CONFLITTO DI GAZA

Intervista a Nahum Barnea

«Non ci sono dubbi che le operazioni militari organizzate da Israele sono state condotte ad ampio spettro. Il punto è che sono durate anche molto più a lungo di quanto ci si aspettasse», racconta da Gerusalemme Nahum Barnea, una delle penne più autorevoli del giornalismo israeliano, intervistato in esclusiva da m@g. Barnea, che scrive per il quotidiano Yedioth Ahronoth e ha vinto il premio Israel Prize per la comunicazione, ha perso un figlio nel 1996, in un attentato kamikaze di Hamas a un autobus di linea. Al funerale ha perdonato pubblicamente l’assassino, considerandolo vittima della stessa tragedia che affligge il popolo palestinese. Da anni si spende per favorire il dialogo nell’ambito del conflitto arabo-israeliano.

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[viviana d'introno e cesare zanotto]

L'INTERVISTA

La voce della libertà

Yang Lian, nato in Svizzera nel 1955 ma cresciuto a Pechino, è oggi uno dei maggiori poeti contemporanei e una tra le voci più importanti della dissidenza cinese. Esiliato dalla Repubblica Popolare Cinese dopo avere duramente criticato nel 1989 la repressione di Piazza Tiananmen, vive all’estero da vent’anni. È stato candidato al Premio Nobel nel 2002 e le sue poesie sono state tradotte in 25 lingue. Yang Lian interpreta lo spirito della millenaria cultura cinese attraverso la sua esperienza da esule. Una riflessione sulla condizione generale dell’uomo ma anche un invito alla speranza per milioni di cinesi che chiedono democrazia.

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[marzia de giuli e luca salvi]

L'INCHIESTA

È un’emergenza che dura da oltre vent’anni. I territori tra Napoli e Caserta sono uno stato nello stato dove l’unico potere reale è quello della Camorra. Nonostante i blitz, gli arresti e l’invio di soldati e poliziotti, i clan continuano a fare affari in un cono d’ombra in cui convivono l’economia legale e la politica. Ne abbiamo parlato con Andrea Cinquegrani, direttore de La Voce della Campania (oggi La Voce delle Voci).

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[alberto tundo]

MARIO CAPANNA

Onda e '68 a confronto

Quarant’anni dopo la protesta che ha segnato un’epoca, gli studenti italiani sono ancora in piazza. Secondo alcuni osservatori, l’Onda, che contesta la riforma Gelmini, è la fotocopia del’68. Altri la pensano diversamente. Mag ha chiesto un’opinione a Mario Capanna, ex studente dell’Università Cattolica e leader del movimento nel 1968.

Ascolta l'intervista

[cesare zanotto]

CIBO E MEMORIA

Viaggio nel gusto italiano


La relazione tra il cibo e la memoria è uno degli aspetti più profondi e antichi della cultura italiana e internazionale. Emblema di questo nesso è la madeleine che risveglia i ricordi dell’infanzia di Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto . Che cosa pensano i gourmet più affermati e i cuochi più celebri del nostro Paese del rapporto tra lo stile di vita dei nostri tempi e i cambiamenti nel gusto culinario, sempre più lontano dalla tradizione culinaria? La risposta nel servizio.

[francesco perugini]

GIORGIO BOCCA

Intervista sulla crisi del giornalismo italiano


Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista.

[gaia passerini]

LOTTA ALLA CRIMINALITÁ

Un lungo percorso di legalità

Uno dei luoghi comuni più difficili da sfatare è quello secondo il quale la mafia sarebbe un affare esclusivamente meridionale, un male da cui il Nord Italia sembrerebbe immune. Eppure la Lombardia è la quarta regione del nostro Paese per beni sottratti alla criminalità organizzata. Per mantenere ben deste le coscienze Milano ha accolto la Carovana Antimafie 2008.

