fino ai 24-26mila per i lavoratori atipici. Sono alte le percentuali di benefit contrattuali (buoni pasto, cellulari, pc, autovetture di servizio, usufruibili in più del 70% delle aziende), utili risposte alla crescente mobilizzazione e “remotizzazione” del lavoro. Non si può dire lo stesso invece delle ore formative, che si assestano su una media di quasi 15 ore annue per addetto. Ancora negativa, come nota Fabio Rizzotto, la situazione femminile: «Leggermente penalizzata, come in altri contesti lavorativi, non presenta un’uguaglianza di opportunità e trattamento. Le donne lavoratrici sono il 20%, ma a livello dirigenziale si scende al 2,9%, quasi la metà della media generale a livello nazionale». Purtroppo non sono stati forniti i dati di retribuzione: le aziende hanno dato scarse informazioni da questo punto di vista. Anche per il 2008 è prevista una indagine retributiva: si potranno chiarire meglio le linee evolutive delle imprese tecnologiche italiane.

[luca salvi]
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CINEMA ITALIANO

“La meglio gioventù” del cinema italiano

Il cinema italiano non è più quello di una volta? Non abbiamo più grandi registi e vedette internazionali? Eppure qualcosa si sta muovendo se «un giorno qualcuno guarderà i film italiani degli ultimi dieci-quindici anni e scoprirà che raccontavano un mucchio di cose», come sostiene il critico Fabio Ferzetti nella introduzione al libro “La meglio gioventù”, da gennaio nelle librerie per Marsilio. Si tratta di venti giovani registi italiani, più o meno noti, che raccontano la loro prima esperienza dietro la macchina da presa: Saverio Costanzo, Alex Infascelli, Paolo Franchi, Francesco Patierno, Paolo Sorrentino, Daniele Vicari e altri ancora spiegano come sono riusciti ad ottenere i finanziamenti e a girare i loro primi lungometraggi (prodotti tra il 2000 e il 2006), offrendo esempi delle difficoltà che in Italia frenano la settima arte e di come si possa superarle, oppure svelando quali episodi della loro vita li abbiano ispirati.

Esemplare l’iter tortuoso ma fortunato di Infascelli per ottenere i diritti di “Almost blue”, il romanzo di Carlo Lucarelli, riuscendo poi a farsi produrre da Cecchi Gori. Nel libro si scopre come Costanzo ha deciso di girare “Private” dopo essere stato in Israele e in particolare dopo avere conosciuto una famiglia palestinese la cui casa era occupata da soldati israeliani, come accade nel suo film. Il libro è stato curato da Filmitalia, una società pubblica del gruppo Cinecittà Holding, presieduta da Irene Bignardi, che cerca di promuovere i film italiani nel mondo, aiutandone la distribuzione e portandoli nei concorsi e festival dagli Stati Uniti all’Estremo Oriente. “La meglio gioventù”, che verrà tradotto presto in inglese, è infatti anche il titolo della rassegna in cui vengono proiettati i 20 film, raccontati nel libro: una rassegna itinerante che finora ha ottenuto un buon successo e ha creato molta curiosità a Buenos Aires così come a Bruxelles. L’anno prossimo la rassegna si sposterà a Berlino, New York, Amsterdam, Singapore.


[luca salvi]
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INTERVISTA

Tv, pluralismo e legislazione

Intervista al Professor Oreste Pollicino, docente di diritto della comunicazione e dell'informazione presso l'università Bocconi di Milano.

Professor Oreste Pollicino, intercettazioni recentemente rese pubbliche hanno coinvolto Rai e Mediaset. Quali soluzioni ritiene più adatte al problema del pluralismo in Italia?

L’obiettivo dovrebbe essere quello di limitare l’intervento dell’esecutivo sulla composizione della Rai con una nuova normativa. Questo è il punto fondamentale: qualsiasi tipo d’iniziativa che va verso questo obiettivo può essere accolta come positiva. Poi, però, gli effetti favorevoli vanno visti sul campo. Non si deve cioè trattare di modifiche apparenti che nascondano in realtà un desiderio dell’esecutivo di mantenere il controllo sulla Rai. Quindi l’importante è che cambi l’approccio dell’esecutivo nei confronti della televisione pubblica, che non deve essere vista come un’area da colonizzare.

Come finora è stato…

Sì. Anche se non sempre, c’è spesso stata questa tendenza. Sarebbe importante portare avanti un progetto imparziale e di miglioramento qualitativo, ma ci dovrebbe essere un ripensamento rispetto agli approcci che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.
Il concetto fondamentale è che si dovrebbe garantire una pluralità di voci per formare l’opinione pubblica nel settore radiotelevisivo. L’opinione pubblica differenziata si forma attraverso l’ascolto e la metabolizzazione di voci diverse e ciò può essere garantito attraverso l’accesso al sistema radiotelevisivo di diversi operatori: il problema è che il mercato ha un’alta concentrazione oligopolistica. Ci sono due centri di forte potere economico, mediatico e politico, Rai e Mediaset, che si sono divisi il possibile, impedendo l’ingresso a nuovi soggetti.

Anche se ci sono altri operatori, come ad esempio La7.

Ma La7, che tra l’altro è la rete di Telecom Italia, ha un peso mediatico minore rispetto a Rai e Mediaset che occupano ciascuna tre reti televisive, quindi in tutto 6 frequenze. Questo fa sì che ci siano difficoltà per i nuovi operatori, che non riescono a inserirsi in un mercato già saturo.

Pensa che con il digitale possa cambiare qualcosa?

Questo è un altro punto fondamentale. La legge Maccanico aveva cercato di modificare la situazione di concentrazione oligopolistica modificando il limite di reti televisive per ciascun operatore da tre a due: questo significa che Rete4 avrebbe dovuto andare sul satellite. Però, come disciplina transitoria, la legge Maccanico ha permesso che la situazione illegittima si protraesse senza fissare un termine ultimo. La corte costituzionale nel 2002 aveva previsto come termine massimo il 31 dicembre 2003: entro quella data o si provvedeva a una nuova disciplina che veramente valorizzasse il pluralismo o si doveva provvedere a rimuovere quella che era la rete eccedente. Poi, con l’accordo bipartisan che c’è stato in sede parlamentare, ci si è accordati per spostare Rete4 sul satellite a patto che come contropartita Rai3 eliminasse la pubblicità.

Quali dunque le conseguenze della legge Gasparri?

La Gasparri doveva contrastare la concentrazione in televisione, ma l’ha di fatto amplificata. Da una parte è vero che prevede la transizione al digitale, però dall’altra parte ha posto un limite tecnico ed uno economico impalpabili. Il limite tecnico è quello del 20% della programmazione, che però riguarda non solo l’analogico ma anche il digitale: è una torta molto ampia quella che viene posta. Per quanto riguarda il termine economico lo si abbassa dal 30 al 20%: non si può avere più del 20% di tutti i ricavi del settore delle comunicazioni. Il problema è che, se il numeratore viene abbassato, il denominatore viene ampliato a dismisura perché questo 20% viene calcolato sul Sic (sistema integrato delle comunicazioni) che include tutta una serie di componenti per cui è veramente difficile avere il 20% di quel totale. Quindi praticamente non si è cambiato nulla.

A questo punto si profila il decreto Gentiloni.

Il decreto si propone di rimediare alla mancanza di pluralismo informativo e alla concentrazione esistente. Le intenzioni sono buone perché cerca di porre ordine a quella che è una situazione non in ordine: prevede un tetto massimo pari al 45% dei ricavi pubblicitari complessivi del settore televisivo, ma aggiunge questo limite senza toccare se non marginalmente i precedenti limiti.

Quali dunque i punti di forza e di debolezza del ddl Gentiloni? Potrà il decreto garantire l’autonomia del servizio televisivo pubblico dal potere politico?

Punti di forza, come dicevo, il limite del 45% dei ricavi pubblicitari complessivi. Poi il fatto che per la prima volta si dice chiaramente che le reti che hanno delle frequenze ridondanti devono essere restituite all’autorità garante delle comunicazioni che poi le assegnerà tramite gara. Questo è molto importante perché vengono liberate delle frequenze che possono essere poi attribuite a nuovi operatori.

E in quale modo verrebbero attribuite?

Questo lo prevede il decreto. Si dice fondamentalmente che il controllo sul corretto utilizzo delle frequenze compete al ministero delle comunicazioni anche attraverso attività di accertamento tecnico: le radiofrequenze devono cioè essere assegnate dal ministero che controllerà che vengano utilizzate nella maniera più corretta e poi ci sarà una gara pubblica che assegnerà le radiofrequenze secondo criteri equi, imparziali e trasparenti, non un’occupazione di fatto delle frequenze come purtroppo si è verificato negli ultimi anni in Italia. Poi i dettagli della procedura verranno probabilmente definiti meglio in una legge successiva. In generale, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge i soggetti possessori di più di tre reti televisive via etere in ambito nazionale devono presentare all’autorità garante delle comunicazioni un progetto di trasferimento delle reti in eccesso dal terrestre al digitale.

