CONFLITTO DI GAZA

Intervista a Nahum Barnea

«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.

Ascolta l'intervista

[viviana d'introno e cesare zanotto]

L'INTERVISTA

La voce della libertà

Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.

guarda l'intervista

[marzia de giuli e luca salvi]

L'INCHIESTA

È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).

Ascolta l'intervista

[alberto tundo]

MARIO CAPANNA

Onda e '68 a confronto

Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.

Ascolta l'intervista

[cesare zanotto]

CIBO E MEMORIA

Viaggio nel gusto italiano


La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.

[francesco perugini]

GIORGIO BOCCA

Intervista sulla crisi del giornalismo italiano


Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.

[gaia passerini]

ESTERI

Cinquant'anni di lotte contro il Dragone cinese

Il 2009 è un anno molto importante per il Tibet, una terra dalla storia travagliata, all'eterna ricerca di un po' di pace. Ricorre infatti proprio in questi giorni il cinquantesimo anniversario della fallita rivolta anti-cinese del 1959. I monaci tibetani continuano a manifestare, a farsi arrestare, a morire nell'attesa che il mondo si ricordi davvero di loro. Intanto, al di là di tante belle parole di solidarietà, qualcuno rifiuta di accogliere sul proprio territorio il Dalai Lama per non compromettere i rapporti commerciali con la Cina. Quella tibetana è una vicenda molto delicata, che Mag affronta con un dossier.


1. Pretoria dice no al Dalai Lama


2. Tibet tra indipendenza e occupazione

3. Le rivoluzioni di marzo


[ivica graziani - daniela maggi] continua

ELEZIONI EUROPEE

Pubblicità targata Ue? L’Italia: no, grazie

“Usa il tuo voto!” e l’Europa migliorerà anche grazie a te. È questo il messaggio della campagna pubblicitaria lanciata dall’Unione Europea per le prossime elezioni, che si terranno tra 4 e il 7 giugno. «Quest’anno saremo più professionali» ha affermato Francesca Ratti, direttrice delle comunicazioni dell’esecutivo di Bruxelles, durante la conferenza stampa di presentazione.

L’Unione Europea ha investito grandi energie in questo progetto. La campagna pubblicitaria è costata cinque centesimi a ogni cittadino europeo, per un totale di 18 milioni di euro. Trasmessa in 23 lingue, sulle 27 dell’Unione, la campagna sarà diffusa attraverso ogni canale: cartelloni pubblicitari, installazione negli spazi pubblici, spot su radio e televisione, siti internet e gruppi nei principali social network. Sono già in circolazione diversi volantini con fondo azzurro, che mettono gli europei di fronte a scelte su temi fondamentali quali Ogm, immigrazione, sviluppo tecnologico ed energetico.

L’Italia non ha gradito questo tipo di campagna pubblicitaria. Il Dipartimento delle politiche comunitarie ha trasmesso un comunicato in cui fa sapere l’opinione di Andrea Ronchi. Il ministro, si legge nella comunicazione ufficiale, «ritiene che i contenuti della campagna di comunicazione promossa dal Parlamento europeo, nella sua attuale formulazione, non siano idonei a migliorare la percezione e la conoscenza dei valori e delle opportunità derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea». Sarcastico il commento del vicepresidente dell’Europarlamento, Alejo Vidal Quadras: «Queste critiche contribuiscono ad aumentare la consapevolezza del voto». «Senza volerlo - ha proseguito Vidal Quadras – ha già contribuito ad aumentare il dibattito sulle elezioni europee»

Per tutta risposta il governo italiano ha ribadito la sua volontà di non aderire alla campagna pubblicitaria europea. In pieno accordo con il governo, il Dipartimento per le Politiche comunitarie ha stabilito di preparare una diversa e più appropriata campagna di comunicazione. Ancora sconosciuti i dettagli di questa nuova iniziativa italiana. Il Dipartimento per le Politiche comunitarie si trincera dietro un no comment anche per quanto riguarda i tempi di preparazione e l’avvio della campagna. Ci dovremo attendere una serie di pubblicità basate sui tanto decantati principi cattolici dell’Unione, così cari al governo italiano ma quasi dimenticati dai cittadini europei?


[daniela maggi]
continua

ARBITRI

Paparesta: «Collina, sei un doppiogiochista»

Estromesso dal suo mondo senza un perchè. Gianluca Paparesta non si dà pace. Coinvolto e poi uscito senza macchia dallo scandalo di Calciopoli, l’ex direttore di gara ha provato in tutti i modi a tornare in campo per fare quello che aveva sempre fatto: arbitrare. Una battaglia che ha proseguito anche quando, la scorsa estate, l’Aia l’aveva dismesso per motivi tecnici. Una spiegazione per lui inaccettabile, al punto da pensare, come ha scritto nel suo blog (inaugurato lo scorso 12 marzo), di essere stato “fatto fuori dal sistema”. Una sensazione che ha avuto «rileggendo determinate conversazioni negli atti contenuti nel fascicolo legato a Calciopoli», ha raccontato qualche domenica fa, ospite della trasmissione televisiva “Quelli che il calcio”.

«Ho chiesto al procuratore federale Palazzi un’audizione perchè mi sono imbattuto in una conversazione telefonica in cui un allora altissimo dirigente federale e Moggi, parlando della giustizia all’interno del mondo dello sport, dicevano che chi non era funzionale al sistema dava fastidio e ho rivisto in questa conversazione quello che è toccato a me». Nella trasmissione condotta da Simona Ventura, ma ancor prima e a tutt’oggi attraverso le pagine del suo blog, Paparesta ha ripercorso la sua vicenda, tutti i procedimenti di cui è stato oggetto e dove è sempre riuscito a dimostrare la sua estraneità. «Mi avevano promesso che sarei tornato in campo in questo campionato, ma a giugno hanno deciso di mandarmi via per motivi tecnici: le motivazioni sono arrivate dal Comitato nazionale dell’Aia e non dal designatore Collina».

Perchè creare un blog? Paparesta ha deciso di sfogare così la sua rabbia repressa. «Perché ci sono tanti amici che manifestano quotidianamente stima e solidarietà, invitandomi a non mollare». Nonostante siano passati quasi tre anni dallo scoppio del “bubbone-Calciopoli”, l’ex arbitro di Bari non si rassegna ad accettare la decisione di «tutti i gradi della giustizia amministrativa che mi hanno dato ragione. Mancava il parere del designatore, che poi è arrivato: non avendo arbitrato per un anno non potevo più arbitrare. Eppure Collina, davanti ad altre persone tra cui lo stesso Gussoni, mi disse quando ci eravamo incontrati che mai e poi mai avrebbe espresso un giudizio tecnicamente negativo sulla mia posizione».

Paparesta torna poi a parlare del famoso Reggina-Juventus del novembre 2004 in cui finì chiuso negli spogliatoi. «In effetti ci furono episodi molto contestati in quella partita. Non avevo visto un rigore evidente a favore della Juve e avevo annullato loro il gol del pareggio all’ultimo secondo per fuorigioco. Si è scatenato così il putiferio, come avviene in tutte le partite: alcuni dirigenti della Juve hanno avuto accesso negli spogliatoi e si sono lamentati in maniera forte e dura nei miei confronti. Ma da qui a dire che sono stato rinchiuso negli spogliatoi, ne corre. Lì ci sono i responsabili delle forze dell’ordine, gli ispettori dell’Ufficio indagini della Federazione, gli ispettori di Lega, possibile che nessuno abbia sentito che l’arbitro era stato rinchiuso negli spogliatoi e che abbiano dovuto buttare giù la porta come raccontava Moggi?».

Eppure il direttore di gara, qualche giorno dopo, telefonò all’allora direttore generale della Juventus. «Avevo visto partire una campagna mediatica abbastanza forte per escludermi dal mondo arbitrale – spiega – e sapevo il potere che aveva quella persona. Io non gli ho mai chiesto scusa, in campo ho sempre mantenuto l’assoluta indipendenza e sfido chiunque a dimostrare il contrario, ma ho cercato di abbassare i toni, sicuramente sbagliando, perchè non volevo vedere la mia carriera compromessa». L’ultimo intervento attraverso le sue pagine on-line, Paparesta lo ha rivolto a Marcello Nicchi, nuovo presidente dell’Aia. «Gli faccio i miei auguri. E’ una persona indipendente, cristallina. Spero che possa aprire a ciò che può portare giovamento alla direzione di gara. Io tornare ad arbitrare? Mi piacerebbe, ma se non mi vogliono non posso farlo».


[fabio di todaro]
continua

GIALLO

Sacerdote bruciato vivo nella sua auto

Don Silvano Caccia, parroco di Giussano, è stato trovato carbonizzato, giovedì sera, nella sua auto, in una piazzola di sosta della stazione di servizio Brianza est, sull’autostrada A4, in direzione Milano. L’allarme è scattato alle 21 e 15, quando alcuni avventori dell’autogrill hanno notato le fiamme alte provenire da un’utilitaria in sosta. Immediato l’intervento dei vigili del fuoco che, accorsi sul posto, non hanno potuto fare altro che domare l’incendio, effettuando la macabra scoperta. All’interno dell’auto, con il sedile parzialmente reclinato, il cadavere del sacerdote, probabilmente fermatosi per riposare. Ancora poco chiare le dinamiche della vicenda.

Don Caccia stava rientrando da un viaggio in Trentino, dove si era recato per esercizi spirituali, con la sua Fiat Punto, alimentata a gas. Per questo gli inquirenti hanno pensato a un corto circuito all’interno della vettura stessa, o, più probabilmente a una sigaretta lasciata accesa. Quel che è certo, però, è che, per il momento, gli inquirenti non escludono alcuna pista investigativa. La vittima era originaria di Trezzo sull’Adda, in provincia di Milano, e, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1982, era diventato collaboratore del cardinal Carlo Maria Martini e poi responsabile dell’Ufficio famiglie della curia di Milano. La camera ardente è stata allestita a Gorgonzola, dove, nella notte, si è recato anche il cardinale Dionigi Tettamanzi.

Sconvolto Roberto Milanesi, sindaco di Trezzo sull’Adda: «Sono rimasto sconcertato appena appresa la notizia e ho subito sospeso una assemblea pubblica in corso in quel momento. Non me la sento di dare giudizi su quanto accaduto, perché ho troppa stima e rispetto per la persona e per la famiglia. Posso solo dire che era un uomo di grande sensibilità, con una profonda dedizione per lo studio, l’approfondimento e l’analisi. Aveva scritto molti libri sulla catechesi e si impegnava particolarmente nella preparazione dei giovani al matrimonio. La sua famiglia era una delle più in vista qui a Trezzo, sempre molto impegnata nel sociale e nella cristianità». Sconvolti anche i suoi colleghi di Giussano. Piero Gallo, membro del Consiglio pastorale della città, ha trascorso sei mesi gomito a gomito con don Silvano, standogli accanto nel suo percorso di ingresso nella nuova comunità ecclesiastica. «Era una persona squisita, con doti organizzative straordinarie – ha dichiarato – e una passione fortissima per il suo lavoro. Non ha faticato molto ad entrare nel cuore degli abitanti di Giussano, che hanno pianto commossi la sua scomparsa».