In carovana contro la mafia


Parla Don Ciotti, una vita per la giustizia degli ultimi

Uniti contro il pizzo


[pierfrancesco loreto - alessia lucchese] continua

NUOVE EMIGRAZIONI

Cervelli in fuga

Immigrazione ed emigrazione. Fenomeni antichi e, al tempo stesso, attualissimi. Uomini e donne – giovani – con la valigia in mano, contenente poche cose, ma piena di speranze e di risorse personali. Italiani e stranieri. Studenti, studiosi, ricercatori, imprenditori, braccia e menti per fare migliore l’Italia. Cervelli in fuga verso una vita migliore e verso il riconoscimento delle loro capacità. Tante storie diverse fra loro, eppure così simili. Storie di vita in un’Italia che sta cambiando il proprio volto e forse non è ancora pronta a farlo. Noi ve le raccontiamo.

1. Cervelli in fuga, l'emigrazione italiana


2. Italia, la carica dei mille e uno

3. Milano-Londra solo andata

4. In viaggio verso mamma Africa

5. Thelma va in America per fuggire l'Ateneo



[francesco cremonesi - tatiana donno - roberto dupplicato] continua

REGIONE TOSCANA

Un libro per la Costituzione e i suoi principi

La Regione Toscana ha presentato il libro Io parlo da cittadino, viaggio tra le parole della Costituzione italiana, un’iniziativa per celebrare degnamente il 60° anniversario della nostra Carta fondamentale. Un dizionario speciale di 45 voci scelte tra i primi 12 articoli della Costituzione, che esprimono i principi fondamentali del nostro ordinamento. Un viaggio tra i termini più significativi, che parte da “asilo” e arriva fino a “uomo”, passando attraverso “bandiera”, “democrazia” “eguaglianza” e “minoranze linguistiche”.

L’idea è stata lanciata dal presidente del Consiglio regionale Toscana Riccardo Nencini che, per la realizzazione del progetto, ha chiesto e ottenuto la partecipazione di due importanti istituti linguistico - culturali di antica storia, che hanno sempre avuto a che fare con le parole: l’Accademia della Crusca e il Centro romantico del Gabinetto Vieusseux.

I lemmi indicizzati sono stati commentati da 48 personalità tra scrittori, linguisti, scienziati e costituzionalisti. «A chi ha dato la propria disponibilità – ricorda Luciano Aloigi, responsabile dell’ufficio di Gabinetto della Presidenza del consiglio regionale – abbiamo lasciato completa libertà di scrittura e di commento». Tra le numerose firme che hanno partecipato: Tullio De Mauro, insigne linguista, Lisa Ginzburg, scrittrice e traduttrice, Enzo Cheli, importante costituzionalista e scrittori dal calibro di Carmine Abate e Vincenzo Consolo.

L’iniziativa nasce dalla consapevolezza dell’Assemblea Toscana della necessità di rilanciare l’importanza della nostra Carta, in un momento in cui i valori in essa contenuti sembrano dimenticati da tutti. Il testo, presentato da Riccardo Nencini, è stato curato da Nicoletta Maraschio, presidente dell’Accademia della Crusca e Maurizio Bossi, direttore del Centro romantico del Gabinetto Vieusseux. «Questa iniziativa – spiega Maurizio Bossi – mira ad avvicinare alla nostra Costituzione i giovani e i nuovi cittadini italiani, perché la Costituzione riguarda tutti quanti».

Nei prossimi giorni, il volume sarà distribuito e donato a tutte le biblioteche e le scuole superiori della Toscana, mentre a gennaio lo riceveranno tutti i presidenti dei Consigli regionali d’Italia. La diffusione sarà accompagnata da gruppi di discussione in tutte le scuole, per far scoprire ai ragazzi l’attualità e l’importanza dei valori espressi nel testo costituzionale. A questo proposito, Maurizio Bossi non nasconde la sua soddisfazione: «Fino a questo momento la reazione degli studenti è stata positiva; si sono mostrati molti interessati e incuriositi dall’argomento».