Insomma, Rete4 passerebbe sul digitale.

Sì, inoltre le frequenze radiotelevisive ridondanti per almeno il 98% devono essere liberate e restituite al ministero delle comunicazioni entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge.

Parliamo di servizio pubblico e territorio: pensa che una maggiore programmazione regionale possa creare pluralismo informativo o sarebbe meglio continuare con un servizio pubblico centralizzato?

In effetti quello di valorizzare le autonomie locali nel sistema radiotelevisivo è un processo che si è sempre cercato di avviare. Il problema è che ci sono interessi contrastanti: da una parte gli enti locali vogliono vedersi riconoscere una possibilità di intervento attivo per quanto riguarda le programmazioni che possono avere un’area di diffusione o comunque di interesse locale, dall’altra parte c’è una tendenza “centralista” da parte di alcune correnti politiche. Io credo che valorizzare le autonomie locali e il rapporto del cittadino con l’ente più vicino sia fondamentale per mettere in atto la cosiddetta sussidiarietà verticale, ma anche la sussidiarietà orizzontale, cioè l’intervento attivo della società civile all’interno dell’emittente televisiva. Penso che una maggiore programmazione regionale possa arricchire quello che è il servizio televisivo, più che danneggiarlo.

Ma non c’è il rischio che il servizio pubblico legato al territorio finisca preda dei politici locali?

Il rischio c’è. Bisogna riuscire a equilibrare interessi contrapposti e non bisogna lasciare mano libera ad ambizioni di gestione solamente locale. Valorizzare il servizio all’interno delle commissioni parlamentari, delle conferenze stato-regione, cercare di migliorare il rapporto cittadino-sistema radiotelevisivo avvicinandosi al cittadino, questi gli obiettivi.

E cosa pensa delle tv locali che qualcuno ha definito delle reti di serie b?

Non spetta a me valutare lo standard qualitativo delle reti locali. Quello che posso dire è che il pluralismo nasce da un mix diversificato di operatori pubblici e privati: più sono le reti private, più si evidenziano voci diverse, più c’è possibilità di entrata per imprenditori che abbiano idee nuove non allineate con opinioni già diffuse.

[giuseppe agliastro]
continua

MALATTIA MENTALE

Viaggio nel disagio psichico nelle case popolari milanesi

Il privato sociale è l’ultima spiaggia: il Cps non ce la fa a star dietro ai malati psichici del Molise-Calvairate. Malattia mentale e povertà sono anelli della stessa catena e qui c’è l’emergenza più esplosiva di Milano: il 6,8% degli inquilini degli alloggi popolari soffre di disturbi mentali. Per dare l’idea, nell’area attorno alla Stazione centrale, una zona comunque problematica, rappresentano lo 0,7% della popolazione, 7 su 1000. Al Molise-Calvairate, invece, ci sono anche 7 malati psichiatrici per scala, e buona parte vive sola.

Povertà e malattia mentale, due anelli della stessa catena

Molise-Calvairate è la periferia milanese, ma non è in periferia. È questo il grande contrasto vissuto da oltre 4.600 tra anziani, famiglie di immigrati, ex carcerati, invalidi e poveri che abitano a 20 minuti di tram dal Duomo e non possono permettersi un affitto a prezzi di mercato. Occupano le “case minime”, alloggi angusti e per questo adatti a persone sole. Monolocali di 20-25 metri quadrati, bilocali di 38, per i quadrilocali si arriva a 85; i servizi igienici sono ridotti all’essenziale: lavandino e wc in poco più di 2 metri quadrati, per il resto c’erano i bagni pubblici del caseggiato. Negli anni ’60, però, sono stati chiusi «per mancanza di disponibilità economica di mantenimento», riporta il contratto di quartiere II Molise-Calvairate, un «programma innovativo in ambito urbano, finalizzato alla riqualificazione di quartieri a prevalente composizione di edilizia residenziale pubblica» previsto dal decreto 2522 del 2007 emanato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. E così i bagni pubblici erano stati occupati abusivamente da chi non ha i mezzi neanche per un affitto popolare. Anche i solai, che una volta ristrutturati saranno nuovi alloggi, erano diventati il rifugio di senza tetto e di animali, soprattutto piccioni e ratti. C’è chi, in mezzo ai propri rifiuti e a quelli degli animali, aveva anche costruito un nido.
Chi poteva, si è fatto installare una piccola vasca o un piatto doccia a sue spese, senza alcun rimborso dall’Iacpm (Istituto autonomo case popolari di Milano) o, successivamente, dall’Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale). La faccenda delle strutture igieniche è grave soprattutto negli alloggi del Calvairate in via Tommei, quelli dove nacque Carla Fracci: qui addirittura il 30% delle abitazioni non ha doccia o bagno.
La manutenzione degli appartamenti non c’è mai stata. È troppo complicato rinfrescare le pareti, sostituire infissi o rimodernare gli impianti elettrici: gli assegnatari dovrebbero essere trasferiti per tutto il tempo dei lavori. E anche il contratto di quartiere II glissa sulla questione: gli interventi sono limitati a ridare dignità alle facciate e alle coperture. I lavori sono a buon punto: i palazzi del Calvairate sono stati ritinteggiati, al Molise mancano tre facciate, la metà. Sui ballatoi esterni, quattro bande arancioni con fori e crepe nel rivestimento, si alternano due finestrelle per ogni entrata. Qualche porta è sigillata per prevenire l’occupazione abusiva. Altre, di ferro, sono state riverniciate così tante volte da non camuffare più l’età. Gli infissi sono quasi sempre dei colabrodo, con i vetri rivestiti dall’interno, o rotti e tenuti insieme dal nastro adesivo.
Il contratto di quartiere prevede anche l’installazione di ascensori: solo al Calvairate, perché nelle scale interne o nei ballatoi esterni del Molise non c’è spazio, gli invalidi e gli anziani devono fare tutto con le loro gambe, schivando immondizie per le scale. Ma i lavori «di adeguamento igienico-sanitario» sono ancora soltanto parole. Franca Caffa, presidente del comitato degli inquilini dei quartieri Molise-Calvairate-Ponti, sbugiarda il documento programmatico: «Gli interventi di adeguamento igienico-sanitario consistono nell’installazione di bagni, ma è da gennaio che reclamo un piatto doccia per una vecchietta di 97 anni che non ha un posto dove lavarsi. Ancora non ho avuto risposte». In effetti, sui 2.487 alloggi Aler del Molise e del Calvairate (al Molise una parte è diventata proprietà privata), solo 686 dovrebbero essere sottoposti a interventi, si legge nel rapporto sul contratto di quartiere. «I dati relativi alla progettazione – avvisa Caffa – vanno tutti verificati: il Comune ha divulgato in modo sfacciato schede di progetti che si sapeva essere già stati modificati o sotto esame». La pubblicazione, affonda la presidente, «fa parte della campagna elettorale del maggio 2006»: il lancio dei contratti di quartiere era stato fatto a ridosso delle elezioni comunali. Ma poi, soprattutto con la giunta Moratti, la realizzazione dei progetti ha incontrato ostacoli. A Palazzo Marino, infatti, non c’è più un assessore per le periferie. Tradotto, significa che il dossier contiene dati oggettivi, ma l’attuale progettazione è ricalcata su decisioni «via via modificate con la lotta». E così, continua la storica presidente, «i lavori sono già in appalto, ma siamo nella situazione di dover riconsiderare i progetti; per i sofferenti psichici gli interventi erano insensati ma poi sono stati del tutto cancellati». Il piano prevedeva, per esempio, il recupero di alcuni spazi in disuso per la creazione di un centro di aggregazione destinato ai soli malati psichiatrici. Senza una concreta proposta di recupero e reintegro dei beneficiari, che già non hanno vita facile nei caseggiati popolosi. Urla, schiamazzi, litigi e lanci di oggetti dalle finestre rendono ardua se non impossibile la convivenza tra inquilini “normali” e malati, e i progetti di risocializzazione diventano di utopica concretezza anche a detta di chi si occupa di tradurli in pratica.
La situazione di degrado è anche peggiore di altri problematici quartieri meneghini. Quando furono costruiti, i caseggiati del Calvairate erano destinati ai tramvieri dell’Atm, spiega Giacomo Cerutti, baffi bianchi, cappotto ed elegante cappello, che da 50 anni vive poco distante dalla stazione di Porta Vittoria. «Mia moglie poteva girare tranquillamente sola con i bambini, li portava in piscina, che era lì, dopo i mercati. Adesso è meglio guardarsi le spalle, anche di giorno», si rammarica. In viale Molise si concentrava una buona fetta della Milano lavoratrice: la rimessa dell’Atm, la stazione ferroviaria (l’area è in corso di riqualificazione da quando i treni viaggiano sottoterra), i mercati generali, il macello e il mercato dei fiori.
In viale Molise non si passeggia: ci sono pensionati, anziani, immigrati, soprattutto uomini mediorientali. Le carrozzine sono rare e quasi sempre spinte da donne velate. E poi, i matti. C’è quello con lo sguardo perso e il sorriso ingenuo, ha il zucchetto blu, le scarpe aperte, i calzettoni tirati su fino al ginocchio con infilati dentro i pantaloni. C’è qualcun altro che percorre su e giù lo stesso marciapiede di piazza Insubria prima di girare l’angolo, chi gira con le scarpe estive, le gambe nude e i capelli in disordine.
«La struttura sociale - spiega Antonella Terracciano, assistente sociale - era diversa: c’erano lavoratori, umili, ma con un progetto di vita. Adesso c’è un alto tasso di immigrati, poveri, disoccupati allo sbaraglio». Negli anni ’60 e ’70 c’erano fabbriche metalmeccaniche di medie dimensioni, laboratori artigiani e soprattutto l’espansione dei mercati. La crisi, come in altri quartieri periferici, è arrivata negli anni ’80: drastico ridimensionamento e poi chiusura delle fabbriche, scomparsa dell’indotto artigianale, crisi del mercato ortofrutticolo. Le reti di solidarietà si sono sfilacciate di pari passo. E, non da ultimo, la popolazione che aveva ottenuto un alloggio nel secondo dopoguerra cominciava a invecchiare. Con la legge Basaglia i malati psichiatrici sono tornati a casa:a Milano non esistono alloggi protetti e la soluzione è assegnare un appartamento per 50 o 100 euro al mese. Tanti per chi ha diritto a un assegno di invalidità di appena 240 euro e non riesce a lavorare. L’arrivo della prima ondata migratoria ha completato il quadro. Chi ha dimostrato di avere i requisiti per ottenere un alloggio popolare ha poi fatto arrivare la famiglia, e chi si sente in diritto di avere un tetto sulla testa non esita a occupare abusivamente. Con le conseguenze che ne derivano: mancato allaccio alla rete elettrica e al gas.