In lacrime anche i giussanesi, che, in attesa di una data precisa per i suoi funerali, hanno deciso di ricordarlo con alcune messe in suffragio. Oggi, 24 marzo, l’ultima, che sarà celebrata alle 19 nella chiesa di Sant’Antonio a Milano.


[viviana d'introno]
continua

ECONOMIA

L'Italia vuole reagire alla crisi

L'economia mondiale sta attraversando una delle crisi peggiori della storia, paragonata da molti addetti ai lavori a quella del '29, e l'Italia si impegna per reagire. Come? Districarsi tra ammortizzatori sociali, aiuti statali alle piccole e medie imprese e tentativi di riforme pensionistiche non è facile. Mag prova a fare chiarezza con un dossier ad hoc.

1. Ammortizzatori sociali: non solo cassa integrazione


2. Un voucher per l'Eldorado

3. Pensioni anticipate, parificazione diseguale


[cinzia petito - cesare zanotto] continua

DOSSIER

La giustizia non deve avere confini

In occasione del recente mandato di arresto a carico del presidente del Sudan, Omar Al Bashir, giornali e televisioni hanno parlato della Corte Penale Internazionale dell'Aja, che ha emesso l'ordine di bloccare il capo di Stato africano. Ma quanti sanno esattamente quali siano le competenze della Corte e quali meccanismi regolino la giustizia internazionale. Mag lo spiega ai suoi lettori con un dossier.

1. Una Corte al servizio dell'umanità


2. Processi internazionali, non è una via perfetta


[ivica graziani - andrea torrente] continua

FESTIVAL

Mama Africa chiama cinema

Arriva a Milano il Festival del cinema Africano, d’Asia e America Latina. La rassegna, giunta alla sua 19esima edizione, non si fermerà al solo capoluogo lombardo ma quest’anno alcuni film verranno riproposti in altre città italiane coinvolgendo il pubblico adulto e i giovani, attraverso la partecipazione delle scuole.

«Questa edizione è stata alquanto difficile da realizzare a causa dei radicali tagli di finanziamento, pari al 50 % del budget dello scorso anno – sottolinea Alessandra Speciale, una delle organizzatrici della manifestazione -, ma grazie all’impegno di tutti e al lavoro volontario siamo riusciti a proporre un festival di qualità, senza essere costretti a modificare la sua struttura originaria».

La rassegna prevede le ormai consuete sezioni “competitive”: Concorso lungometraggi e documentari finestre sul mondo, con un’accurata selezione delle ultime produzioni di fiction e di documentari lungometraggi realizzati da registi dell’Africa, Asia e America Latina; Concorso per il miglior film africano , con un’ampia e significativa scelta di lungometraggi in 35 mm e in video; Concorso cortometraggi africani , con i più recenti cortometraggi realizzati da autori provenienti da tutta l’Africa e dalla diaspora; Concorso documentari e non fiction africani, sezione che presenta brevi documentari e non fiction realizzati da registi africani. Mentre la sezione Fuori concorso presenta una selezione di film e documentari sui tre continenti realizzati da registi occidentali. Inoltre, in seguito al grande successo di pubblico e di stampa della scorsa edizione, la rassegna rinnova l’interesse per i media arabi con la sezione tematica: Al Jazeera, l’occhio arabo sul mondo.

Il Festival ha un ruolo fondamentale per la città, è un luogo di confronto e di dialogo su specifiche tematiche per cercare di superare la visione stereotipata che spesso abbiamo di realtà molto distanti dalla nostra. Negli ultimi decenni, il tessuto sociale milanese si è radicalmente modificato, divenendo un “melting pot” di razze, lingue e culture eterogenee. La manifestazione offre una settimana densa di appuntamenti: più di 80 fra film e video e 50 Paesi presenti. Non solo proiezioni cinematografiche, ma incontri, mostre fotografiche e dibattiti, in varie zone della città e con persone provenienti da diversi Paesi. Un’interessante opportunità, non solo per i cinefili. La sfida del futuro sarà proprio quella di riuscire a costruire una convivenza di dialogo e di interculturalità, dove la diversità sia una ricchezza, non un limite. Questo può rappresentare un primo passo.

19° Festival del cinema Africano, d’Asia e America Latina
Dal 23 al 29 marzo 2009
Biglietto singolo: 5 €
Tessera per tutte le proiezioni: 30 €
www.festivalcinemaafricano.it



[tatiana donno]
continua

TEATRO LITTA

Giovani registi crescono

Occhi scuri dietro occhiali scuri. Ma l'espressione è decisa e sorridente. Questo è Claudio Autielli, il giovane regista che, a conclusione del suo percorso triennale nel progetto Work in progress, presenterà in debutto nazionale la propria versione della commedia L’amante di Harold Pinter, di scena al teatro Litta di Milano dal 19 marzo al 9 aprile nella traduzione di Alessandra Serra.

Autielli corona con quest’opera la fine del suo terzo anno di master. Negli anni precedenti si è confrontato con opere del calibro dell’Antigone di Jean Anouilh e dell’Otello di Shakespeare, proponendone ogni volta una personale regia. Quest’anno, l’opera di Pinter verrà presentata in modo diverso dalla messa in scena tradizionale, tipicamente “British”. La scenografia comprenderà infatti soltanto una pianta, una poltrona, una veneziana e una porta, tutti simboli di una quotidianità artefatta racchiusa tra quattro mura. Protagonista sarà l’essenzialità - retaggio degli studi di Autielli, laureato in economia - che avrà l’effetto di assolutizzare nello spazio e nel tempo l’esperienza narrata dalla trama: quella di due solitudini che si cercano disperatamente senza mai trovarsi, restando schiave delle proprie maschere.

Sarah e Richard, i due protagonisti interpretati da Valentina Picello e Michele Schiano di Cola, sono due sposi che cercano di mettere pepe nella loro vita matrimoniale inventandosi presunte scappatelle. Questo genererà una doppia vita, in uno schema che si ripeterà sempre uguale e che vedrà i due protagonisti costretti ad interpretare i loro rispettivi amanti in un gioco di ruolo che cadrà con un colpo di scena, rivelando la fragile solitudine di un uomo e una donna chiusi in una stanza, isolati dal mondo reale. Un’opera sull’incomunicabilità e sulla ricerca disperata di un codice comune che, alla lunga, diventa recita grottesca, ma che non mira ad altro che alla perduta semplicità del primo incontro.

Un testo, quello di Pinter, che Claudio Autielli definisce “matematico e autoportante”. «Non pensavo di cimentarmi proprio con quest'opera – racconta il regista –. È un testo difficile da interpretare in modo personale. Il gran lavoro è stato arrivare al cuore del disagio che sta sotto l’aspetto ludico del gioco di ruolo dei due personaggi. Ringrazio gli attori, con i quali abbiamo lavorato anche fino a tarde ore per la riuscita di questo progetto. Insieme siamo riusciti ad affrontare il testo di Pinter in modo incisivo, ma genuino».

«È stato interessante lavorare ad una dinamica che muove l’umanità – osserva Michele Schiano –: due esseri umani soli, che si cercano non attraverso una relazione diretta, ma attraverso le maschere che loro stessi si sono creati ». «Le persone si scelgono, come dice Claudio – interviene Valentina Picello, protagonista femminile de L’amante –, e questa opera ne è la dimostrazione. Noi attori ci siamo scelti, abbiamo scelto l’interpretazione da dare alla storia, e vi siamo rimasti fedeli. Ma anche i personaggi si sono scelti, e continuano a cercarsi, anche se da tempo hanno perso il loro linguaggio comune e non si comprendono più. Ma ci sarà il momento in cui a prevalere sarà la loro scelta, e allora incontrandosi rideranno dei loro stessi tentativi falliti di comunicare».

Work in progress, un progetto sostenuto dalla Regione Lombardia dalla Provincia e dal Comune di Milano, e promosso dal teatro Litta, è un master che forma giovani registi e dà loro la possibilità di confrontarsi con le sfide della macchina produttiva del teatro, prima di essere lanciati “senza rete” nel difficile mondo dell’arte drammatica italiana. Scherza, Claudio Autielli, prospettando per se stesso la disoccupazione dopo tre anni passati all’ombra del Litta a studiare i linguaggi teatrali. Ma poi si fa più fiducioso: «Questi anni mi hanno reso più consapevole degli strumenti espressivi che ho a disposizione, e dell’ampiezza dello scenario artistico a cui il mio lavoro si dovrà rivolgere da adesso in poi. Il lavoro sul palcoscenico riassume e dà senso a tutti i passi compiuti fino a questo momento. E poi ho stabilito dei contatti, delle relazioni. Hanno imparato a conoscermi, e anche io ho imparato ad essere più sicuro nel proporre i miei lavori». Una fiducia condivisa anche da chi ha supervisionato il percorso di Claudio, ricordando altri giovani registi del Litta approdati ad altri importanti lidi. Vedere per credere.

Sala Teatro Litta
Corso Magenta, 24 Milano
repliche dal martedì al sabato alle 20.30 – domenica 16.30
biglietti martedì/mercoledì/giovedì intero € 12 – ridotto € 9
venerdì/sabato/domenica intero € 18 – ridotti € 9/12



[floriana liuni]
continua

MINORI ABBANDONATI

Un libro per i nipoti di Ceauçescu

“Rabbia, gioia, felicità, amarezza” . Emozioni. E’ la Romania di don Gino Rigoldi.“Di occhi che brillano”. Dove un bambino all'improvviso può saltarti sulle ginocchia chiedendo di fargli da genitore:”fai il mio papa?” Una proposta difficile da dimenticare. Bambini soli, migliaia, e genitori mancati. La Romania è una terra di povertà e sopravvivenza. Di potenzialità mortificate da 22 anni di dittatura. Retaggi, strascichi, disperazione. Bisogna capire, prima di giudicare, abbassare l’indice. E' facile e insieme difficile. Per Anna si tratta di “andare, vedere e tornare tormentati”. Ma la sua è un’esperienza comune a centinaia di volontari che operano nell’ex impero di Ceauçescu. Esperienze intense, sempre sofferte; ora condensate nelle pagine di un libro: Amintare. Il tentativo è quello di rompere il silenzio. “Perché – spiega ancora Anna - niente è peggio che tacere”. Già il titolo racconta di una nostalgia, gli amintare sono ricordi: braccialetti che i bambini regalano ai volontari alla partenza, in segno di ringraziamento per essersi presi cura di loro.