Visto il successo dell’iniziativa, la regione Toscana ha intenzione di continuare su questa strada, proseguendo la collaborazione tra le istituzioni e gli istituti scolastici. Luciano Aloigi ci svela le prossime mosse in cantiere: «Stiamo già lavorando ad una nuova pubblicazione sulla Costituzione. Sarà un volume interamente creato dai ragazzi delle scuole superiori, con contributi di ogni genere sia artistici, che letterari. Se la tabella di marcia verrà rispettata, la stampa e la diffusione sono previste per il febbraio-marzo dell’anno prossimo».


[daniela maggi]
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PARCO LAMBRO

La Casa della Carità si fa Villaggio Solidale

Le temperature minime scendono nella notte. Il freddo polare di questi giorni costringe ad andare in giro più coperti del solito, il berretto in testa, la sciarpa a coprire il naso, il maglione di cachemire per cercare di trattenere quel grado in più di calore che il nostro corpo può produrre. Ma se non avessimo una casa in cui tornare la notte? Chi è costretto a vivere sulla strada soffre la temperatura al ribasso di questi giorni ancora più di noi. Molte di queste persone in difficoltà hanno bussato alla Casa della Carità di don Colmegna a Milano.

I progetti seguiti da questa struttura e dai volontari che ne fanno parte sono innumerevoli. In questo periodo, però, è sicuramente il freddo il problema principale da combattere. «Queste persone sono finite sulla strada per mille motivi. C’è chi è un immigrato irregolare che non ha ancora trovato un lavoro, chi ha fatto la scelta di mollare tutto tanti anni fa, chi si è giocato tutto a carte e ha perso e chi, semplicemente, non ce la fa», racconta un volontario che vuole restare anonimo. Durante le notti invernali il numero delle persone che arriva alla Casa della Carità chiedendo di essere ospitata anche solo per qualche ora aumenta sensibilmente. «Ma noi siamo già al completo. Allora chiedono di poter dormire nei corridoi o nell’atrio, solo di poter passare qualche ora al caldo. Ovviamente non possiamo farli entrare. Spesso arrivano intere famiglie con bambini piccoli al seguito e siamo costretti a rifiutarli. Pensare a quei bambini che non abbiamo potuto aiutare fa sempre male».

Nella sede madre di via Brambilla si coordinano le diverse iniziative della Casa della Carità. In essa sono ospitate oggi circa 420 persone in attesa di ritrovare la propria dignità. «Questo è il nostro marchio di fabbrica: ridare la dignità, rimettere in piedi le persone anche moralmente». Per farlo, si dà loro la possibilità di vivere in questo edificio dalle pareti colorate e pieno di sorprese per chi ci va ad abitare. Nel momento in cui varcano la soglia della Casa sanno di poter trovare al suo interno qualcuno che li ascolta. «Allora cercano risposte alle loro richieste. Una casa. Un lavoro. A volte un’identità». Molti clandestini bisognosi di aiuto hanno, infatti, perso i loro documenti durante il viaggio che li ha condotti fin qui. I volontari del centro, quindi, mentre mettono in un vero letto il malcapitato, si occupano anche dell’assistenza legale per recuperare la sua identità. «Molti, poi, si presentano qui con problemi di dipendenze. Ad esempio, è sconcertante vedere come la dipendenza dal gioco rovini tante famiglie». Per ogni ospite si cerca di seguire una tabella di marcia che gli permetta di reinserirsi nella società. Ognuno ha bisogno di un suo tempo, chi se ne va dopo sei mesi, chi resta per anni. Il volontario: «La dignità va data rispettando la qualità. Per questo spesso dobbiamo dire di no a chi ci chiede aiuto, quando sappiamo di non poterlo seguire qualitativamente come gli altri. Ogni no detto è, per noi, una sconfitta. Quando, invece, dopo un momento buio vediamo la luce della felicità negli occhi delle persone, capiamo che la gioia non ha prezzo».