Cps e privato sociale, quando l’assistenza non basta

Di certo c’è che per i soli caseggiati Molise e Calvairate i malati mentali in carico al Centro psico sociale di viale Puglie sono 155 su un totale di 682 assistiti. Una popolazione consistente, per la quale il Comune di Milano interviene stanziando il fondo socio assistenziale gestito dalle Asl e aziende ospedaliere gestiscono. Ma per i “matti” del Molise-Calvairate i servizi non bastano. E i progetti assistenziali, come “Proviamoci ancora”, non riescono a dare un contributo decisivo ai tanti malati psichici (punte del 7% della popolazione in alcuni dei caseggiati) che vivono negli alloggi Aler.
«I Cps sono stati istituiti in seguito all’entrata in vigore della legge 180 del 1978, quella che stabilisce la chiusura dei manicomi. È un’organizzazione a circuito territoriale; in Lombardia i presidi sanitari pubblici territoriali previsti dalla legge 180 sono chiamati, appunto, Centri psico sociali», spiega Antonella Terracciano, assistente sociale del Cps. «Prima dipendevano dalle Asl. Dal 1997 la psichiatria non è più di diretta competenza delle Asl ma delle aziende ospedaliere».

Perché è stata fatta questa scelta? Per migliorare l’assistenza al malato? O è stata semplicemente una riorganizzazione?
«È una riorganizzazione politica. In realtà l’assistenza al paziente non è migliorata. La territorialità non appartiene alla cultura ospedaliera, che si occupa di somministrazione di farmaci, letti, degenti: un ambulatorio psichiatrico territoriale è un corpo estraneo all’ospedale».

C’è stato qualche beneficio o sono stati di più gli svantaggi?
«Il maggiore svantaggio è stato l’isolamento dei servizi, che diventano satelliti dell’ospedale. È vero che il nostro lavoro è sul territorio, ma dipendiamo da un’azienda ospedaliera e non dall’ente locale, portatore di una cultura più territoriale. Parliamoci chiaro, oramai anche le Asl sono allo sfascio, anche lì da tempo non si lavorava bene. Ma l’aziendalizzazione e la sanitarizzazione hanno mutato quello che doveva essere un servizio legato al locale, al lavoro sul tessuto sociale. La dipendenza dall’ospedale, lontano, non è funzionale».

Quindi l’assistenza fornita dall’Asl, per il singolo individuo, era migliore?
«La questione non è tanto se il servizio fosse migliore con il sistema della Asl, perché anche se la psichiatria fosse ancora di sua competenza, i problemi non mancherebbero. Ci sono tagli nei fondi e quindi in molti servizi. Se noi, banalmente, dobbiamo trasportare un paziente da un domicilio a una comunità, abbiamo mille difficoltà per ottenere un’ambulanza pagata dall’ospedale Fatebenefratelli. È un salto a ostacoli, devi ricorrere alle associazioni di volontariato. Ma questo, secondo me, sarebbe successo anche con l’Asl: è il taglio che impoverisce l’offerta».

L’ospedalizzazione del malato psichico ha portato al taglio dei costi, visto che questi sono stati trasferiti sulla gestione aziendale dell’ospedale, o no?
«Non ne sono così convinta. Sarebbe interessante capire se questa doppia aziendalizzazione ha portato un risparmio. Nel concreto, comunque, manca tutta una serie di risorse. Oggi il malato di mente ha due alternative: vivere da solo in un alloggio popolare, oppure essere inserito in una comunità psichiatrica privata accreditata presso la Regione. I servizi per chi vive solo sono carenti, sebbene costituiscano l’essenza della 180. In compenso in Lombardia sono nate comunità private accreditate. Ma le case alloggio si contano sulle dita di una mano e spesso sono lontane. Dovrebbero essere capillari, invece.
Manca la via di mezzo tra la comunità fuori dal territorio e la vita di tutti i giorni: il volontariato non è specializzato in psichiatria. Nei caseggiati dovrebbe essere garantito un numero di appartamenti con strutture assistenziali. Ci sono psicotici che non potranno mai vivere per conto loro, ma sembra che di questo non si tenga conto negli interventi. Invece, c’è uno spreco di risorse continuo».

Quali sono le attività progettate che non riuscite a realizzare?
«Innanzitutto, abbiamo difficoltà con i sussidi: ci sono sempre stati, ma nel tempo il Comune di Milano non ha incrementato i fondi per i bisogni sociali dei cittadini con problemi di salute mentale. Intanto sono aumentate povertà e richieste di assegno, perché nel tempo il malato ha perso i legami familiari. La maggior parte di coloro che ricevono il sussidio sono single.
Non abbiamo potuto istituire una prassi per cui, per esempio, far trasportare senza problema il paziente dal domicilio alla comunità. Devi continuamente arrabattarti a trovare soluzioni alternative».

In cosa si esplica concretamente l’assistenza domiciliare, dato che molti pazienti percepiscono l’altro come un intruso?
«Si tratta di un problema comune. In alcuni casi, se si riesce a essere costanti nella somministrazione della terapia, coinvolgendo un familiare o un referente, anche i più refrattari, alla fine, aprono la porta. Magari con questi pazienti non riesci a realizzare un progetto particolare, ma almeno si arriva alla somministrazione domiciliare dei farmaci. In alcuni casi capita che gli operatori risistemino la casa, puliscano il frigorifero sporco. Non è la prassi, ma può succedere».

È per queste attività che uno stanziamento di fondi potrebbe essere determinante.
«La gestione economica del cittadino con problemi di salute mentale è delegata all’Asl, che gira alle aziende ospedaliere il fondo socio-assistenziale stanziato dal Comune. Ma il Cps non ha mai avuto finanziamenti comunali per cooperative che fanno assistenza a domicilio. Al di fuori del Comune di Milano, invece, l’amministrazione dei fondi non è così complessa».

La questione dell’alta concentrazione di persone con problemi psichici al Molise-Calvairate-Ponti cosa comporta per i malati, oltre che per gli inquilini “normali”?
«Esaspera. È qualcosa di impossibile avere un vicino con problemi psichici. In questi quartieri, poi, è cambiata la struttura sociale, c’è il degrado tipico del tessuto urbano di alcune periferie. Non vengono più rispettati neanche i criteri minimi del vivere civile, salta tutto».