“Ci sono momenti, in cui ti senti inutile, impotente, poi capisci che non sei lì per rivoluzionare le cose ma per donare loro un po' di bene”. In realtà , Bambini in Romania, l'onlus nata nel '99 a Milano, di bene ne ha dato molto. Incentivando la realizzazione di strutture per la formazione minorile ma anche promuovendo campagne preventive contro l'abbandono. Una piaga ancora sanguinante, ereditata dall'era Ceauçescu quando la contraccezione era proibita. Molte famiglie – spiega un volontario- erano allora costrette a portare i figli in istituto per dargli una chance di sostentamento: era un gesto d'amore. Questi bambini erano educati dallo Stato. «Oggi - spiega don Gino - la Romania è diventata un grande cantiere, sono più i cantieri che gli operai, e speriamo che la crisi non cambi le cose. Ma è una nazione ancora in cerca d'identità». Perché gli stati usciti dal mondo comunista hanno perso numerosi punti di riferimento. «E purtroppo- sospira ancora don Gino - non c'è una tradizione di cura verso gli adolescenti. C'è gente buona però. In ogni caso la Romania avrebbe bisogno di un compagno di strada non di un benefattore». L’Italia potrebbe fare qualcosa, anche partendo dal proprio territorio. “A Milano, ad esempio, si possono trovare molte energie positive”. Il problema, in questo caso, è la mancanza d’informazione.

«Ci sono storie che a raccontarle fan perdere lettori ma ne vale sempre al pena». Giangiacomo Schiavi, capo cronaca del dorso milanese del Corriere, ricorda la storia di Miky, un bambino clandestino che voleva andare a scuola. Il caso fu scoperto da un’inchiesta di Fabrizio Gatti sui campi rom e, subito, rimbalzò sulle pagine del Corriere. Tutte le mattine le maestre dell’asilo andavano alle baracche, a prendere il bambino per accompagnarlo alla scuola materna. Di nascosto perché i genitori erano irregolari. In breve divenne il migliore della classe. Quando la notizia venne fuori per alcuni scattò la solidarietà. Per altri la polemica. Volevano farne un caso esemplare: era clandestino? Andava espulso, non aiutato. Anche i lettori si divisero ma alla fine vinsero le buone intenzioni. Oggi Miky è in terza liceo grazie ad una borsa di studio, ed è ancora il più bravo. Purtroppo in Romania di Miky ce ne sono tanti, abbandonati persino dai genitori. Proprio a loro è dedicato il lavoro di don Gino Rigoni e della sua squadra. «Siamo fortunati a donare l’occasione di un sorriso – dice - ci costa niente. Davvero, non chiamateci bravi, siamo solo fortunati».


[ivica graziani]
continua

POLITICHE DI RILANCIO

L’economia riparte dal cantiere

Il rilancio economico parte da calce e mattoni. Per agevolare il risveglio economico di un’Europa e di un’Italia addormentate dalla crisi, le politiche continentali e nazionali si affidano all’edilizia come àncora di salvezza. I punti salienti del ritorno al controverso settore aedificatorio sono riassumibili in due macroaree di riferimento. Ovvero: il blocco dell’aliquota Iva al 10% a livello europeo per gli interventi di ristrutturazione varato dall’Ecofin pochi giorni fa, nonché il disegno di legge del governo Berlusconi per il cosiddetto “piano casa”.

Il frutto dell’intesa dei 27 Stati membri deriva da un ben più grande progetto europeo di esenzioni ammesse su prodotti e servizi ad alta intensità di manodopera al fine di creare nuovi posti di lavoro. Ma l’importanza non è solo il blocco dell’aliquota al 10%, ma la ben più grande conferma che questa norma diventa permanente e non più limitata al 2010 come si pensava poc'anzi. Questo traguardo si traduce in una «buona dote fiscale per la nostra nuova politica edilizia e abitativa», come l’ha definita il ministro Giulio Tremonti da Bruxelles. I numeri dell’edilizia italiana danno ragione a questa visione di sgravo che dovrebbe incentivare nuovi investimenti e quindi il rilancio del settore. Considerando che su una stima di 4,2 miliardi di spesa complessiva per ristrutturazione in Italia, ben 1,15 sono rappresentati dai grandi investimenti stimolati dal blocco dell’aliquota, che ormai si trascinava da dieci anni di proroghe.

L’altro fronte della sfida al rilancio fondato sull’edilizia passa per il “piano casa”. È un disegno di legge che, sebbene non sia stato ancora elaborato e approfondito, ha fatto discutere molto, forse addirittura più del dovuto, ma che presenta elementi che potrebbero incentivare la ripresa dell’iniziativa edilizia. Di fatto non si tratta di una forma di speculazione legalizzata, ma della possibilità di incremento della cubatura degli stabili abitativi fino a un 20% e delle superfici se adibiti ad altro uso, nel massimo rispetto dei piani regolatori dei singoli comuni. Ma non è tutto.

L’idea del governo è quella di concepire una legge cornice per le Regioni, poiché il controllo in materia edilizia è assegnato agli enti locali. Il piano casa rappresenterebbe quindi l’opportunità di poter accrescere il proprio patrimonio immobiliare investendo sulla propria casa. Ma la prerogativa del disegno di legge non è strettamente di patrocinio governativo. Il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, ha già proposto in giunta regionale (che ha approvato) un ddl analogo e presto pare che farà lo stesso il neo governatore Ugo Cappellacci in Sardegna.


[francesco cremonesi]
continua

MUSICA POPOLARE

Cassoeula, mandolino e rock ‘n roll

Taranta, tamburelli, chitarre, dialetto laghese, filastrocche vicentine e blues meneghino: tutto sullo stesso palco. La manifestazione Volgar Eloquio fa tappa all’Università Cattolica per una conferenza e un miniconcerto di quattro realtà artistiche dialettali tra le più importanti sulla scena italiana: Eugenio Bennato con i Taranta Powers, Davide Van De Sfroos, Patrizia Laquidara e i Teka P.

Bennato ha ricordato gli anni in cui veniva considerato un musicista “da archeologia”. «Accompagnavo mio fratello Edoardo e Pino Daniele al quartiere Santo Stefano, a Napoli: loro compravano chiatarre elettriche, io, invece, mandolini e mandoviole». L’importantissimo patrimonio musicale partenopeo era un sapere da salvare e, in un momento in cui la scena musicale vedeva l’esplodere del rock con Beatles e Bob Dylan, la creatività, secondo Bennato, era da ritrovarsi in un genere che veniva lasciato in disparte, quello della musica popolare. «Quando ero giovane io nessuno voleva più sentire parlare di taranta o neomelodici. Adesso si fanno centinaia di manifestazioni all’anno popolate da giovani spettatori che danzano e cantano come pazzi».

Su un ramo del Lago di Como si sviluppa, invece, la vita e la carriera di Davide Van de Sfroos, cantautore totem della zona lombardo-ticinese. Le sue canzoni in lagheé nascono osservando la realtà che lo circonda sin da adolescente. «Per esprimere le mie emozioni usavo la lingua che tutti parlavano intorno a me, il nostro dialetto. La cosa curiosa è che tutti i discografici dicevano che non avrebbe funzionato, che la musica in dialetto era di serie B». Van de Sfroos ha anche realizzato turneé all’estero dove, visto il nome e il modo di parlare, nessuno credeva fosse italiano, semmai belga o olandese. «Il dialetto non morirà mai e continuerà ad evolversi. In fondo chi avrebbe pensato vent’anni fa a frasi come damm el mouse che g’ho de chataà in internet?».

Per Patrizia Laquidara, giovane raffinata cantante veneta, la scelta della canzone dialettale è nata come una ricerca d’indentità. «Sono cresciuta con le mie due nonne, una siciliana, che suonava benissimo il tamburello, l’altra veneta, che mi raccontava delle bellissime favole popolari. Nessuna delle due parlava in italiano». Il colpo di fulmine per la musica popolare arriva con l’adolescenza, quando Patrizia ascolta per caso Amalia Rodrigues, la regina del fado portoghese. La sua musica, fortemente connotativa di un territorio, la fa iniziare a sperimentare la composizione in alto vicentino. «La musica della Rodrigues sapeva di terra. Io volevo che anche la mia fosse così».

I Teka P hanno iniziato a fare musica per i quartieri di Milano Est, ispirandosi alla tradizione milanese in voga negli anni, da Jannacci a Nanni Svampa e Cochi e Renato. Anche il loro genere è, sotto alcuni punti, tragicomico. «È la cadenza stessa del dialetto a ispirare i temi delle nostre canzoni. Il milanese, infatti, può essere solo ironico o tragico, serioso, ma mai serio». Le loro canzoni sono giochi di parole montati su musiche di ascendenza europea, perché la tradizione cantautoriale ambrosiana si modella sulla grande tradizione francese. I Teka P, tuttavia, utilizzano anche sonorità jazz e blues, musiche mediterranee, melodie rock.
Alla fine della chiacchierata ogni autore si è esibito in due canzoni esemplari del loro repertorio per un pubblico di canute signore in paltò e giovani in scarpe da tennis, pronti a raccogliere il testimone dei loro nonni e a far sopravvivere la cultura dialettale.


[alessia scurati]
continua

TEATRO SAN BABILA

Brithish humour in salsa italica

Oggi sono altri gli scandali che investono i banchieri, ma meglio riderci su con questo adattamento italiano di Niente sesso, siamo inglesi, in scena dal 10 marzo al 5 aprile da Teatro San Babila di Milano, dopo un tour in giro per l’Italia, passando da Roma, Empoli e Firenze. L’opera, scritta da Anthony Marriott e Alistair Foot e sulle scene ormai dal 1971, nell’allestimento diretto da Renato Giordano e con le scenografie di Aldo Buti, è adattata da Gianfelice Imparato, attore napoletano che abbiamo visto nel ruolo di Don Ciro in Gomorra di Matteo Garrone.

La trama suona più o meno così: nella Roma vaticana, un rispettabile direttore di banca e la sua novella sposina ricevono per posta un pacco di materiale pornografico. Nulla di grave, non fosse che l’appartamento in cui i due vivono è di proprietà del clero. Il flemmatico e perbenista banchiere (Valerio Santoro) deve perciò vedersela con preti e suore che si presentano per “casuali” ispezioni, con una madre invadente e inopportuna (interpretata da Erica Blanc), col “moralista” direttore della banca vaticana (il volto televisivo Luigi Montini) e con due ragazze squillo che piombano nell’appartamento a guastare la quiete familiare, ma forse a togliere dalla noia la giovane sposa (Eleonora Mazzoni). Tra gag e colpi di scena, il fastidioso pacco finirà nel bel mezzo di una parata di guardie svizzere, e molte maschere moralistiche cadranno rovinosamente, per il divertimento del pubblico.

Adattare il British humour in salsa italica (pur mantenendo il titolo originale per ragioni di convenienza), e attualizzare la pièce al giorno d’oggi è stato l’impegno di Gianfelice Imparato, che ha rimaneggiato la precedente, pure fortunata, versione di Garinei e Giovannini, dandole un ritmo più brioso e sostenuto. Di Imparato è anche il ruolo di Felice, mattatore sul palco, già interpretato da Johnny Dorelli e Gianfranco D’Angelo nelle edizioni del 1972 e del 1990. Come nella versione inglese, la commedia assesta diversi colpi al perbenismo di certi ambienti: quello bancario nell’opera originale, quello della Roma vaticana nella versione nostrana. Un invito all’autoironia attraverso una serie di esilaranti battute, colpi di scena, e il ritmo narrativo estremamente incalzante della regia di Giordano.