L’ultima iniziativa organizzata dall’associazione è il Villaggio Solidale in zona Parco Lambro. Una storia che inizia da lontano, quando i primi volontari dell’associazione andavano nei campi rom per soddisfare i bisogni di chi vi abitava. Poi il Comune diede inizio all’era degli sgomberi, dal 2005 in via Capo Rizzuto, passando per via Ripamonti, fino all’ultimo sgombero di via San Dionigi, nel dicembre 2007. I volontari, che seguivano i rom già da prima, oggi cercano di ospitare in queste strutture i reduci degli sgomberi. Si inizia, così, un percorso volto all’inclusione sociale di alcune famiglie, per farle vivere in autonomia. Gli uomini vengono indirizzati verso un lavoro, il più delle volte artigianale, che possa magari ricordare quello che avevano in Romania. Le donne, invece, iniziano una formazione culturale, che le porti soprattutto a farsi comprendere in italiano. «Molte di loro trovavano lavoro come badanti, ma poi non riuscivano a capire nulla di quello che veniva loro richiesto. Non sapevano leggere, ed era, quindi, un problema quando un anziano lasciava loro la lista della spesa».

I bambini delle famiglie, poi, usufruiscono di un servizio di doposcuola. Il percorso prevede, infine, un aiuto nell’apprendimento dell’amministrazione economica, così che i rom possano vivere al di fuori del Villaggio Solidale. Il volontario della Casa della Carità: «Prima diamo loro in affitto appartamenti di una rete protetta di nostre cooperative, per abituarli a pagare secondo le scadenze. Poi troviamo loro delle case. Non dicono mai di essere rom, si dichiarano solo romeni». In questo modo si guadagnano la fiducia dei vicini italiani. «Una nostra famiglia quest’estate ha custodito l’appartamento dei vicini di casa. Questi si sono raccomandati “state attenti, però, che si sono in giro un sacco di rom!”».


[alessia scurati]
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TEATRO ALLA SCALA

Bolle e Zakharova, grande danza nel tempio di Milano

Tutto esaurito per ammirare l’eleganza dei primi ballerini e del corpo di ballo. Un viaggio a ritroso che ha immerso il pubblico in un’India che, dalle parole di Roberto Bolle, «non esiste più, ma affascina sempre con le sue atmosfere». Le coreografie della grande Natalia Makarova hanno trasformato la Scala in un luogo magico, dove per tre ore i movimenti dei protagonisti hanno incantato platea, palchi e gallerie. La Prima non ha deluso le aspettative, ma il cast più atteso danzerà per sole altre due date, il 18 e 20 dicembre. La Bayadère proseguirà poi fino al 31 dicembre con gli artisti degli altri cast: Francesca Podini, Eris Nezha e Mariafrancesca Garritano per gli spettacoli pomeridiani del 18 e 30; Polina Semionova, Denis Matvienko e Sabrina Brazzo per il 28, 30 sera e 31 dicembre.

Le stelle della Prima sono state Roberto Bolle, nel ruolo del principe Solor, l’argentina Marianela Nunez nella parte dell’“antagonista” Gazmatti e l’étoile Svetlana Zakharova, interprete della “bayadère”, la danzatrice del tempio, il vero amore di Solor, celato drammaticamente per la promessa di matrimonio verso la principessa. Le parti narrative sono però solo l’involucro di una serie di saggi di altissimo livello artistico, in cui i protagonisti mostrano le loro eccellenti qualità.

L’ambientazione, finemente ricostruita dal punto di vista scenografico, alterna un tripudio di ori e colori brillanti nei contesti regali, trasformandosi nei passaggi onirici e scuotendo lo spettatore nelle scene drammatiche. Due gli excursus che spezzano l’intreccio della trama. Il primo è il Regno delle Ombre, in cui il pas d’action, insieme alle componenti del corpo di ballo, dà vita ad uno scorcio di intensa suggestione poetica. Immerse in una luce lunare e nebbiosa, le ombre danzano, riportandoci all’essenza della nostra anima, sfiorandone le zone più segrete e complesse.