Quanti dei malati psichici riescono, vivendo da soli, a badare minimamente a loro stessi? A non imputridire nelle loro stesse case, come è accaduto a Giuliano B.?
«Quanti di loro non saprei. Ci sono alcuni casi, tra i più gravi che conosciamo, dove ciclicamente bisogna procedere allo sgombero dell’alloggio. È tale la sporcizia, la situazione di degrado, che lo sgombero è inevitabile, e se la persona non è consenziente, purtroppo, anche al trattamento sanitario obbligatorio. Se però non si cambia in modo radicale il sistema di vita del soggetto, gli interventi si riproducono nel tempo».


[ornella sinigaglia]
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ARTE

Scoperta un’Adorazione di Procaccini

Il cardinale Gabriele Paleotti di Bologna, alla fine del sedicesimo secolo, consegnò ai posteri una mirabile definizione dell’opera d’arte sacra: secondo il porporato l’opera deve saper “dilectare” cioè essere piacevole; ma doveva anche “docere”, ovvero esser fonte d’insegnamento; doveva altresì “movere”, quindi anche essere una spinta per il fedele, un invito alla meditazione. Camillo Procaccini(nella foto il suo "Sogno di Costantino"), pittore emiliano, durante l’ultima decade del 1600 dipinse una tela dotata di una luminosità caravaggesca, che aveva come preciso obiettivo proprio quello di “dilectare”.

Il dipinto è stato ritrovato, offuscato dalla polvere, nella sacrestia grande della chiesa di Sant’Antonio Abate a Milano, e non si tratta, come all’inizio si era ipotizzato, di una Natività: la presenza di un coro di angeli, infatti, la qualifica come un’Adorazione del bambino.
Dopo un minuzioso restauro, patrocinato da Banca Mediolanum, l’opera è stata riproposta con un battesimo ai piedi dell’altare della chiesa di Sant’Antonio Abate. Presenti in pochi, tra cui Vittorio Sgarbi, assessore alla cultura del comune di Milano, ed Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum, oltre al critico d’arte Stefano Zuffi. Sgarbi ha sottolineato l’importanza delle correnti pittoriche lombarde: «Il dipinto del Procaccini fa parte di una prolifica produzione di pre-caravaggeschi, che ha visto protagonisti anche Tanzio da Varallo e Francesco Cairo. Procaccini è un precursore del Maestro, ma rispetto al Merisi nelle sue opere esprime meno realismo». Stefano Zuffi, invece, fa la storia del dipinto: «La tela si trovava inizialmente nella prima cappella a sinistra della chiesa; poi è passata a ornare la controfacciata, pur essendo stata concepita come pala d’altare. Quella di Procaccini era un’attività soprattutto diocesana. Ma è sotto la guida di san Carlo Borromeo, nei primi anni del Seicento, che il pittore comincia a produrre immagini sacre tipiche della controriforma, come questa». L’Adorazione del bambino sarà visibile al pubblico a partire dalla prossima primavera.

[paolo rosato]
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ENERGIE ALTERNATIVE

Il futuro dell’energia solare è italiano

Il 2007 è stato l’anno dell’energie alternative. L’Unione europea ha stabilito l’obiettivo dei tre “20”: entro il 2020 tutti gli Stati dovranno ridurre del 20% il consumo d’energia e del 20% le emissioni di CO2, aumentando contemporaneamente del 20% la quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili. E se il Governo italiano sembra non essere attento alla questione, gli imprenditori del Paese sono in prima linea.

È stata presentata oggi a Milano la Silfab, azienda che produrrà il polysilicon, silicio di alta qualità per la produzione delle celle fotovoltaiche. Anima del progetto è il presidente di Silfab, Franco Traverso, uno dei pionieri del fotovoltaico con la sua Helios, azienda che produce impianti per energia solare dal 1981. La Silfab completa la filiera italiana del fotovoltaico, cercando di colmare il distacco dai paesi stranieri. Il ritardo nell’emanazione del Conto energia, un progetto europeo di incentivi per chi investe nel fotovoltaico, ha causato un profondo gap con altri Paesi europei, ad esempio la Germania, dove la stessa norma ha dato una spinta positiva all’economia.
Il nuovo stabilimento nascerà a Borgofranco d’Ivrea, provincia di Torino, in una zona molto favorevole dal punto di vista delle infrastrutture. La localizzazione consente il risparmio sui trasporti delle materie prime evitando emissioni di gas serra. L’attenzione per l’ecologia è forte: verrà infatti implementato un nuovo processo di produzione a ciclo integrato, che permetterà il recupero delle scorie di produzione. L’impianto è alimentato da un impianto a energia solare e da gas metano. Il calore prodotto dai bruciatori verrà inoltre recuperato e utilizzato per il teleriscaldamento dei comuni vicini. La Silfab occuperà circa 300 persone e sarà uno stimolo decisivo per l’industria del fotovoltaico. Il progetto va inserito nel più ampio orizzonte della “Road map verso la grid parity”: un percorso stilato dalla società Kenergia per il raggiungimento dell’obiettivo della parità di costo in bolletta tra fotovoltaico e altri tipi di energia. Già nel 2011-2012 nelle zone più irraggiate del paese (il sud Italia e in particolare Siracusa) potrebbe essere più conveniente per i consumatori servirsi del fotovoltaico che dell’elettricità prodotta attraverso combustibili fossili.

[francesco perugini]
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LUDOTECA

Un laboratorio per sconfiggere l'Aids

A Natale siamo tutti più buoni, e questo è risaputo. Ma i bambini milanesi sono anche più creativi: dal 19 dicembre al 6 gennaio potranno sfogare i loro “attacchi d’arte” grazie al Laboratorio dei mille colori, organizzato da Ambra Orfei Entertainment con il patrocinio del comune di Milano. «Natale è soprattutto la festa dei più piccoli – ha dichiarato Giovanni Terzi, assessore allo sport e al tempo libero –. Questo è un importante progetto dedicato proprio a loro, per tenere viva la creatività e la fantasia attraverso piccoli gesti artistici che possano divertirli, ma anche rappresentare delle opportunità di apprendimento».

Nella cornice della Casa di Natale, una struttura riscaldata in cristallo trasparente, allestita per l’occasione in piazza Duomo, gli artisti in erba potranno sbizzarrirsi tra matite, nastri adesivi, pennarelli e fogli colorati per realizzare simpatiche composizioni natalizie. Il tutto sotto gli occhi attenti di animatori opportunamente agghindati da elfi.
Ma non è tutto: il laboratorio prevede anche corsi di sicurezza stradale rivolti ai bimbi di età compresa tra i 5 e i 10 anni e tenuti dalla scuola della polizia locale. Inoltre, per rimanere in tema di sicurezza, ci sarà uno spazio dedicato al Baobab World, un sistema web per le famiglie che tutela i giovani navigatori in rete e promette la tranquillità dei loro genitori. «La nuova digital generation trascorre sempre più tempo in internet e uno dei problemi crescenti è la protezione dei giovani dai pericoli della pedo-pornografia – spiega uno dei responsabili del progetto –. Nella ludoteca di piazza Duomo ragazzi e genitori saranno coinvolti in giochi didattici che illustreranno le caratteristiche della navigazione sicura».
Non mancherà il momento dedicato alla solidarietà: il 6 gennaio, alla presenza di Geronimo Stilton, il topo-giornalista più amato dai bambini, e di Ambra Orfei, madrina della manifestazione, si terrà un’asta benefica. Cinquanta pinguini colorati dai bimbi nel corso del laboratorio verranno venduti per sostenere le attività dell’associazione Sharing Life, impegnata nella lotta all’Aids. «Finora la battaglia contro questa malattia è stata persa perché abbiamo sbagliato strategia – sostiene Paolo Marandola, presidente dell’associazione –. Sharing Life sta per presentare all’Onu un piano di prevenzione articolato in tre punti fondamentali: salute, informazione e scuola. Per quanto riguarda l’ultimo punto, particolarmente importante perché coinvolge i giovani, abbiamo istituito un comitato scientifico coordinato da Fabio Sbattella, docente di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’università Cattolica. Gli effetti del virus hiv vanno conosciuti fin da piccoli».
Insomma, al Laboratorio dei mille colori i bambini milanesi si divertiranno con l’arte, ma senza dimenticare chi è meno fortunato di loro.

[lucia landoni]
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BALCANI

Flop Kosovo

A dispetto della quantità di risorse investite in oltre dieci anni di peacekeeping e confidence building, i Balcani rimangono una regione fortemente instabile. Il Kosovo è il potenziale epicentro di nuovi movimenti che rischiano di rimettere in moto il processo disgregativo della ex Jugoslavia. Che cosa succede nella piccola provincia meridionale? Chi sono quei paramilitari menzionati dalla stampa solo di sfuggita? Ve lo spiega il nostro dossier.