«Abbiamo avuto un pubblico numeroso, e anche giovane», osserva il regista. «La nostra è prosa comica, non cabaret. Uno stile che garantisce divertimento per tutti, senza risultare polveroso e antico». Una commedia brillante ma senza volgarità, adatta a pubblici di tutte le età, che prende in giro la società senza offendere nessuno e garantisce una evasione ammiccante e arguta. «Il passaparola è stato fondamentale per la riuscita del nostro tour», continua il direttore del Teatro San Babila, Gennaro D’Avanzo. «Quando il prodotto è di qualità, la voce corre. Spesso invece gli spettacoli con un forte marchio ricorrono ad una pubblicità eccessivamente mediatizzata, che ha grandi impatti soprattutto nelle prevendite. Ma se poi il prodotto non è all’altezza, il pubblico cala già dopo poche rappresentazioni. Noi abbiamo riempito i teatri fino alla fine». Un successo che ci auguriamo verrà replicato al San Babila.


[floriana liuni]
continua

ABUSI

Violenze sessuali, vittima minorenne a Milano

Gli abusi andavano avanti da quattro mesi. Ma la ragazzina, Anita, ha trovato il coraggio di parlare soltanto quando la madre si è accorta delle violenze che subiva dal convivente di lei. Lui, Gerardo Gilberto Alvarez, ecuadoregno di 50 anni, di notte la palpeggiava, mentre tutti dormivano nella stessa stanza di un bilocale di via Procaccini. Sette, forse otto gli episodi, culminati persino in un rapporto sessuale completo. L’uomo, intimorendo la bambina, la richiamava nel letto matrimoniale oppure si introduceva nel suo. La convivente, una 30enne del Guatemala, non si è mai accorta di nulla e nemmeno il secondo figlio, di dodici anni. Fino a una notte di febbraio, quando, svegliandosi nel cuore della notte, la donna ha trovato la figlia sottomessa alle cattive intenzioni dell’Alvarez. Inutile il tentativo del 50enne di dissimulare l’evidenza, perché la compagna è subito andata via di casa, portando con sé i due figli. Dopo aver trovato rifugio in viale Sarca ospite di amici, la donna il giorno dopo ha denunciato l’Alvarez ai carabinieri.

Avendo saputo da amici e conoscenti di essere ricercato, il violentatore si è reso irreperibile. Ha abbandonato l’appartamento dove da settembre era a sua volta ospite del figlio 29enne, che lì abitava con la compagna. Ma dopo un mese di fuga, il 18 febbraio l’Alvarez si è presentato spontaneamente alla stazione Sempione: «So che mi state cercando», ha detto ai carabinieri. Carta d’identità italiana ancora valida, ma permesso di soggiorno scaduto, Alvarez era un elemento pericoloso: dagli accertamenti sono emersi precedenti penali per furto, rapina e rissa. Ora è rinchiuso a San Vittore, ma Anita a febbraio ha dovuto abortire.


[daniele monaco]
continua

CITTÁ STUDI

Copisterie pirata: tre denunce a Milano

Un’intera libreria di testi fotocopiati e catalogati, pronti per essere venduti a metà prezzo rispetto all’originale agli studenti universitari di Città Studi. Ma anche magazzini pieni di pc portatili, macchine fotografiche, borse, capi d’abbigliamento: tutti rubati o contraffatti. Il valore commerciale della merce sequestrata da parte della Guardia di Finanza di Milano, nell’ambito dell’operazione Sumeri 2, ammonta a ben 500mila euro.

Le Fiamme gialle hanno scoperto nei pressi del Politecnico l’attività illecita di tre copisterie che si appoggiavano a un laboratorio “clandestino” di trecento metri quadri. L’intervento è stato condotto inizialmente dagli ispettori Siae che hanno segnalato alcuni locali non dichiarati dove avveniva la riproduzione illecita su larga scala di testi scientifici e universitari. Il laboratorio, attiguo a uno dei tre esercizi, ospitava ben sette macchine fotocopiatrici professionali, dotate di due caricatori ciascuna, in grado di riprodurre libri in quantità industriali. Il Primo nucleo operativo della Guardia di finanza, guidato dal tenente Nocerino, ha quindi requisito scaffali pieni di 2.700 libri protetti da diritto d’autore, più un database di 1.000 copie in formato digitale. Le opere infatti venivano scannerizzate e catalogate su un listino prezzi, pronte per essere stampate e servite a chi ne facesse richiesta. Meglio non avere troppa fretta però, perché sui buoni per le ordinazioni un’avvertenza particolare rivelava che il lavoro non mancava: «Chi ha fretta può rivolgersi altrove», c’era scritto. Il tutto, insieme a due computer e ai supporti informatici per memorizzare i file digitali raggiunge un valore di 200mila euro, un terzo del totale sequestrato in tutto il 2008 in Italia per reati legati alla violazione del diritto d’autore. Il restante, nascosto in altri locali, intestati a prestanome e adibiti a magazzini, ammonta a più di 300mila euro e consiste in 2.500 oggetti di varia natura: computer portatili, tastiere elettroniche, borse, scarpe e vestiti. Sconosciuta la provenienza e il luogo di produzione della merce, di buona qualità e provvista di loghi Nike o Dolce & Gabbana abilmente contraffatti.

Così, per il responsabile dei magazzini si è aggiunta la denuncia di ricettazione oltre a quella per illecita riproduzione di opere coperte da diritto d’autore, comune ai responsabili delle altre due copisterie. Nessun cliente è stato coinvolto dall’operazione, volta a colpire i produttori: spesso gli studenti non sanno che si può riprodurre al massimo il 15% di un libro. Infine, un dato fornito dal Comando provinciale della Guardia di finanza: «In Italia i proventi dai diritti d’autore sono 4,4 milioni all’anno, in Spagna 46, in Gran Bretagna 54. Delle due l’una, o in Italia si legge di meno o si compra più contraffatto».


[daniele monaco]
continua

TERRORISMO

In Irlanda del Nord torna la paura

Che cosa sta succedendo in Irlanda del Nord? Siamo davvero di fronte a una nuova alba del terrore? Abbiamo cercato di capirlo insieme a Silvia Calamati, scrittrice e giornalista esperta di questione irlandese, autrice di volumi quali Irlanda del Nord. Una colonia in Europa, Qui Belfast. 20 anni di cronache dall’Irlanda di Bobby Sands e Pat Finucane e vincitrice del premio internazionale Tom cox award.

Due attentati omicidi nel giro di tre giorni, che hanno provocato la morte di due militari britannici e di un agente di polizia. Gli agguati sono stati rivendicati rispettivamente dalla Real Ira e dalla Continuity Ira, due frange estremiste del movimento indipendentista Irish Republican Army, che non hanno mai accettato gli accordi di pace del 1998 e la deposizione delle armi siglata nel 2005. È bastato questo per far circolare la paura di una nuova stagione terroristica, ma per Silvia Calamati non è così: «Non si può sostenere che inizierà una nuova guerra, perché gli attentatori appartengono a gruppi molto piccoli, che non hanno né l’appoggio della maggioranza della popolazione né una capacità militare adeguata». In effetti i militanti sono poche centinaia, ma non sono mancate manifestazioni popolari in favore delle uccisioni.

Per il primo ministro britannico Gordon Brown «questi assassini stanno cercando di distruggere un processo di pace che ha portato benefici e progresso», ma non avranno vita facile perché «la Gran Bretagna si opporrà strenuamente». Nonostante l’invito alla calma, lanciato dalle istituzioni, il pensiero corre al recente passato di sangue. Da 30 anni a questa parte, sono state più di 3.600 le vittime provocate dagli scontri tra nazionalisti e unionisti. L’ultimo grande episodio di violenza si è verificato il 15 agosto 1998, quando gli indipendentisti della Real Ira eseguirono un attentato ad Omagh, uccidendo 29 persone. Da allora, la violenza pareva aver ceduto il posto a una trattativa di pace condotta dal Sinn Fein, il più grande partito repubblicano irlandese. «Chiariamo bene una cosa - precisa Silvia Calamati – . Quella che c’è stata in Irlanda del Nord negli ultimi decenni, non era una guerra civile o di religione. Il cambiamento portato dagli accordi di pace è il tentativo di cancellare una memoria storica».

Per il giornalista Sandro Viola, l’interruzione degli scontri è stata favorita «dalla crescita dell’economia, dalla fine della miseria nei ghetti cattolici e nei villaggi agricoli». Ora, però, «l’Irlanda del Nord è un paese vicino alla bancarotta». Non sorprende, quindi, il ritorno della violenza. Silvia Calamati, invece, mette in evidenza come questi nuovi omicidi siano giunti «poche ore dopo l’invio, sul territorio irlandese, di nuovi militari britannici appartenenti alle forze segrete» Insomma, continua Calamati, «il nemico da combattere è ancora l’esercito inglese, visto come un occupante. Questa nuova violenza s’inserisce come un ulteriore tassello in quel processo di pace presentato come un obiettivo parzialmente raggiunto, ma che in realtà non è mai decollato».

È importante sapere che, in Irlanda del Nord, le condizioni della popolazione sono pessime: «Questo – sottolinea Silvia Calamati – è uno dei paesi con la più alta violazione dei diritti umani. La polizia è dotata di poteri eccezionali, che le consentono di fermare e prelevare chiunque in qualsiasi momento. Dire che in Irlanda del Nord c’è la pace, significa mentire. Per questo non mi sono stupita di questi nuovi attacchi».

Anche se senza futuro, gli ultimi omicidi hanno raggiunto un obiettivo: quello di far confluire in Irlanda del Nord una grande quantità di denaro. La giornalista Calamati spiega: «Sono arrivati parecchi soldi dall’Ue, nel tentativo di riportare quella calma apparente che si respirava fino a pochi giorni fa. Questo permetterà di aumentare le misure di sicurezza e di controllo della popolazione, del tutto inutili».

Insomma, le azioni della Real Ira e della Continuity Ira si stanno rivelando un vero e proprio boomerang. Come osserva ancora Silvia Calamati: «Questi omicidi, invece di velocizzare il processo verso la pace e l’autonomia dell’Irlanda del Nord, sono un’ulteriore ostacolo al reale cambiamento che tutti i repubblicani si auspicano».


[daniela maggi]
continua

SETTORE AGROALIMENTARE

TuttoFood 2009, come ti globalizzo il prodotto locale

«Valorizzare il prodotto locale globalizzandolo e vendendolo nel mondo, compattamente, come italiano prima che siciliano, piemontese, lombardo o laziale». È questa la linea che il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia ha lanciato perché il settore dell’agroalimentare italiano aspiri ad un buon momento di visibilità internazionale soprattutto in vista della seconda edizione di TuttoFood 2009, la manifestazione che si terrà dal 10 al 13 giugno in Fieramilano.