La scena del crollo del tempio, che precede il finale, è stata ricreata attraverso l’uso di sorprendenti espedienti tecnici: lampi e una tempesta di pietre che travolge i protagonisti. Un attimo dopo il pubblico, ancora scosso, si ritrova ad emozionarsi in una scena totalmente candida, in cui i due amanti, uniti da un velo, si ritrovano in una dimensione di eterna serenità. Roberto Bolle ha confermato ancora una volta la sua potenza unita a grande leggerezza, che i grands jétes e le pirouettes esaltavano al massimo. Svetlana Zakharova, l’étoile ucraina nominata Artista emerito di Russia dal 2005, ha incantato i presenti con la sua eleganza ed estrema abilità di equilibrio. I passi a due, fulcro dello spettacolo, non hanno però sottratto l’attenzione nei confronti degli altri interpreti: le sequenze d’insieme, un disegno coreografico complesso che ha esaltato l’eccellente preparazione di tutti gli allievi del Teatro alla Scala, giovani promesse del balletto classico. Il direttore Philip Ellis e gli elementi dell’orchestra, hanno saputo sottolineare e accompagnare il ritmo e le espressioni degli artisti sul palco.


[vesna zujovic]
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ZIMBABWE

Jestina Mukoko, cronaca di un sequestro annunciato

È ancora una delle poche voci che, all’interno dello Zimbabwe, si leva contro il dittatore Robert Mugabe, quella di Jestina Mukoko. Jestina è una giornalista coraggiosa, tanto da decidere di lasciare il suo lavoro di anchorwoman del canale di governo (legato alla dittatura militare) per fondare l’associazione Zimbabwe Peace Project. Jestina non si trova più. È scomparsa dai primi di dicembre. Con centinaia di collaboratori, era riuscita a raccogliere una serie di prove che testimoniano le violenze subite dagli oppositori del regime. Nei suoi fascicoli si trovano nomi e cognomi di alcuni tra i più potenti capi dello Zimbabwe, che per anni si sono macchiati di atroci torture per mantenere la loro posizione. Forse per farli sparire per sempre e per dare una lezione esemplare a chi cerca e trova per denunciare crimini e misfatti, quindici persone armate sono penetrate nella sua casa alle cinque di mattina il 3 dicembre, hanno picchiato il domestico e hanno prelevato la donna davanti al figlio, che, una volta ripresosi dallo shock, ha denunciato il fatto. Ma la madre non compare nella lista dei detenuti ufficiali, non risulta scomparsa e il suo nome è stato cancellato, perlomeno ufficialmente, dalla vita sociale dello Stato.

Altri quindici attivisti hanno subìto negli stessi giorni la medesima sorte e nemmeno di loro si hanno più notizie. I collaboratori della donna sostengono che sia stato proprio il lavoro di catalogazione della giornalista, la causa della sua sparizione. Questo materiale, una volta reso pubblico, avrebbe reso ancora più fraglie la posizione di Mugabe agli occhi del mondo.

«Robert Mugabe è stato un grande uomo, ma oggi, a ottantaquattro anni, farebbe qualunque cosa per mantenere il potere. Anzi, ha già modificato più volte la Costituzione per essere rieletto come presidente». A parlare è Raffaele Masto, giornalista di Radio Popolare di Milano, ed esperto di questioni africane. Mugabe, che da vent’anni governa lo Zimbabwe, è stata infatti una delle personalità più importanti del secolo nella lotta al colonialismo e ha avuto un’importanza capitale nella liberazione del suo paese dal governo britannico. Ma come un degno drago della mitologia norrena, sta ora rintanato nel suo territorio per difendere il tesoro da lui custodito: il sottosuolo del paese. Senza occuparsi di quello che ci sta sopra, di uomini e cose: «L’agricoltura potrebbe costituire una risorsa importante per il Paese, ma non viene sfruttata. La corruzione, inoltre, ha colpito soprattutto il settore sanitario. Basta un’epidemia semplice, come quella di colera degli scorsi giorni, e il Paese cade in una situazione incontrollabile», sottolinea Masto.