1. Qualcosa si muove

2. Il ritorno dell'Aksh

3. "Ci vogliono sette serbi per fare un kosovaro"

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PENA DI MORTE

Moratoria: un successo atteso a lungo

«Un successo atteso a lungo che ci rende molto ottimisti»: così la tesoriera dell’associazione Nessuno tocchi Caino, Elisabetta Zamparotti, sulla moratoria alla pena di morte approvata ieri dall’assemblea generale dell’Onu. La risoluzione, che stabilisce una «moratoria sulle esecuzioni con uno sguardo all’abolizione della pena di morte», è stata promossa dall’Italia: 104 i voti a favore, cinquantaquattro i contrari e ventinove gli astenuti. Nata nel 1993, Nessuno tocchi Caino ha portato avanti per quattordici anni una lotta senza quartiere sulla pena di morte: «Le condizioni erano mature già da tempo – spiega la Zamparotti – ma la burocrazia italiana prima e quella europea poi hanno remato contro.

Nel 1994 la mozione non è passata all’Onu per soli otto voti: se non si fossero astenuti ben venti paesi europei avremmo perseguito il nostro obiettivo già allora. Così anche nel 1999, quando l’Italia ha delegato la questione pena di morte all’Unione Europea: il testo è stato presentato all’Assemblea generale Onu, ma all’ultimo momento, per un cavillo burocratico, è stato ritirato senza essere messo ai voti. In Europa prevalgono da sempre la logica del rinvio e la mancanza di convinzione. Infatti, la moratoria è stata approvata solo quando un gruppo di paesi si è rivolto direttamente all’Onu, senza passare per l’Ue». L’Unione Europea, che è solo una, non la prima, tra i firmatari della proposta, ha obiettivi diversi da Nessuno tocchi Caino: «Bruxelles avrebbe voluto un richiamo più forte all’abolizione – continua la Zamparotti –, mentre per noi la moratoria è un luogo d’incontro con chi sostiene ancora la pena di morte. Senza contare che la sospensione precede sicuramente l’abolizione definitiva, lasciando all’opinione pubblica e alla classe dirigente il tempo necessario per accettare il cambiamento». Nessuno tocchi Caino deve a Marco Pannella questa conquista: «Dobbiamo ringraziarlo di aver dato inizio alla lotta non violenta dei radicali. Come lui, non pensiamo che il fine giustifichi i mezzi, ma che i mezzi prefigurino i fini». Difficili, invece, i rapporti con Amnesty International: «Amnesty ha un’impostazione che cambia di paese in paese e che non è politica come la nostra; ci ha messo i bastoni tra le ruote accusandoci di fare previsioni inattendibili. I fatti le hanno dato torto». Sulla pena di morte, Nessuno tocchi Caino ha apprezzato la posizione della Chiesa cattolica: «Il nuovo catechismo – spiega Elisabetta Zamparotti – afferma pragmaticamente che le società hanno molti mezzi a disposizione per garantire la sicurezza collettiva e quindi non hanno bisogno di ricorrere alle esecuzioni capitali». L’approvazione della moratoria ha generato grande ottimismo: «In America il 58% della popolazione è favorevole alla sospensione; inoltre – continua la Zamparotti – la Corte suprema ha aperto un’inchiesta sulla costituzionalità delle iniezioni letali. È indicativo che il New Jersey abbia già abolito la pena di morte. La Cina non è favorevole alla sospensione, ma ha compiuto passi in avanti grazie soprattutto alle olimpiadi di Pechino 2008: oggi è la Corte Suprema, non più i tribunali locali, ad autorizzare le esecuzioni, che di conseguenza diminuiscono».


[giovanni luca montanino]
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MILANO E CUCINA

Deco, il marchio doc all’ombra della Madunina

Cosa succede quando Milano cerca di dare visibilità ai propri tesori culinari (risotto alla milanese, cassoeula, osso buco, michetta, panettone)? Succede che l’assessore alle attività produttive Tiziana Maiolo si sbracci a vantare la futuribile centralità di Milano nel food, per poi farsi fotografare davanti a un panettoncino industriale. Succede che il direttore del settore artigianato e agricoltura, Angelo Menegatti, si soffermi a spiegare ai giornalisti la storia e le ricette dei cinque piatti protetti, che cerchi di dare credibilità al marchietto “de.co.” (letteralmente “denominazione comunale”), e non dia risposte alle domande sul ritorno economico dell’operazione che difficilmente porterà i turisti a Milano, e i milanesi nei ristoranti tipici.

Il de.co. dovrebbe essere un primo riconoscimento verso denominazioni più importanti, come d.o.p. e i.g.p. e presto la stessa sorte toccherà alla cotoletta alla milanese. «Vogliamo fare una scommessa internazionale – ammette la Maiolo –: se Milano è la capitale della moda, del design, della finanza, e dell’editoria, lo diventerà anche del food». Ma non dà risposte ai giornalisti che domandano come gli industriali abbiano recepito il progetto, forse da loro osteggiato, visto che sembrerebbe fissare una norma comune per l’uso degli ingredienti. Per di più il marchio grafico del de.co. non è ancora stato disegnato. «Lo stiamo studiando», ha risposto la Maiolo. Ecco, magari lo facessero, tra un pranzo natalizio e l’altro.

[luca salvi]
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MILANO SOTTERRANEA

Riaperta al pubblico la strada della Ghirlanda

«Abbiamo riconsegnato a Milano una testimonianza importante della sua vita militare», esordisce Claudio Salsi, direttore delle civiche raccolte del Castello Sforzesco. In una giornata fredda ma soleggiata e alla presenza degli assessori comunali Simini e Sgarbi, è stata riaperta e restituita al pubblico la “strada coperta della Ghirlanda”, un percorso sotterraneo di 500 metri che corre parallelo alla parte esterna del fossato del castello e collega le torri di vedetta, o almeno ciò che ne resta. «Essa fungeva da quartiere di alloggiamento per gli armigeri – prosegue il direttore –, ma anche da camera da sparo: se i nemici si fossero avvicinati sarebbero stati colpiti ad altezza d’uomo». Si parla del periodo in cui Milano era sotto il controllo spagnolo, anche se la strada della Ghirlanda potrebbe risalire all’epoca sforzesca.

Continua Salsi: «L’equivoco risale ad inizio secolo, quando Luca Beltrami restaurò il castello. Seguendo la logica architettonica di allora, solo le parti più antiche, dell’epoca degli Sforza, furono recuperate. Ma già Beltrami ipotizzava che anche la Ghirlanda potesse appartenere a quel periodo, anche se non si preoccupò di restaurarla». Così, soltanto dal 2004 si è cominciato a parlare di un recupero della Ghirlanda e i lavori, iniziati nel 2006, si sono conclusi dopo un anno e mezzo, anche grazie al sostegno finanziario della Fondazione Cariplo. Oltre a illustrare il risparmio ottenuto dall’attuale dirigenza – 690mila euro invece dei previsti 850 –, Sgarbi ha voluto proporre una nuova immagine dello Sforzesco: «I progetti per il castello incontrano qualche difficoltà. Ma vogliamo farne un monumento vivo, renderlo più “amico” e non solo un luna-park di se stesso. Deve diventare un luogo di passaggio e di soggiorno. Vorremmo farvi aprire un ristorante, renderlo un punto d’incontro per i milanesi». Così si è espresso il vulcanico assessore. In attesa quindi di vedere i vip assaggiare caviale e champagne all’ombra della Torre del Filarete, ricordiamo che la strada della ghirlanda sarà percorribile da gennaio, con visite guidate al sabato.

[luca salvi]
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TURISMO

Italia bella d’inverno

Prezzi contenuti. Maggiore accessibilità. Più qualità nei servizi e nelle infrastrutture. E soprattutto meno folla per poter apprezzare il vero fascino dello Stivale. Sono i motivi che spingono i turisti stranieri a preferire l’inverno per visitare l’Italia. Lo dice una ricerca del Bitlab, l’Osservatorio permanente sull’immagine del settore turistico italiano all’estero, condotta su circa 90 testate straniere in 12 paesi. I risultati dello studio sono stati comunicati nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2008 della Borsa internazionale del turismo (Bit).