«Il nostro atlante nazionale – ha dichiarato il ministro Zaia – può contare su oltre 4000 prodotti tipici e su circa 200 prodotti di origine protetta. Il nostro indotto cresce anno dopo anno a due cifre ma all’estero 9 prodotti su 10 del made in Italy sono clonati. Anche nel nostro Paese le cose non vanno meglio: il 90% dei consumatori italiani adora e mangia il formaggio a pasta dura grattugiato, ma il 60% di essi non distingue il grana dal parmigiano: per questo dobbiamo compattarci e favorire una comunicazione diretta e completa sui nostri prodotti».

Tra prodotti Dop, Indicazione Geografica Protetta, Specialità Tradizionale Garantita l’Italia è senza dubbio uno dei principali attori internazionali; ma, come dimostra il Frigorifero degli Orrori , la lotta ai prodotti contraffatti non è un fenomeno che avviene solo al di là dei confini nazionali. «La tutela del prodotto nazionale – spiega il ministro Zaia – è fondamentale. In Puglia devono ancora vendere l’olio prodotto l’anno scorso mentre c’è chi fa la vendita porta a porta con delle schifezze».

La formula vincente del ministro prevede il ricorso all’economia di scala in sinergia ad un movimento nazionale unitario, che tuteli i localismi ma che promuova innanzitutto il made in Italy. «L’etichetta obbligatoria di provenienza a tutela del consumatore – ha concluso Zaia – è stata inserita nel decreto di legge che adesso è all’analisi delle Camere. Per il resto faremo come dice Obama: prima pensiamo a noi, poi guarderemo il resto».

La seconda edizione del TuttoFood Milano World Food Exibation punta proprio su questo: la riconducibilità dei prodotti italiano da mettere assolutamente in competizione con quelli francesi e tedeschi, che oggi possono disporre di vetrine fieristiche più importanti e conosciute. Tre concorsi animeranno questa rassegna e verranno assegnati i premi per il miglior prodotto innovativo, per il miglior prodotto di nicchia e il TuttoFood Cheese Award. Il tutto per fare sapere che l'agricoltura tricolore c'è, ed è compatta e di qualità.


[roberto dupplicato]
continua

GRECIA

Tra scioperi e attentati, gli dei stanno a guardare

Atene, marzo 2009. Nei giorni della Quaresima ortodossa, nella capitale greca si respira aria di contraddizione. A partire dal clima che, nell’ultimo mese d’inverno, ci accoglie con un piacevole tepore. Anche la città vive di contrasti: la pace dei sentieri antichi che portano all’Acropoli stride con i rumori di una metropoli di oltre tre milioni di anime che hanno voglia di muoversi, costruire, commerciare. Sono giorni di vacanza, di festa nazionale. I turisti affollano come sempre lo spazio di fronte al Partenone, scattano fotografie all’oceano di case viste dall’alto, si immaginano avvolti in candide tuniche passeggiare nell’Agorà, rivivono il dramma di Socrate nell’anfratto dove bevve la cicuta, ammirano l’incantevole panorama dalla collina di Filopappo, dimora delle Muse. Dopo i folleggiamenti del Carnevale greco, l’Atene tradizionalista rispetta i dogmi ed evita la carne, che continua a girare sugli spiedi per gli ospiti in vacanza.

Ma c’è un’altra città che mette da parte religione e riposo e decide di scendere in piazza. Il 2 marzo, giorno di festa nazionale, mentre il lungo serpentone dotato di obiettivi sale verso i templi, una ragazza greca in visita alla capitale avverte: «I manifestanti vogliono occupare l’Acropoli, bloccheranno ogni accesso». Ma l’allarme sembra rivelarsi infondato e la giornata prosegue con tranquillità. Un paio di giorni dopo, però, le vie antistanti il Parlamento si riempiono di folla e di bandiere. Lo sciopero invade il centro della capitale e fa fermare i mezzi pubblici. Lavoratori e turisti affollano le biglietterie per chiedere spiegazioni. Al ticket office si sentono rispondere: «Signori, il centro di Atene è assediato. Dovete raggiungere la periferia per accedere ai mezzi e arrivare all’aeroporto». Il museo dell’Acropoli è nuovamente chiuso: i dipendenti del Ministero del Turismo hanno deciso di incrociare le braccia per i tagli agli stipendi. Così è anche per i medici della capitale: i servizi sanitari della metropoli sono stati sospesi e un’emergenza non risolta ha causato una morte sospetta e un’ondata di proteste. Negli ultimi mesi la tensione è andata crescendo: ci sono stati numerosi attentati –fortunatamente senza vittime–, l’ultimo dei quali ieri mattina. Una bomba è infatti esplosa vicino a una sede della Citibank, nella zona nord della città. Solo qualche giorno fa un altro ordigno era deflagrato nell’auto di un imprenditore, riducendolo in fin di vita.

Molti di questi episodi, che hanno colpito soprattutto commissariati, sedi diplomatiche e commerciali, sono stati attribuiti a movimenti di matrice anarchica. Uno degli attacchi è stato rivendicato da Epanastikos Agonas (Lotta rivoluzionaria) che, telefonicamente, invitò «tutte le forze rivoluzionarie ad unirsi per rovesciare il regime». La situazione è precipitata subito dopo il tragico episodio avvenuto lo scorso dicembre, quando un ragazzo di 16 anni è stato ucciso dalla polizia nel quartiere di Eksarchia, roccaforte della sinistra antagonista. L’entrata delle pattuglie nella zona era stata interpretata come una provocazione e, bersagliati dalla sassaiola, i poliziotti hanno cominciato a sparare. La vittima, colpita allo stomaco, è morta nel giro di un quarto d’ora. Uno degli agenti è stato accusato di omicidio volontario, nonostante inizialmente la vicenda fosse stata considerata un incidente.

La reazione di rabbia e disperazione dei compagni del giovane ha portato ad una serie di episodi a catena. Nell’arco di qualche settimana, oltre 3000 ragazzi hanno assaltato 31 negozi, 9 banche e bruciato decine di auto e cassonetti. Le proteste sono giunte immediatamente ai vertici, ma il premier Costas Karamanlis ha respinto le dimissioni di due ministri, tra cui il ministro degli Interni, Prokopis Pavlopoulos. Altri attentati sono stati rivendicati da un gruppo chiamato “Setta dei rivoluzionari”, che si ispira alla Baader-Meinhof, la banda che operò negli anni Settanta in Germania sotto la sigla Raf (Rote Armee Fraktion). Il loro obiettivo sono le forze di polizia che, in un documento inviato tramite cd al quotidiano Ta Nea, vengono definiti “porci”. La polizia rappresenta la difesa delle istituzioni, che in questo momento vivono nel Paese ellenico un forte momento di crisi. La Grecia ha infatti registrato uno sfondamento del 3% del deficit di bilancio.

Karamanlis ha previsto un pacchetto di riduzione del 10% del budget per tutti i dicasteri ad esclusione di salute e istruzione, che però dovranno presentare ogni tre mesi un rapporto alle Finanze. La decisione che ha scatenato le reazioni più accese è stata la prevista riduzione di spesa per i lavoratori a contratto e il congelamento di tutte le assunzioni nel pubblico impiego. La stampa di centrosinistra ha ricordato l’inefficacia dell’operato del premier, in quanto aveva promesso l’applicazione dello stesso pacchetto in passato, senza poi essere riuscito a mantenerlo. Timori sono stati espressi anche dal governatore della Banca Centrale, George Provopoulos, che ha preventivato una stretta fiscale e un’auto-limitazione della spesa pubblica. La previsione è che il tasso di crescita possa scendere al di sotto dello 0,5%; il Paese potrebbe rischiare il tracollo se non riuscisse ad applicare le misure di emergenza. Il leader dell’opposizione, George Papandreou, ha dichiarato:«Quello che ho capito è che il governo non ha ancora un progetto definito. Temo che ci sia solo un piano: le elezioni nazionali.

La crisi attuale è legata direttamente alla fine di un modello economico che ha promesso la crescita senza garantire la redditività e la prosperità della nostra società». E’ stato così proposto un “piano verde”, con una riforma che investa anche nelle nuove tecnologie, con la creazione di un fondo per migliorare la qualità dell’ambiente. Chi entra ad Atene vive infatti una doppia dimensione. I siti archeologici e culturali vengono costantemente curati e conservati, nel rispetto della vegetazione e della natura. Accanto al patrimonio dell’Acropoli, però, la speculazione e l’abuso edilizio, l’incremento commerciale e automobilistico hanno deturpato molte zone della metropoli. Il degrado di alcune aree territoriali è solo uno dei punti deboli di un Paese che in questo momento vive problemi più urgenti: il flusso delle migrazioni, in particolare provenienti da India, Pakistan e Turchia, necessita la garanzia di un assorbimento lavorativo e la tutela dei diritti fondamentali.

Atene è infatti il fulcro di questa contraddizione: accanto ad una minima percentuale di cittadini molto ricchi, la maggioranza della popolazione vive in condizioni di difficoltà. Il fenomeno crescente della disoccupazione e del deficit pubblico sono stati al centro del dibattito tenutosi lo scorso 1° marzo a Bruxelles, durante il vertice straordinario dei Paesi Ue, alla presenza di 27 capi di Stato e di governo. La proposta del premier ungherese Ferenc Gyucsany per un piano complessivo per l’Est da almeno 180 miliardi di euro non è stata accolta. La principale motivazione è stata la paura di creare un «ghetto» economico dei Paesi dell’ex blocco sovietico e di quelli delle aree limitrofe, preferendo ipotizzare un piano di aiuti caso per caso. Nel documento finale si è sottolineata l’importanza del rafforzamento della stabilità finanziaria sulla base delle analisi della Commissione europea, per affrontare la crisi grazie alla collaborazione tra gli Stati. Ci si sta già preparandosi all’arrivo di Obama a Praga il prossimo 5 aprile per il vertice Ue, in cui si parlerà delle possibili prospettive di interazione tra i due continenti. Intanto ad Atene le proteste e gli scioperi continuano, mentre i cani randagi che giacciono ad ogni angolo delle strade raccontano di una città bisognosa di cure e attenzione.

[vesna zujovic]
continua

GINNASTICA RITMICA

Alla scoperta di uno sport poco mediatico

L'Italia, si sa, è da sempre una nazione consacrata al calcio, pronta ad entusiasmarsi per le prodezze di undici ragazzi in pantaloncini che rincorrono un pallone, ma quasi indifferente di fronte alle fantastiche evoluzioni di leggiadre fanciulle in pedana. Eppure la ginnastica ritmica è uno degli sport che negli ultimi anni ha portato più allori internazionali al nostro Paese. Il dossier di M@g accende i riflettori su un mondo che si è abituato a farne a meno.