Con la sua politica, infatti, Mugabe ha sprofondato lo Zimbabwe nella povertà, isolandolo all’estero e trasformando il suo comando da virtuoso embrione di democrazia filocomunista a famigerata dittatura totalitaria. I problemi più grandi dello stato sono l’inflazione drammatica, la grande corruzione e l’economia bloccata. In questi anni, l’opposizione al governo si è andata via via rafforzando. Morgan Tsvangirai, storico antagonista di Mugabe, ha guadagnato molto consenso. Raffaele Masto: «Il controllo sulla popolazione è diventato più duro dopo le ultime elezioni che, ufficiosamente, tutti sanno essere state vinte da Tsvangirai. I mezzi di comunicazione sono totalmente controllati dai generali e i giornalisti non possono avere il visto per entrare in Zimbabwe». La comunità internazionale non sembra, per ora, voler intervenire per affidare il governo dello Stato a Tsvangirai, cui spetterebbe di diritto. Un peggioramento delle cose, però, potrebbe portare a un intervento dell’Onu e i generali luogotenenti di Mugabe finirebbero, insieme all’anziano dittatore, davanti alla Corte Internazionale a rispondere di tutti i crimini commessi.

Sullo sfondo di questa vicenda c’è il dramma di Jestina Mukoko. I suoi legali sospettano che sia detenuta in una delle carceri illegali di Harare e temono per la sua vita. «Qualsiasi regime – conclude il giornalista Raffaele Masto – deve pensarci più di una volta, prima di eliminare fisicamente un oppositore; questo regime, però, sembra giunto alla fine dei suoi giorni: per questo si ha l’impressione che i generali si comportino come non ci fosse più nulla da perdere. Il pessimismo per la situazione della signora Mukoko, quindi, è più che giustificato». Su Jestina Mukoko è calato il silenzio dal 10 dicembre. Da quel momento, non una parola e non più denunce.


[alessia scurati]
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BOLLYWOOD

L’attacco terroristico di Mumbai diventa fiction

Se tutto diventa informazione in tempo reale, dal crollo del World Trade Center alla nascita di un bambino, grazie alle più moderne tecnologie, lo sciacallaggio della dignità umana non si ferma nemmeno davanti alla strage di centinaia di civili. Quanto avvenuto a Mumbai ne è prova e Bollywood ne è lo sciacallo. A circa venti giorni dall’attacco terroristico contro la capitale economica indiana, l’industria cinematografica hindi ha già in cantiere ben 18 lungometraggi ispirati alla strage. Ma c’è di più. Non appena le forze speciali indiane hanno liberato il Taj Mahal, il regista Ram Gopal Varma è stato visto dentro il prestigioso albergo in compagnia del figlio attore: motivo che ha fatto infuriare l’opinione pubblica indiana.

Anche l’attentato dell’11 settembre si è prestato a ispirazione per due film e per una serie di cortometraggi e documentari; ma, se si considera che il lasso di tempo trascorso tra l’attentato e la produzione cinematografica è stato di circa 4 anni, si può capire che una sorta di «dignità del lutto» sia stata rispettata. Sono infatti del 2006 United 93 di Paul Greengrass e World Trade Center di Oliver Stone. Insomma, prima di addentare la carogna, si è quantomeno aspettato che il cadavere fosse freddo.

Ma l’attenzione del cinema indiano agli attentati di Mumbai non è casuale. «Bollywood sta vivendo un momento di grande crisi, perché in India l’attenzione è monopolizzata dalla televisione e dalle soap opera in particolare. – spiega Marilena Malinverni di Repubblica, esperta di India che ha vissuto in prima persona l’attacco a Mumbai –. Lo star system indiano si è quindi trasferito dal cinema alla tv e questo lo si capisce sfogliando i giornali locali di gossip. I volti che vi si trovano non sono più riconducibili ai colossal di Bollywood ma alle nuove serie tv. Questo fenomeno divistico obbliga così il cinema a spostare la propria attenzione sulla realtà. Ne è esempio il film Dostana, un blockbuster bollywoodiano che tratta tematiche sociali delicate come l’omosessualità, consegnandone una visione prettamente occidentale. Per vincere la concorrenza della tv, tutto deve quindi trasformarsi in reality, e anche il cinema segue questa tendenza. La produzione di 18 film sull’attacco terroristico è un esempio lampante di questo processo».