La manifestazione si svolgerà tra il 21 e il 24 febbraio del prossimo anno nel nuovo polo fieristico milanese di Rho. Saranno presenti espositori provenienti da circa 150paesi di tutto il mondo. Due giorni saranno dedicati all’attività dei professionisti. Ai circa 520 operatori stranieri verrà presentata l’offerta turistica italiana e per la prima volta un’intera giornata sarà dedicata alle associazioni che organizzano viaggi, come i Cral aziendali e gli Sci club.
La ricerca ha messo in evidenza i trend che si stanno affermando nel nostro mercato turistico. Riscuotono grande successo gli “eco-hotel”, strutture alberghiere che attuano politiche ecosostenibili. Il turismo invernale è anche aiutato da una diminuzione generalizzata dei prezzi quantificata dal Sunday Times in un 18% rispetto allo scorso anno. Infine le città d’arte, ricche di eventi nei mesi invernali, i più adatti per scoprirne la bellezza. Si annunciano novità per il Bit 2008. Il cibo e le produzioni di qualità (DOP e IGP) avranno uno spazio tutto per loro: il Certicibit, un viaggio nell’offerta turistica del gusto italiano. Dopo l’esordio dello scorso anno si replica il Bit tourism award, l’iniziativa che permette ai viaggiatori di scegliere i propri luoghi preferiti e la meta dei loro sogni. Agli operatori invece la possibilità di premiare le mete migliori e soprattutto le aziende con la migliore offerta. La 28esima edizione del Bit sarà anche l’occasione per presentare al pubblico un nuovo progetto. A La Maddalena nascerà il Polo formativo del turismo in alcune strutture dell’ex base americana recentemente abbandonata. La Maddalena, sede del G8 del 2009, si candida a diventare il polo di eccellenza della formazione turistica: ospiterà corsi di specializzazione per laureati, operatori e per docenti e dirigenti di scuole secondarie.

[francesco perugini]
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TEATRO

“Le maledizioni della musica italiana” in scena al teatro Litta

Due vite in salita, due strade che, nel bene e nel male, attraversano la retorica sanremese: Mia Martini e Luigi Tenco. Una grande interprete e un grande anticipatore. Due morti premature e piene di interrogativi. Personalità diverse unite nel dolore che li ha accompagnati per quasi tutta la carriera. Ma non sono tristi le storie scritte da Piergiorgio Paterlini per Gianluca Ferrato, che sarà interprete di due spettacoli dedicati ai due cantanti.

Non biografia, né celebrazione, né tantomeno didascalia, ma «pura energia e artigianato» come ama ricordare lo stesso Ferrato, saranno al centro degli spettacoli.
Il primo si intitola Quante vite avrei voluto, una storia per Luigi Tenco. È diretto da Marco Mattolini e sarà in cartellone dal 19 al 31 dicembre. Il copione è un dialogo impossibile tra un notaio di mezz’età e lo stesso Tenco, in cui si disegna una panoramica sull’Italia attraverso i giornali dell’epoca. Il tutto a pochi giorni dal controverso suicidio del cantante.
In Dove il cielo va a finire, una storia per Mia Martini, regia di Bruno Montefusco, Gianluca Ferrato è un ragazzo cieco (ruolo che ha già sperimentato nelle Baccanti di Euripide, dove interpretava l’indovino Tiresia) la cui storia sfiora e si incrocia per poco con quella di Mia Martini, con un effetto di mistero e sorpresa.
Lo spettacolo sarà in scena dall’8 al 20 gennaio e potrebbe essere seguito a breve da un altro, a completare un’ideale trilogia del teatro musicale di narrazione, genere finora poco sperimentato in Italia, e forse proprio per questo carico di stimoli e novità.


[emidia melideo]
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TELEVISIONE

Scalo 76, porto di mare per artisti

Riportare la cultura musicale in televisione. È l’obiettivo del nuovo programma di Raidue Scalo 76 che, dal prossimo 22 dicembre, animerà il sabato pomeriggio con tre ore di diretta (dalle 14 alle 17) tutte incentrate su musica, attualità, cultura e multimedialità. L’idea è del direttore di Raidue, Antonio Marano, che afferma: «Voglio riportare la musica in televisione. Non sarà un programma facile, ma è ambizioso – ammette Marano –. Sono stanco di sentire che la cultura è solo la lirica; anche la musica è cultura». Nelle tre ore di diretta Scalo 76 si propone come un nuovo spazio televisivo dedicato a tutte le sfaccettature della musica, con ospiti in studio, collegamenti internazionali, inchieste, classifiche, jam session e performance.

Tre i conduttori: Daniele Bossari, il vero playmaker che dovrà tenere le redini dello show; Paola Maugeri, grande esperta e vera garanzia di qualità; e Maddalena Corvaglia, l’anima dirompente del programma. Al loro fianco gli inviati Lucilla Agosti, Ian Agusto, Perla Pendenza e Paolo Ruffini. «Sarà un programma interattivo – afferma Daniele Bossari – gli spettatori potranno interagire con noi attraverso e-mail o collegamenti in webcam». «Parleremo di musica in modi diversi – continua Bossari –. Ad esempio, ospiteremo Joe T. Vanelli, un grande dj, che porterà in studio la sua famiglia e ci racconterà come trasmette la sua passione per questo lavoro ai figli, come vive nella notte ma come faccia a imporre a casa disciplina e severità. Scalo 76, che prende il nome dagli studi Rai di via Mecenate 76 a Milano ma dà anche l’idea del “porto di mare”, vuole essere un punto di incontro per artisti dove poter approfondire temi di attualità, moda e cinema; il tutto collegato dal linguaggio della musica, colonna sonora della creatività e della cultura. «Credo molto in questo programma – aggiunge Marano – . Per quest’anno abbiamo previsto 24 puntate ma contiamo di farne altre 36 nella prossima stagione. Spero che questo programma possa diventare un punto di riferimento per il sabato, come lo è Quelli che il calcio per la domenica». «Questo programma promette bene anche se, venendo da una tv musicale come Mtv, ho sempre un po' paura a parlare di musica sulla tv generalista. – afferma Paola Maugeri –. Purtroppo in Italia non c'è cultura musicale, non c'è un sindacato dei musicisti, non ci sono scuole. A Scalo 76 ci sarà spazio anche per chi non è conosciuto al grande pubblico. Se un giorno per strada un ragazzo mi fermerà e mi dirà: “Sai, ho visto Scalo 76 e ho deciso di comprarmi una chitarra” saprò di aver fatto bene il mio lavoro».

[matteo mombelli]
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LIBRI

Aspettando i prossimi best seller

La maggior parte dei libri non sono ancora giunti in Italia e molto probabilmente alcuni verranno tradotti solo dopo essere stati portati al successo dal New York Times. Come tradizione vuole, alla fine dell’anno, il quotidiano statunitense pubblica la lista dei 100 libri degni di nota del 2007: critici e giornalisti, per mesi hanno esaminato le novità letterarie, fino a selezionare le migliori suddivise nelle categorie “saggi” e “romanzi & poesie”. L’elenco, che non è volutamente strutturato come una classifica, ma è solo una lista indicativa, è molto seguito dai lettori americani della quale, sembra, si fidino ciecamente. Per ora, dunque, si può solo azzardare pronostici sui prossimi best seller in arrivo chiedendo aiuto a qualcuno dei critici che ha contribuito a stilare la lista.

L’unico italiano a ricevere l’onore di essere menzionato nell’elenco è Gomorra di Roberto Saviano, inserito nella sezione saggistica. Un viaggio personale nel violento impero internazionale della criminalità organizzata napoletana in cui l’autore cita con precisione i camorristi, guadagnandosi minacce di morte, telefonate mute e una scorta personale. «Un urlo letterario – recita Rachel Donadio che ha recensito il libro per il New York Times – che fa nomi degli assassini e degli assassinati, in uno stile ispirato dal criticismo privo di compromessi del regista Pier Paolo Pasolini e dalla devozione per i dettagli sporchi di Truman Capote». È proprio l’attenzione per i particolari, specie se macabri, che sembra attirare gli americani. «È stata apprezzata la narrazione vivida di Saviano – ha spiegato Jane Ciabattari del National Book Critics Circle – che porta a una totale partecipazione del lettore il quale, sempre di più, ricerca storie legate alla realtà e alle situazioni di conflitto». Proprio per questo molti dei libri consacrati dal New York Times trattano tematiche delicate attraverso diverse angolature: dall’apertura a culture diverse e lontane, alla guerra, alla tragedia dei bambini-soldato. Ci ritroviamo direttamente nella Green Zone irachena con Imperial life in the emerald city di Rajiv Chandrasekaran, vincitore dell’“Overseas press club book award”. Lo scrittore e giornalista del Washington Post racconta il collasso dell’apparato burocratico durante il primo anno dopo la caduta di Saddam Hussein, quando gli americani occupano legalmente il territorio ed sono responsabili dell’amministrazione irachena. Una spietata denuncia dell’arroganza e dell’inettitudine che hanno caratterizzato il governo americano in Iraq.