1. Le farfalle azzurre torneranno a volare


2. Ginnastica ritmica per soli uomini


[alessia lucchese] continua

FORMULA STERLIGOV

Tempi di crisi, ritorno al baratto

«Più che una soluzione è un segno della crisi. Perché questa idea che il baratto possa salvare l'economia non sta in piedi». Maurizio Mottolese, docente di Politica Economica presso la Cattolica di Milano, non crede alla "formula Sterligov" per combattere la crisi di liquidità russa. L'idea è fin troppo semplice. Non avete denaro per comprare le cose? Scambiatele. Libri, vestiti ma anche materie prime. Un balzo ai tempi bui degli anni ’90, insomma, ma con i vantaggi del web. Il miliardario 42 enne russo, Sterligov, dimostra di credere nelle potenzialità dello scambio via internet: 13 milioni di dollari investiti in un sito dal nome altisonante, “CentroAnticrisi” (www.artc-alissa.ru), 3 mila le richieste in attivo e una sede prestigiosa.

Punto forte del progetto, l'offerta di un servizio completo in grado di snellire le pratiche burocratiche dell'ex Unione Sovietica. La novità vera rispetto ad un normale sito di scambio sta proprio in questo. «Il signor Sterligov – osserva il professor Mottolese - sta sfruttando i vantaggi della tecnologia perché uno dei problemi grossi nell'economia del baratto sta nella mancanza di comunicazione, nel far incontrare l’offerta con la domanda». Quello che non va dimenticato però - sottolinea - è che, persino in un'economia del genere, i prezzi restano variabili. Le ragioni di scambio continuano a mutare. Mettiamo che le penne scarseggino, quanti libri sarò disposto a cedere per averne una? I prezzi si personalizzano ma spesso le transazioni diventano addirittura più costose. Immaginiamo di voler acquistare un libro e di avere una penna. Il venditore del libro è disposto a permutarlo solo con un dizionario. A questo punto la catena degli scambi si allunga: dovremo prima dare la penna per il dizionario e poi commutare il dizionario col libro.

Lo spettro è quello degli anni ’90, dell’era Eltsin, quando il baratto consentì la sopravvivenza al 50% della popolazione. Perché nel 2008 secondo il Russian Economic Barometer c’è stato un nuovo picco del fenomeno e gli scambi hanno raggiunto il 4% delle vendite. Non solo: tutti i settori sono stati investiti dal fenomeno, imprese e privati: dalle agenzie immobiliari alle industrie d’auto, passando per i rivenditori di vestiario. «Il sito - rincara il professore della Cattolica - sfrutta solo la situazione di crisi: individui che non hanno reddito o aziende in crisi di liquidità. Si tratta di un fenomeno dalla portata limitata. Quello degli scambi non può essere una soluzione sistemica».

E - dopo aver osservato attentamente il sito dell’imprenditore russo – aggiunge: «Qui non si capisce come sia quantificata la percentuale dovuta per il servizio. Viene indicato un generico 2% ma non si desume a cosa si riferisca. Se acquisto penne devo pagare un 2% in penne? In realtà sembra che le transazioni vengano fatte al baratto ma vengano misurate al prezzo di mercato. Il che rischia di essere costoso per i barattatori». Alla fine, chi ci guadagna è solo Sterligov.


[ivica graziani]
continua

FILM

Grandi Fratelli con suicidio in diretta

Spingi lo show alle estreme conseguenze, e scopri quanto dista la realtà dal reality: tanto quanto la vita dalla morte. Questa è la risposta di Bill Guttentag, regista di «Live! Ascolti record al primo colpo», il film che inaugura una impietosa distopia del reality showcon un risultato degno del migliore «1984» orwelliano.

Il Grande Fratello, in sostanza, ci guarda, ed è il pubblico americano, incollato alle poltrone e spettatore di «Live!», il primo reality showdove lo spettacolo è il suicidio in diretta: il gioco della roulette russa. Uno showin cui l’antico gusto dell’uomo per la morte del suo simile è riesumato dalle nebbie della storia, dai tempi degli spettacoli nelle arene romane o delle esecuzioni capitali eseguite in piazza. Cinque concorrenti, un solo proiettile. Per chi sopravvive, cinque milioni di dollari per realizzare il proprio sogno. Per chi perde, il sogno si spezza per sempre. Un’idea della produttrice televisiva Kate Courbet, interpretata da una perfetta Eva Mendes, grintosa e senza scrupoli, lanciata nel solo scopo di salvare una emittente televisiva in declino, e nel sogno personale di non restare “una qualunque”, ma di essere ricordata dal grande pubblico come l’autrice di qualcosa di mai visto prima, qualcosa “da 40% di share”. Ci riuscirà, anzi, andrà ben oltre l’immaginato.

La pellicola di Guttentag è un piccolo gioiello dalla perfetta coerenza narrativa. Il film stesso è girato come un documentario: dalla genesi del programma fino alla sua prima puntata, filmato in presa diretta dal video reporter interpretato da David Krumholtz. Accorgimento, questo, che riproduce ed esaspera tanto la logica voyeuristica – resa dalle riprese effettuate con telecamera a spalla – quanto l’ipocrisia della partecipazione alla vita, della “gente” che si racconta: i segreti del successo del reality show. Il pubblico in sala, così, con «Live!» assiste al reality che ha per protagonista una donna pronta a tutto pur di sfondare, e che incarna una logica mediatica che Guttentag, senza falsi moralismi, mostra al colmo di una perversione tanto cieca quanto coerente. Nulla ferma Kate Courbet. Sfrutta la logica dell’introito pubblicitario e della conquista dell’audience - compresa quella minorile – per abbattere ogni ostacolo. Usa la bandiera ideologica americana della libertà di espressione per contrastare ogni appello alla legalità. Manipola la realtà “reale” che, con la sua evidenza, dovrebbe ergersi a garante e a sostegno delle troppo flebili voci del buon senso, assoggettandola al copione dell’interesse mediatico.

Un interesse che si nutre della volontà più o meno ingenua dei partecipanti (ma anche della stessa Kate) di portare un intero Paese a testimone del proprio sogno personale, della propria volontà di redenzione, della propria storia, sia essa lodevole o, come si vedrà nella prima puntata del programma, completamente e inaspettatamente folle. Sogni, volontà e storie che però, con la pistola in mano e col proiettile in possibile viaggio verso il cranio, smettono improvvisamente di essere reality, e tornano ad essere dura realtà. È in quel momento che la distanza tra finzione e verità si annulla: quando il colpo esplode, chi deve comprendere comprende, ma allora sarà troppo tardi. Dopo lo sparo, the show must go on.


[floriana liuni]
continua

SERVIZI AL CITTADINO

Brunetta-Moratti: ed è subito intesa

L’innovazione dei processi per i servizi al cittadino del Comune di Milano passa attraverso il protocollo d’intesa firmato dal sindaco Letizia Moratti e dal ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Il piano siglato prevede 80 interventi raccolti intorno a quattro ambiti di intervento per avvicinare la pubblica amministrazione ai cittadini dei grandi comuni d’Italia. In altre parole, la sinergia tra Moratti e Brunetta si traduce in due progetti centrati su temi informativi e sul tema emoticon, tanto caro al ministro.

Fondamentale è il progetto Linea amica che si articola con uno sportello reclami, attivo dal febbraio 2007 e l’infoline 020202, implementata nel luglio 2007 e ampliata con funzionalità multicanale. Ma la vera rivoluzione nei servizi comunali sarà l’attivazione del sistema di customer satisfaction basato sul linguaggio grafico delle emoticon, una chicca molto cara al ministro Brunetta. «Lanceremo il sistema emoticon entro la fine del mese mediante un sistema di apposite postazioni collocate fuori dagli sportelli comunali – ha spiegato Brunetta –. I cittadini così segnaleranno il gradimento del servizio comunale, selezionando la “faccina” che meglio ricalca lo stato del servizio ricevuto. Il sindaco Moratti avrà un monitor su cui compariranno i giudizi dei milanesi e così potrà intervenire laddove ci sarà bisogno di migliorare il servizio». Faccette allegre, neutrali o con il broncio: così i milanesi giudicheranno la qualità degli sportelli comunali. Ma il vulcanico Brunetta si spinge oltre: «Il progetto è estendibile anche ad altri comuni italiani, ma chi non vorrà installare gli apparecchi probabilmente avrà da nascondere qualcosa».

A margine della presentazione delle politiche dell’e-government l’attenzione si è però spostata sul tema delle pensioni. Un argomento che Brunetta ha affrontato con qualche riserva. Punzecchiato dai giornalisti, il ministro ha spiegato: «L’alta corte europea condanna l’Italia per l’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego: questa è la notizia. Cosa dovremmo fare? Scegliere se alzare l’età delle donne a 65 anni o abbassare quella degli uomini? L’unica certezza è che Bruxelles addita l’Italia e il Governo sta affrontando una fase di riflessione per decidere sul da farsi. Deve essere chiaro (riferito al leader della Cisl, Raffaele Bonanni ndr) che in Italia l’elettorato che ha dato il mandato a questo governo è per la maggior parte composto da donne. Con l’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni, deriverebbe una compensazione del ciclo di vita attivo, permettendo che il denaro risparmiato possa essere riutilizzato per welfare famigliare. Non credo che ci si siano donne che dicano di no». Che il mercato del lavoro sia allo stallo in seguito alla crisi economica è chiaro, ma è oscuro come mai in Italia sia così problematico potersi allineare con tutti gli standard europei. Cosa ci resta da fare? «Forse, per assumere i ventenni immediatamente, dovremmo mandare tutti in pensione a 50 anni? Ce lo dica lei, signor Ministro».

Ma non è tutto. La vetrina milanese ha permesso al ministro Renato Brunetta di lanciare anche il piano di monitoraggio sul precariato e i lavoratori atipici nella pubblica amministrazione: «Occorre rendersi conto della situazione e cercare percorsi di regolarizzazione – spiega il ministro –. Non trovo comunque giusto che nel privato il lavoro a termine sia una realtà, mentre nel pubblico assolutamente no. Colpevole è quell’amministrazione che mantiene il precariato dei propri dipendenti; ma, attenzione, perché la pubblica amministrazione è vissuta come quel luogo dove vi si entra per cercare di stabilizzarsi per sempre. Questo è inaccettabile». Detto in altro modo, occorre aprire gli occhi davanti a chi, chiodi e martello alla mano, si è attaccato alla sedia. Altro che flessibilità e agilità del mercato del lavoro: qui ci vorrebbe un falegname.