I messaggi contenuti nelle produzioni di Bollywood racchiudono a tutto tondo la corrente dominante, politica, culturale e sociale indiana. «Per le produzioni legate all’area geografica di Mumbai, il patriottismo è un componente fondamentale. Non a caso, proprio nella capitale economica indiana, il tema patriottistico è dominante all’interno delle produzioni bollywoodiane, simbolo dell’influenza dell’area politica della destra nazionalista Bjp». Prosegue la Malinverni: «L’India convive quotidianamente con gli attentati, ma la scelta di spettacolarizzare l’attacco di Mumbai si fonda sul fatto che l’attentato si sia protratto per più giorni, rappresentando un colpo durissimo. Gli stessi attentatori hanno adottato un piano militare in sé fallimentare, ma improntato sulla medialità dell’evento. Questo perché la cultura indiana è fondata sull’immagine, il Darshan. In sostanza, il contatto visivo con la divinità è il punto di partenza per una società che, seppur modernissima, assorbe e rielabora costantemente la tradizione».


[francesco cremonesi]
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PARCHI E FIUMI

Alla scoperta dei giardini di Milano

Quando si pensa a Milano e al suo hinterland, le prime cose che saltano in mente sono i grattacieli, i cantieri, le gru, i perenni lavori in corso. In una sola parola, il cemento. Eppure, il 50% del territorio provinciale milanese è adibito a parco, di cui l’80% rientra in aree protette. Un paesaggio sconosciuto anche agli stessi milanesi che, durante il weekend, preferiscono lasciare la propria città e recarsi in altre località vacanziere invece che spendere una giornata per conoscere le bellezze del proprio territorio. È questa la motivazione che ha spinto l’Aim (Associazione Interessi Metropolitani) a raccontare il territorio del capoluogo lombardo attraverso il libro fotografico Parchi e fiumi: il paesaggio naturale del territorio milanese: un vero e proprio viaggio alla scoperta di una natura remota e incontaminata.

«Sembra impossibile che attorno a Milano possano esistere luoghi di una bellezza così struggente» afferma Pier Giuseppe Torrani, presidente di Aim. «Spesso si parla di Milano soltanto per luoghi comuni, come determinati monumenti che appartengono al passato della città, senza conoscere il patrimonio che rappresenta la nuova Milano, che si è trasformata nel corso degli anni e che si apre di fronte a scenari impensati». Il libro, curato dall’architetto Alessandro Rocca, racconta attraverso le immagini i sei parchi regionali (Parco dell’Adda, Parco agricolo Sud Milano, Parco delle Groane, Parco Nord Milano, Parco della valle del Lambro e Parco del Ticino) e i molti altri, tra cui i cosiddetti Plis (parchi locali di interesse sovracomunale), che interessano un’area di circa 12mila ettari. «Il territorio che rientra all’interno della nostra indagine è molto variegato e complesso – dichiara il curatore Rocca – e rappresenta un punto di forza molto importante per la provincia milanese. I parchi del territorio sono un vero e proprio arcipelago di isole verdi, che galleggiano all’interno del mare del tessuto urbano della città». Ogni capitolo è accompagnato da una scheda tecnica sul parco, in cui viene raccontata la storia e il patrimonio culturale e artistico nascosto, e da un saggio realizzato da agronomi, urbanisti e architetti che hanno collaborato alla stesura del libro.

Le parole sono quindi accompagnate dalle fotografie, realizzate dagli studenti del master in Photography e Visual Design del Naba di Milano. Diciannove ragazzi, di dieci diverse nazionalità, hanno catturato scorci e panorami caratteristici di questo paesaggio come prova d’esame del proprio percorso di studi. «È stata una bellissima opportunità per gli studenti perché hanno potuto confrontarsi con tematiche reali e con interlocutori concreti» afferma Elisabetta Galasso, direttore di Naba. «Per la prima volta hanno avuto la possibilità di lavorare in un progetto complesso, che richiedeva una qualità e uno stile ben determinato, che prevedeva delle scadenze. Il risultato è stato ottimo: gli studenti ci hanno messo una grande passione e i docenti hanno fornito tutto il loro supporto».