“Non era più una strada, ma un mondo intero fatto di tempo, spazio e cenere”: Don DeLillo col suo Falling man riporta all’11 settembre 2001, di cui tanto ancora si parla, ma forse senza ricordare l’orrore di quel giorno in cui migliaia di famiglie americane sono state distrutte. L’accumulazione e la struttura circolare della narrazione provocano un crescendo di sensazioni che, accostate alle immagini di terrore evocate dallo scrittore, rendono il romanzo estremamente realistico.
Si torna alla Seconda Guerra Mondiale, invece, con Agent Zigzag, il saggio di Ben Macintyre che racconta lo sfruttamento nazista del criminale britannico Eddie Chapman. È la classica “spy story” con tanto di codici segreti, inchiostro invisibile, capsule di cianuro e bionde avvenenti. Si parla ancora di anni Quaranta con The day of Battle, il secondo volume della Trilogia della liberazione di Rich Atkinson. Viaggi e sopralluoghi, interviste e ricerche, hanno dato la possibilità all’autore di raccontare senza banalità un soggetto così inflazionato come la liberazione italiana negli anni 1943-44. La ricchezza di dettagli e l’abilità narrativa propongono al lettore una nuova e interessante prospettiva. Come Huckleberry Finn, What is the what di Dave Eggers è un romanzo picaresco sull’adolescenza, ma le ingiustizie e le paure che Huck affronta nella sua spedizione, sembrano attimi di paradisiaca tranquillità per l’eroe del fondatore della rivista McSweeney. L’odissea del ragazzo comincia nel suo villaggio nel Sudan meridionale, trovando un rifugio temporaneo in Etiopia per poi raggiungere il Kenya e infine Atlanta. «Il viaggio del protagonista – spiega Francine Prose, giornalista del New York Times – è un vero e proprio incubo di orrori e carneficine intervallati da attimi di relativa pace lunghi appena il tempo per tirare il respiro». Ancora violenza e omicidi in Long way gone di Ishmael Beah in cui un ex bambino-soldato racconta questo dramma sociale perpetrato per anni durante la guerra in Sierra Leone.

Tutt’altro argomento tratta invece The brief wondrous life of Oscar Wao di Junot Dìaz, in cui il protagonista è un occhialuto dominicano-americano, devoto alle fiction scientifiche, ai fumetti, ai romanzi di fantasia e ai giochi di ruolo. Un emarginato della società sessualmente frustrato. La narrazione riflette il flusso di coscienza dei pensieri di Oscar, nel momento in cui le sue radici, dopo averle ignorate per anni, gli presentano il conto: come conciliare la frenetica vita di Manhattan col folklore, la politica, le abitudini, dominicane? L’uso dello spanglish e citazioni letterario-cinematografiche contribuiscono alla ricerca dell’identità del protagonista rendendo il racconto leggero e ironico.
Bridge of sights di Richard Russo, premio Pulitzer nel 2002, è un romanzo riflessivo in cui il protagonista, un docente sessantenne, analizza il suo passato cercando di rispondere a questa domanda: “Se il nostro modo di essere non è frutto della natura, in che modo lo stile di vita e il luogo in cui viviamo ci modellano e corrompono?”. Con Exit ghost torna Nathan Zuckerman, il personaggio alter-ego di Philippe Roth che racconta in prima persona emozioni, traumi e incertezze del grande scrittore. Una saga cominciata con The Ghost Writer nel 1979, storia di un giovane aitante scrittore giunto al successo dopo aver trovato la propria strada verso gli orizzonti dell’arte. L’ormai settantenne Zuckerman si vede costretto ad affrontare il suo declino chiudendosi nell’“età della macchina da scrivere”, rifiutando cellulari, internet e politica. Per il New York Times “è il tentativo di Roth di trovare una morale alla fine della storia”. Altro pietra miliare della letteratura mondiale, Ian McEwan con On Chesil beach propone un vero e proprio romanzo manieristico. Due giovani sposini negli anni Sessanta affronta gli ultimi fuochi di un clima diffuso di repressione sessuale. Lo scrittore si avventura nei meandri più tortuosi delle paure e delle angosce della coppia: la timidezza della sposa, la goffaggine e l'irreprimibile aggressività dello sposo, la loro totale inesperienza in materia sessuale sono narrati con precisione chirurgica, ma allo stesso tempo l'intimità dei giovani si allarga a dimensioni più ampie, toccando la politica, la società, gli stili di vita, fino a dare un volto ai fantasmi collettivi del Regno Unito nei primi anni Sessanta.

Si incontrano anche biografie eccellenti, scorrendo la lista dei 100 libri degni di nota del 2007 secondo il New York Times . Con A life of Picasso, John Richardson ripercorre gli anni di maggior successo dell’artista spagnolo contestualizzando le sue opere nello scenario europeo tra il 1917 e il 1932. Leonard Woolf di Victoria Glendinning racconta il carattere stoico e appassionato del marito della scrittrice britannica Virginia Woolf. La biografia di Edith Warton scritta da Hermione Lee, infine, vuole rivalutare la poliedricità dell’artista: scrittrice, viaggiatrice, designer e decoratrice al tempo stesso. Per la poesia si evidenzia la raccolta Selected poems di Derek Walcott, già premio Nobel per la letteratura, e Time and materials di Robert Hass, una collezione intimistica di liriche e pensieri. Come era prevedibile, tuttavia, la regina incontrastata della letteratura mondiale del momento è sicuramente J.K. Rowling che con Harry Potter and the deathly hallows ha raggiunto il culmine della popolarità. Anche in Italia si attende il momento in cui verrà distribuito nelle librerie l’ultimo capitolo della saga del maghetto più amato da grandi e piccini. Ancora una volta, tra avventure fantasmagoriche e improbabili incontri, Harry è alle prese col terribile Voldemort con il quale ingaggerà una durissima battaglia. Ai lettori il piacere di scoprire se la saga – con Harry ancora vivo oppure no – continuerà a dare filo da torcere agli altri titoli in libreria anche il prossimo anno.

[gaia passerini]
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AMBIENTE

Ambiente e servizi: va di moda l’ecopass

L’ecopass del Comune di Milano sta per arrivare. E non è il solo. Sarà accompagnato dal suo fratello minore l’Ecopass immissioni, un vademecum creato dall’associazione Verdi, ambiente e società (Vas). Un insieme di consigli utili alle aziende del settore terziario per ridurre le emissioni inquinanti. I poli terziari e i palazzi degli uffici possono rivelarsi infatti fonte di grande inquinamento. L’ecopass si propone di essere un primo passo verso un ripensamento generale degli stili di vita e dei comportamenti. Le indicazioni più importanti riguardano le onde elettromagnetiche, le relazioni con i partner commerciali, il riciclaggio dei rifiuti, il risparmio energetico, gli investimenti sul fotovoltaico e la mobilità. «Ci aspettiamo l’adesione di circa 300 aziende – dichiara il senatore Guido Pollice, presidente di Vas –. I primi progetti dovrebbero partire entro due o tre mesi».

Gli investimenti in tecnologie più efficienti ed ecologie servono anche a migliorare la vita dei lavoratori. Gli ambienti di lavoro possono essere resi molto meno rumorosi con dei pannelli fono assorbenti o semplicemente eliminando gli open space, rendendo meno stressati i dipendenti. L’inquinamento elettromagnetico è causato spesso da apparecchiature non necessarie al lavoro. Un semplice cavo messo nel posto sbagliato può far schizzare le radiazioni ben oltre i limiti di legge. Si è parlato però anche di inquinamento e particolato atmosferico. Il fattore più importante in questo campo è il trasporto privato, responsabile del 50% delle emissioni di Pm10: il divario di emissioni tra auto vecchie e nuove è considerevole. La situazione della Lombardia è aggravata dall’orografia: «Su tutta la Pianura padana – spiega Ezio Balzacchini dell’università Milano Bicocca – c’è una specie di “coperta” che schiaccia tutti i gas a terra. D’estate il caldo la fa scomparire e le particelle si disperdono». Una sfortuna che deve diventare un’opportunità di sviluppo secondo Balzacchini. «Troviamo il metodo di ridurre le emissioni e facciamolo diventare un’occasione di export».

[francesco perugini]
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AMBIENTE

Milano, l’acqua è un’emergenza

«Le tubature dell’acqua potabile si sono infiltrate con quelle del gas. La gente se n’è accorta perché l’acqua era più buona del solito» . Così cantava qualche tempo fa Paolo Rossi, in una canzone dedicata a Milano e, a leggere il rapporto di sostenibilità 2007 presentato lunedì, non aveva tutti i torti. Commissionato dalla Provincia e realizzato dall’istituto Ambiente Italia, il rapporto ha raccolto i dati ambientali e socio-economici dei 189 comuni dell’area metropolitana milanese. Un’analisi che non si limita a descrivere dettagliatamente vizi e virtù di Milano e dell’hinterland ma che propone anche, nelle situazioni più critiche, i correttivi da intraprendere.