[francesco cremonesi]
continua

POLITICA

Silvio «Hussein» e l'ira di Tonino

«Dobbiamo far fronte comune per contrastare il Saddam Hussein di casa nostra. Questo Governo toglie ai poveri per dare ai ricchi e acuisce l’illegalità invece di incentivare il rispetto delle regole». Nel giorno in cui Il Giornale riporta in prima pagina la notizia della sospensione dall’Ordine degli avvocati di Antonio Di Pietro, definendolo «sleale, scorretto e infedele», l’ex pm di Mani Pulite entra a piè pari sulle gambe del Premier e del suo Governo. «Al quotidiano diretto da Giordano risponderò direttamente in Tribunale - ha risposto seccamente -. Siamo qui per tracciare la strategia dell’Idv in vista delle prossime elezioni amministrative ed europee. La nostra opposizione vuole essere costruttiva. Siamo convinti che in Italia ci siano sprechi di denaro che potrebbe essere ricollocato in altri interventi prioritari. Per questo motivo chiediamo che il referendum abrogativo venga svolto nello stessa tornata elettorale delle europee ed amministrative (6 e 7 giugno, ndr), in modo da risparmiare 400 milioni da destinare alla sicurezza e assumere 5000 uomini nelle forze dell'ordine».

Le sue parole anticipano di qualche ora quelle del leader del Pd Franceschini che a Roma ha incontrato i rappresentanti sindacali delle forze dell'ordine. Di Pietro cela a stento un’irriverenza che viene fuori copiosa quando dice che «il problema dell’Italia non è solo Berlusconi, ma anche i tanti “berluschini” che si sono diffusi a livello locale. Il premier, purtroppo, ci ha abituato a fare l’esatto contrario di ciò che dice. Questo modello di governo deve essere fermato. Danneggia l’economia, vìola i principi democratici e non assicura libertà e sicurezza ai cittadini. L’evasione fiscale, nel 2008, ha raggiunto i 200 miliardi di euro».

Paradossalmente, invece, i rapporti con la Lega sono meno conflittuali. L’Idv non si metterà di traverso nelle scelte che riguarderanno l’utilizzo di fondi per l’Expo, ma ciò che Di Pietro non apprezza «è il doppiopesismo che i dirigenti del Carroccio manifestano tra le regioni del Nord e Roma». «La domenica parlano di sicurezza - ha proseguito -, mentre in settimana si prostrano al Governo trascurando i gravi fatti di Catania e Palermo che rappresentano l’ennesimo sperpero dei risparmi degli italiani. La nostra opposizione, invece, si concretizzerà la prossima settimana con due mozioni. Il Pd proporrà di corrispondere il minimo salariale a chi perde il lavoro, mentre l’Idv rilancerà il contratto di solidarietà. Il nostro obiettivo è quello di ridurre le ore di lavoro per evitare che cresca la disoccupazione».

Il salto dal panorama nazionale a quello locale è breve. Al tavolo con Di Pietro siede il presidente della Provincia Penati, secondo cui «per compiere un’opposizione concreta e finalizzata a migliore servizi fondamentali come sicurezza e infrastrutture, è necessario avere una coalizione compatta e concorde sulle soluzioni da adottare». Perciò Idv e Pd continueranno a viaggiare a braccetto almeno a Milano, considerando che a Roma i rapporti non sembrano essere idilliaci. Penati lo ribadisce a chiare lettere, ricordando i frutti del lavoro già prodotti dalla sinergia con Di Pietro. «Quando era Ministro delle Infrastrutture, in Lombardia furono fatti notevoli passi avanti. Il Cal (Concessioni Autostrade Lombarde, ndr) nacque grazie al suo operato e alla determinazione del territorio. In seguito abbiamo deciso di unire le forze per irrobustire l’alleanza. Contiamo di poter completare lo svincolo Monza-Rho, la Pedemontana e l’ultimo tratto della Tav sulla Treviglio-Brescia. Vogliamo mettere i cittadini della Lombardia nelle condizioni di poter spostarsi con facilità e, nel limite del possibile, senza la macchina».


[fabio di todaro]
continua

UNIVERSITÁ CATTOLICA

Morgan, Orwell and Cigarettes

Cercare di condensare le due ore di valanga estetica di Morgan è un’impresa. Gli appunti si perdono, il filo conduttore salta di palo in frasca: è difficile uscire intellettualmente indenni. Marco Morgan Castoldi, voce dei Bluvertigo e volto di X Factor, è salito in cattedra all’Università Cattolica per gli studenti dell’Almed, l’alta scuola in media comunicazione e spettacolo. Difficile immaginare l’istrionesco personaggio calato nei panni di un docente, sarebbe un azzardo solo pensarci, eppure, tra battute e un registro al limite della decenza accademica, Morgan ha dipinto un quadro illuminante dello stato della televisione italiana. Per capirci: basta mettere La critica del giudizio di Kant, Orwell, mezzo litro di Red Bull, Alka Seltzer e un pacchetto di sigarette in un frullatore. Accendere alla massima velocità e voilà, ecco il contenuto della Morganeide. Cappotto, gilet, altro gilet leopardato, camicia improponibile e nodo mazziniano al collo (non chiamatelo cravatta o nastro, sarebbe una bestemmia). Appesa la mercanzia all’attaccapanni, si può iniziare.

«L’inquietudine è l’elemento fondamentale di un’arte che non sa più dove sta andando, senza direzione. Non siamo più capaci di capire cos’è bello e cos’è brutto – ha esordito Morgan – .Bisogna imparare fin da piccoli a saper scegliere, a saper dire di no e selezionare la musica e l’arte». Ma che cos’è per Morgan la televisione? «La televisione è violenza e io sono un violentatore. Chiaro, perché io entro nelle vostre case e dal tubo catodico faccio quello che voglio. Io sono cattivo? Che ne so?!. Di sicuro per fare televisione bisogna essere mediamente determinati. Amleto, con i suoi dubbi non farebbe televisione, non agirebbe, anzi, alla fine ammazzerebbe tutti. Io non credo che farei così (meno male ndr). Mi comporterei piuttosto come Don Chisciotte, il protagonista del romanzo dei romanzi, perché è stato concepito da Cervantes come via di fuga dalla galera. Per vivere, Cervantes deve scrivere e don Chisciotte è molto più vero di tutto quello che ci passa la pubblicità».

Insomma la tv fa schifo, la tv ha la forza di un leone (parafrasando Jannacci), eppure Morgan è attore di punta di questa televisione. «La cultura è vecchia e l’arte pure, mentre la televisione è un prodotto di consumo. Talvolta, però, sia l’arte che la cultura riescono a infilarsi – ha continuato Morgan –. In questa rincorsa a chi fa più schifo, però qualcosa di bello a volte spunta. X Factor è uno di questi casi: è bello perché parla di musica e io faccio musica. A me importa la musica e ci sto a parlare di musica, a differenza di quello che dice la Ventura».

Ma non è tutto oro quel che luccica. Secondo Morgan l’edizione di quest’anno ha perso di verità, perché il day time si svolge sempre a telecamere accese, togliendo spontaneità al rapporto con i concorrenti. Spiega Morgan: «Questa situazione mi impedisce di capire chi sono i ragazzi, inoltre mi rattrista pensare che oltre a quello che viene ripreso dalle telecamere non c’è nulla. In questo rapporto con l’occhio del Grande Fratello orwelliano, si crea un sistema di maschere e mi rendo conto di essere cattivo, poiché sento che ho bisogno della tv e me ne sto servendo. Invece deve essere chiaro che dobbiamo assumere la consapevolezza che siamo artisti e non strumenti della televisione».

Parafrasando le parole di Morgan, scavando oltre la facciata del personaggio sopra le righe, emerge un pantheon citazionale di tutto rispetto. Non si sa se sia frutto di coincidenze o di effettivo approfondimento, ma Cervantes, Pirandello, cenni di Kant e Orwell, passando attraverso Bad taste di Peter Jackson, sono punti fondamentali nell’analisi dell’universo mediatico. Insomma in attesa del prossimo concerto dei Bluvertigo, il Morgan che ci rimane è quello in onda il lunedì sera su Raidue.


[francesco cremonesi]
continua

CIRCOLO DELLA STAMPA

Mutui per coppie omosessuali: da oggi si può

Firmata oggi, al Circolo della Stampa di Milano, la convenzione tra Arcigay e BHW, succursale italiana della Bausparkasse. L’accordo, stipulato tra il presidente dell’Arcigay, Aurelio Mancuso, e Giovanna Nalin, responsabile nazionale dell’area marketing del gruppo bancario, renderà possibile, per le coppie omosessuali, attivare mutui a tasso agevolato. Un vero e proprio unicum, se non per la storia moderna europea (già da tempo in Germania esiste una cosa del genere) almeno per quella italiana. Presenti anche Paolo Ferigo, presidente dell’Arcigay Milano, e il suo compagno, in qualità di coppia rappresentativa: «Per la prima volta – ha commentato Mancuso – in un paese sviluppato come il nostro, le coppie omosessuali si sono viste riconoscere un aspetto solidaristico del loro legame, esattamente come avviene per gli etero».

I soci dell’Arcigay, dunque, (un bacino molto vasto di circa 180 mila utenti), potranno usufruire di uno sconto dello 0,15% sul tasso ufficiale, attualmente di circa il 5%, presentando la normale documentazione più una dichiarazione, per entrambi gli attori della coppia, di essere cointestatari dell’immobile. Ma la particolarità di questa singolare accoppiata è rappresentata dal fatto che, per ogni mutuo stipulato, la BHW riconoscerà una provvigione che Arcigay destinerà ad un fondo dedicato al sostegno dei giovani omosessuali cacciati di casa dai genitori a causa del loro orientamento sessuale. In questo modo, si potranno aiutare altri gay e lesbiche in difficoltà, a causa del pregiudizio e della discriminazione omofobica inflitta dalle loro famiglie di origine, che non accettano la loro presunta condizione di “diversità”.

Per sorvegliare l’erogazione di questi fondi, sarà istituita un'apposita commissione di giuristi e psicologi, al fine di valutare attentamente i criteri con cui assegnare le risorse dedicate ai giovani che contatteranno l’associazione, pubblicando periodicamente gli importi ricevuti e gli investimenti fatti.

«Si tratta – prosegue Mancuso – di una vera e propria sfida contro chi sostiene che le coppie omosessuali non durino a lungo. Noi vogliamo dimostrare che questo non è affatto vero, ma per farlo non abbiamo bisogno di alcun privilegio, come molti hanno, invece, inteso questa operazione. Semplicemente abbiamo bisogno che ci si consideri parte integrante della società, cittadini a tutti gli effetti che producono molto, spendono anche tanto e pretendono di assolvere ai propri doveri».

È un forte senso di appartenenza, dunque, quello dimostrato dall’Arcigay, che lamenta inoltre la scarsa cooperazione da parte delle aziende italiane. A partire da oggi, infatti, è stato istituito anche un servizio di monitoraggio, al fine di pubblicare i nomi di tutti gli enti e le aziende gay friendly che seguono l’esempio di BHW. Dal 1997, infatti, la banca tedesca ha stipulato una serie di convenzioni con le maggiori istituzioni, da ministeri a grandi aziende, da sindacati a enti pubblici e ora annovera, tra le sue cooperazioni, anche quella con la maggiore associazione gay e lesbica italiana.


[viviana d'introno]
continua

CRONACA

Arrestato per stalking, minacciava un'immigrata

Fine dell'incubo per una boliviana di ventisei anni. La donna veniva perseguitata da quattro anni da un trentottenne ecuadoregno, Manuel Mora Suquinagua, arrestato ieri a Milano con l’accusa di stalking. Manuel Suquinagua, già dai primi incontri con la donna in un hotel della città, la costringeva ad avere rapporti sessuali con lui, sotto maltrattamenti e minaccia di ricatto, facendo leva sulla clandestinità della vittima.

L’ecuadoregno perseguitava la giovane boliviana al punto tale da minacciare un italiano di trent’anni che si era poi legato a lei: le minacce si erano estese anche alla famiglia dell’uomo. Dopo avere trovato il coraggio della denuncia, la svolta: per Suquinagua, arrestato in flagranza di reato e indagato per violenza sessuale ed estorsione, scattano le manette. Per inchiodarlo la polizia ha utilizzato sia le ricevute del motel Miami, dove più volte ha abusato della donna dopo averla selvaggiamente picchiata, ma anche alcuni oggetti personali della vittima, rinvenuti nella sua abitazione. Tra questi, una sim card che l’ecuadoregno le aveva sottratto nel corso di uno dei ripetuti episodi di violenza.


[tiziana de giorgio - viviana d'introno]
continua

IMPEGNO SOCIALE

Un pizzico di psicologia per essere più felici

Le pagine di cronaca dei quotidiani registrano sempre più spesso drammatici episodi di violenza che avvengono nelle città, sotto gli occhi di tutti, anche se nessuno sembra vederli. La gente non vuole problemi e si chiude in se stessa, preferendo voltare la testa da un'altra parte di fronte alle piccole e grandi manifestazioni di disagio degli altri. Ma, per molti che si comportano così, alcuni scelgono di mettersi al servizio di progetti come quello che vi descrive il dossier di M@g.

1. Quando la psicologa scende in campo


2. Per una famiglia più "Solidare"

3. "Gruppi di parola" per superare il trauma del divorzio



[daniela maggi - daniele monaco] continua

NUOVE USCITE

Ficarra e Picone sbrogliano La matassa

Le liti familiari spesso si tramandano di padre in figlio e, specialmente nell’orgogliosa Sicilia, diventano poi come delle matasse di filo ingarbugliato che si possono sbrogliare solo tagliando tutto e ricominciando d’accapo. È questo il tema centrale de La Matassa, il nuovo film di Salvo Ficarra e Valentino Picone, dal prossimo venerdì su 500 schermi per parlare a tutta l’Italia di un problema declinato in siciliano.

Il soggetto di questo film diretto dagli stessi Ficarra e Picone insieme a Giambattista Avellino è stato scritto a più mani e in più città. Avellino chiama le riunioni tra gli autori come «tempeste di cervelli» e spiega che esse avvengono tra lui, i due comici "nati stanchi" e gli sceneggiatori Bruni e Testini, in varie città come Palermo, Roma, Milano, Cagliari e Catania. Così nascono le battute, gli schetch divertenti e l’irriverenza che prende in giro tutto e tutti, dalla mafia allo sgangherato commissariato di Polizia dove nessuno si ricorda che negli uffici pubblici è proibito fumare.

Tra gli attori anche il comico catanese Gino Astorina, che dopo la vittoria per 4-0 del Catania a Palermo ha scritto un messaggio ai due attori spiegando loro che lui “è e sarà sempre un amico pronto a farsi in quattro”, e l’attrice Anna Safroncik, ancora entusiasta della sua esperienza siciliana di ormai un anno fa. «Non avevo mai lavorato in Sicilia ma devo dire che la primavera trascorsa tra Catania e Palermo è stata indimenticabile. A Catania vivevo nella centralissima via Etnea e ogni giorno ricevevo una decina di inviti a pranzo da amici e colleghi. La calorosità della gente, il bel clima e l’ottimo cibo saranno i miei ricordi preferiti di questa esperienza».

I due comici ammiccano all’avvenente ragazza, ridono ricordando i 10 milioni incassati dal loro vecchio film Il 7 e l’8 e scherzano con i giornalisti. «La capitale d’Italia è Arcore» dice Ficarra, mentre Picone prende le distanze dal suo amico spiegando che «solo lui ha la responsabilità di quello che dice». Qualcuno avanza l’idea di un film sugli sbarchi a Lampedusa ma i due non si sbilanciano. «Bisogna fare ciò che si sente – dicono in coro i due attori – ed evitare di banalizzare tutto. Non volevamo parlare di mafia nei nostri film solo perché sono ambientati in Sicilia, questa volta l’abbiamo fatto perché nell’intreccio della storia ci sembrava calzare a pennello». Il duo comico sembra affiatato, anche troppo; ma, chiedono i giornalisti, non litigate mai? «Litighiamo durante il percorso – dice Ficarra – ma arriviamo sempre insieme al traguardo». Poi ci pensa e conclude: «Scusate, ho detto una cosa troppo intelligente: cancellatela!»


[roberto dupplicato]
continua

AL CINEMA

I love shopping arriva in Italia

Qualunque donna, guardando I love shopping, il nuovo film del regista P.J. Hogan, si riconosce. Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non ha desiderato talmente tanto un abito da volerlo a tutti i costi, nonostante il prezzo esorbitante, per poi dimenticarlo nell’armadio. Uscire con l’intenzione di fare una semplice passeggiata e finire nel camerino di un negozio a provare decine di scarpe e vestiti, alla ricerca del capo “perfetto”. Situazioni tipiche e ben conosciute dal genere femminile e non solo.


La protagonista, Rebecca Bloomwood, è una moderna Cenerentola, alla ricerca della propria identità. È una giornalista finanziaria che, però, aspira a scrivere per una rivista patinata di alta moda. Ma saprà conquistarsi il pubblico con i suoi consigli pratici rivolti alla gente comune, grazie alle pagine della sua rubrica: “La ragazza dalla sciarpa verde”. A differenza del bestseller, il film non è ambientato a Londra, ma nella caotica e glamour New York. La “Grande mela” e le sue mille tentazioni: negozi, saldi, abiti super fashion, accessori di ogni tipo. Impossibile resistere, specie per una shopalcolic come Becky. E così, le numerose carte di credito, strisciate di continuo per comprare gli oggetti dei suoi desideri, porteranno l’affascinante giornalista a collezionare debiti su debiti e ad inventare le più improbabili scuse e bugie per sfuggire al responsabile del recupero crediti, il famigerato Mr. Derek.

La pellicola è tratta dall’omonimo romanzo della scrittrice inglese, Sophie Kinsella, divenuto un cult per le donne di tutte le età e che ha dato vita a una vera e propria saga letteraria. La trasposizione cinematografica appare abbastanza convincente, nonostante il compito sia alquanto arduo. Chi ha i letto i libri di Kinsella noterà ovviamente delle differenze ma, tutto sommato, nulla appere eccessivo o forzato. La super trendy, simpatica e un po’ pasticciona Rebecca è un mix fra una “Bridget Jones” in carriera e Carrie di “Sex and the City”, con tanto di affascinante caporedattore al seguito.

Il ritmo incalzante della prima parte si perde un po’ verso il finale, dove si cade in una storia d’amore un po’sdolcinata e prevedibile, ma rimane una commedia piacevole e ricca di humour.
Non bisogna aspettarsi un capolavoro, ma il film con il suo essere volutamente “leggero” e un po’ frivolo, riesce a strappare sorrisi e risate agli spettatori. Riuscendo, attraverso le disavventure della protagonista, anche a far riflettere sulla nostra società eccessivamente consumista, incentrata sull’apparire e che porta molti, forse troppi, a vivere al di sopra delle proprie possibilità, credendo nell’equazione “avere uguale essere”.


[tatiana donno]
continua

MOSTRE

Gli ultimi samurai

Seduti sotto i loro pesantissimi elmi, in assetto di guerra o pronti per una cerimonia alla corte imperiale, a piedi o cavallo, qualcuno addirittura in maschera o con fittizie ali da farfalla attaccate alle maglie che coprono il loro dorso. I samurai della collezione Koelliker si mostrano a Palazzo Reale grazie alla collaborazione della Fondazione Antonio Mazzotta. La maggior parte delle armature, montate su manichini dai lunghi baffi, appartiene al cosidetto Periodo Edo, momento di svolta nella storia dell’impero del Sol Levante. Edo è l’antico nome di Tokio, capitale costruita all’epoca dell’istituzione dello shogunato, durante il quale il signore della guerra o shogun pretendeva che i suoi feudatari, i samurai per l’appunto, stessero alla sua corte per essere meglio controllati. Siamo nel 1603 e i samurai saranno l’ago della bilancia della politica interna giapponese fino alla caduta dello shogunato e alla ripresa del potere assoluto da parte dell’imperatore nel 1868.

Le panoplie esposte a Milano si distinguono per la loro squisitezza artistica, poiché appartenevano ai cosiddetti daimyo, dei samurai di alto rango all’interno della corte. Si va da armature con le rarissime protezioni in pelle di razza, considerata un materiale di pregio per realizzare pannelli di protezione, alle lacche colorate cesellate e dorate, alle bordature sgargianti. In una sala si trova persino una preziosa armatura di protezione per la montatura del samurai di turno, nappe rosse e sella dorata, ma soprattutto una sorta di copertura per il muso del cavallo che ne trasforma le sembianze in un cornuto dragone adirato.

L’elemento sul quale ci si sofferma di più è il kobuto, l’elmo del samurai, al quale è dedicata un’intera sala della mostra. Questi elmi sono opere d’arte finemente elaborate, soprattutto negli elementi decorativi che venivano posti sulla parte che copre la fronte. Troviamo, dunque, libellule e farfalle, moltissimi dragoni apotropaici, ma anche delle rare conchiglie ricoperte in oro massiccio. Altri elmi, invece, venivano decorati con delle corna che ricordano i guerrieri vichingi, sebbene le corna scelte dai giapponesi si diramino, preferibilmente in sottili palchi. Oltre agli elmi, in alcune vetrine troviamo scettri di comando piumati, accessori per moschetto sbalzati, gli archi e le frecce, le famose katane, spade dalla lama tagliente, ventagli laccati di rosso.

Nell’ambito della mostra, però, oltre a una visuale complessiva sul mondo dei samurai in epoca passata, si getta una prospettiva verso un passato molto più prossimo, quello dei cartoni animati manga. Anche per i disegnatori moderni dell’ambito, infatti, il modello delle armature dei samurai è stato un punto di partenza per i disegnatori dei robot più famosi degli anni Ottanta. Da Mazinga a Jeeg Robot, tutti questi disegni hanno preso vita dalle ceneri dei samurai, sia per quello che riguarda l’espetto esteriore che per quanto riguarda il codice etico. Delle riproduzioni ad altezza d’uomo di questi personaggi si trovano nella sala finale della mostra per la gioia dei tanti bambini che accorrono alla mostra richiamati dall’aspetto mitico di questi personaggi che, in un modo o nell’altro, sono personaggi comuni della loro infanzia.


[alessia scurati]
continua