Una delle situazioni più preoccupanti, come detto, è proprio quella dell’acqua. I dati parlano chiaro: la qualità delle acque superficiali è definita pessima e scadente. La situazione peggiora nel caso delle acque sotterranee che risultano gravemente compromesse, in particolar modo a Nord di Milano e nel 25% dei pozzi potabili della provincia sono state riscontrate contaminazioni. Nonostante il quadro sia molto preoccupante, l’assessore provinciale al Territorio, Pietro Mezzi, è soddisfatto del rapporto: «Si tratta di una banca dati molto importante che ci permette di valutare dove è necessario intervenire. Soprattutto su polveri sottili, consumo del suolo, trasporto pubblico e gestione dei rifiuti. Da questo punto di vista noto con rammarico che il Comune di Milano, con il progetto dell’inceneritore, si muove in controtendenza rispetto ad altre amministrazioni che hanno dato luogo a esperienze virtuose». Francesco Bertolini, docente alla Bocconi, che ha aperto il suo intervento con un estratto video di uno spettacolo di Antonio Albanese, ha messo sotto accusa la politica dei trasporti: «L’autostrada Cremona-Mantova è stata definita ecologica. Come si fa a dire una cosa del genere? Vuol dire che non è stata persa una battaglia ma la guerra». E aggiunge: «A Milano, su dieci automobili, nove sono in sosta ed una in circolazione, e gran parte del tempo trascorso in auto in realtà è quello dedicato alla ricerca del parcheggio». Una nota. All’interno del rapporto vi era l’intenzione di analizzare anche il tema del lavoro. Ma durante i lavori, di sicurezza, salari e precarietà si è parlato poco e niente. Forse non è un’emergenza. Eppure la cronaca e i pochi dati contenuti nel rapporto (55 incidenti mortali nel 2005) dimostrerebbero il contrario.

[luca aprea]
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MILANO

Oltre il cielo a scacchi
C’è tensione tra Camera del lavoro e comune di Milano. La prima denuncia tagli per 250 mila euro a cooperative e associazioni che si occupano del reinserimento nella società degli ex detenuti. Per questo ha presentato un documento sulla situazione milanese, redatto con una ventina di soggetti impegnati a vario titolo nell’integrazione degli ex carcerati. Ne emerge la preoccupazione di queste associazioni e cooperative.

Due in particolare, Un tetto per tutti e Puntoacapo – la prima che si adopera per fornire un alloggio alle persone appena tornate in libertà, la seconda per il loro reinserimento sociale e lavorativo – lamentano la sospensione dei finanziamenti a partire dal 31 dicembre 2006, giorno di scadenza degli appalti comunali. I servizi offerti non sono stati bloccati, ma solo ridimensionati, perché le associazioni hanno continuato ad erogare prestazioni a proprio carico.
«Quello che serve è una rinnovata e intensificata partecipazione, sia in termini economici che di coordinamento organizzativo»: questa è la richiesta di Corrado Mandreoli, membro dell’ufficio politiche sociali della camera del lavoro e dell’osservatorio Carcere e territorio di Milano, attivo dal 1993. Mandreoli rincara la dose: «L’amministrazione non può dare l’allarme sicurezza, senza impegnarsi a fornire un servizio concreto in tema di politiche sociali». «L’importanza di questi interventi – dichiara Fulvia Colombini della Camera del lavoro – è cruciale perché i servizi in questione costituiscono spesso l’unica alternativa, per un ex detenuto, a un ritorno nell’illegalità». Le fa eco Luisa Della Morte, cooperativa Alice: «La recidivanza a delinquere scende dell’80% nel primo anno in presenza di aiuti agli ex detenuti. La nostra sicurezza dipende anche dal recupero degli ex carcerati». Stesso tema al centro dell’annuale convegno Una seconda possibilità che si è svolto nella sala Alessi a Palazzo Marino, cui hanno partecipato il presidente del consiglio comunale Manfredi Palmeri, e gli assessori Maurizio Cadeo, Mariolina Moioli e il presidente della sottocommissione carceri Alberto Garocchio. Presenti anche il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Luigi Pagano e il responsabile dei servizi direzionali Amsa, Salvatore Cappello, con una delegazione di giovani detenuti che nei mesi scorsi hanno partecipato ad alcuni progetti del Comune per il reinserimento nel mondo dell'occupazione. In particolare l’assessore Moioli smentisce i tagli alle cooperative e si concentra sui risultati raggiunti nel recupero degli ex detenuti grazie alle collaborazione con agende comunali come l’Amsa che ha permesso l’inserimento di circa 150 persone nel mondo del lavoro. «Non solo - ha proseguito l'assessore - sto per firmare un'intesa con l'Unione degli artigiani per una scuola-bottega per adolescenti e giovani. Si accede sempre con borse lavoro e l’obiettivo è il reinserimento sociale integrale». Come a dire: se accordo c’è, c’è sugli obiettivi. Ma non sul modo di raggiungerli, né tantomeno sulle cifre.

[emidia melideo]
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TELEVISIONE

Raidue torna al sud

In onda dal primo gennaio 2008 su Raidue, Su al Sud si propone come ideale continuazione del percorso iniziato nel 2004 con Nati a Milano e proseguito nella scorsa primavera da Giù al Nord. Con il massiccio utilizzo del materiale delle Teche Rai e di quello scovato negli archivi delle tv private, il programma, come afferma la regista Anna Carlucci «provoca lo spettatore proponendo un viaggio al contrario, mostrando la volontaria discesa al Sud da parte di intelligenze fortemente attratte da queste terre e dalla loro ricchezza culturale».

Lo spettatore sarà accompagnato in questa discesa da Edmondo Berselli: «Il Meridione verrà presentato sotto un nuovo punto di vista, lontano dagli stereotipi del disagio sociale strappalacrime. Il Sud d’Italia è una meravigliosa contraddizione logica: in esso vivono a stretto contatto realtà diversissime ma che, unite, danno vita ad un’impensabile e ricchissima armonia culturale». Ecco allora svelato il nucleo del programma: un raffinato gioco d’incastri che permetterà di mettere in relazione i più svariati campi della cultura meridionale, per creare un affresco coerente e logico in grado di far capire allo spettatore lo spirito e la vitalità che permeano oggi il Meridione.

La cultura e la vitalità del Sud d’Italia contemporaneo sono figlie di una tradizione troppo importante e per certo esse non verranno mai soffocate, ma l’ambizione di Su al Sud, di dare un’efficace chiave lettura del Meridione di oggi, può davvero prescindere dai fatti di cronaca e dal disagio sociale così diffuso?


[stefano carnevali]
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CINEMA

Caramel, essere donna a Beirut

Se il cinema hollywoodiano ci fa vivere il sogno americano, Caramel ci trasporta nella cruda realtà quotidiana di Beirut. Una realtà che si presenta al mondo occidentale e orientale come esempio di paese aperto, di società emancipata, ma che dietro questa facciata riserva ancora alle donne vincoli e sofferenze. Nato senza questa pretesa, il film sintetizza nel microcosmo di un salone di bellezza uno spaccato del mondo femminile libanese. In questo rifugio sicuro cinque amiche di età differenti si aiutano ad affrontare i problemi che incontrano con gli uomini: l’amore, il matrimonio e il sesso, senza temere di essere giudicate.

C’è Layale, che è innamorata di Rabih, un uomo sposato; Nisrine, una giovane musulmana in procinto di sposarsi, angosciata perché la prima notte di nozze il marito scoprirà che ha già perso la verginità; e poi Rima che non riesce ad accettare di essere attratta dalle donne; Jamale, cliente fedele ossessionata dalla sua età e dal suo fisico; ed infine Rose, che ha sacrificato giovinezza e felicità per occuparsi della sorella maggiore malata mentale.
Caramel, dal nome della ceretta depilatoria fatta di acqua, limone e zucchero, segreto di bellezza delle donne nel mondo arabo, è dunque una commedia realistica tutta al femminile che affronta temi socialmente rilevanti con grande leggerezza, senza essere superficiale o cadere nella banalità. La forza di questa pellicola sta nella sua semplicità, attraverso la quale la giovane regista Nadine Labaki vuole narrare i piccoli fatti della vita. Piccoli fatti che fotografano con chiarezza la società di Beirut in bilico tra tradizione e modernità. E se dopo la ripresa della violenza in Libano tutto si è trasformato in un atto politico, allora il messaggio trasmesso dal film potrebbe essere espresso così: nonostante le diverse religioni, la coabitazione e la coesistenza sono naturali. E infatti lo spettatore si trova di fronte ad un’opera corale, che fonde tante storie per crearne una sola. Luce, colori, musica e montaggio collaborano attivamente alla creazione di questa atmosfera intensa e coinvolgente, a volte commovente, ma sempre autoironica. Impossibili da dimenticare i volti intensi ed espressivi delle protagoniste, interpretate da attrici non-professioniste e forse per questo più naturali e credibili. Insomma un film piacevole, ma non sciocco, che lascia in bocca il sapore dolceamaro del caramello.

[cecilia lulli]
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