Il progetto Parchi e fiumi è stato patrocinato dalla Provincia di Milano che, negli ultimi quattro anni, ha visto un incremento dei Plis: «Nel 2004 i parchi locali erano 11, per un’estensione di 5.700 ettari, – dichiara Pietro Mezzi, assessore provinciale alla politica del territorio e parchi –, mentre oggi sono 17. Entro la fine del nostro mandato, puntiamo ad arrivare a 20. I parchi locali sono un fenomeno molto importante, perché rientrano in una delle aree più antropizzate e urbanizzate del Paese e perché rappresentano la volontà dei comuni e dei cittadini. I milanesi chiedono di poter vivere in un ambiente migliore e per questo la Provincia sta vagliando diversi progetti, come quello della Dorsale Verde del Nord Milano: una rete ecologica che crei continuità tra i due più importanti parchi fluviali, quello dell’Adda e quello del Ticino, e che può rappresentare un vero salto di qualità, soprattutto in vista dell’Expo del 2015». Un progetto condiviso anche dalla Regione Lombardia, patrocinatrice dell’iniziativa, che proprio il 26 novembre ha visto l’approvazione della delibera che determina la costituzione della Rete Ecologica Regionale, una strategia per preservare la ricchezza biologica della regione dall’aggressione urbanistica e antropica: «La Rer rappresenta un’indicazione programmatica forte – ha dichiarato l’architetto Pietro Lenna, dirigente della struttura valorizzazione aree protette e difesa delle biodiversità – con la quale la regione punta a creare una rete di collegamenti tra i diversi parchi, affinché queste isole verdi non siano più una realtà anonima, ma affinché ottengano la valorizzazione che meritano».


[alessia lucchese]
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IMMIGRAZIONE

Fino all’ultimo mattone

Se una notte, a Milano, vi capitasse di vedere un gruppo di immigrati scavalcare i cancelli di un’impresa di trasporti, non vi preoccupate. Non stanno lì per rubare, ma per lavorare. Sono solo una piccola parte di quei migliaia di immigrati clandestini che lavorano illegalmente nel capoluogo lombardo. Vengono sfruttati da imprenditori milanesi. Come? I caporali stranieri alle dipendenze di organizzazioni criminali italiane, il primo giorno di lavoro, prelevano loro i documenti per tenerli sotto ricatto. Non hanno diritti e, tra un po’, se il Parlamento approverà il decreto sicurezza, saranno considerati dei criminali per il solo fatto di essere clandestini. La maggior parte di loro è impiegata nell’edilizia, un ambiente in cui gli incidenti e le morti sul lavoro sono all’ordine del giorno. Comunque, se l’emendamento che impone ai medici di denunciare gli irregolari che chiedono di essere curati sarà approvato, gli immigrati peseranno sempre meno sulla sanità pubblica.

«Lo sfruttamento dei lavoratori clandestini - spiega Giovanni Minali della segreteria della Camera del Lavoro - ha tratti simili a quello della prostituzione. Alcuni nostri operatori che si stanno occupando della questione hanno, più volte, subito delle minacce fisiche».

Anche per gli stranieri regolari si prospettano dei tempi duri. Il ddl in discussione al Senato prevede, inoltre, il permesso di soggiorno a punti, l’aumento a 200 euro della tassa per il suo rinnovo e il restringimento delle possibilità per i ricongiungimenti familiari. A tutto questo si oppongono la Cgil e altre 15 organizzazioni. La Camera del Lavoro di Milano ha organizzato un presidio di 2 ore davanti alla prefettura, la mattina di giovedì 18 dicembre: la giornata che le Nazioni Unite hanno dedicato ai diritti dei lavoratori migranti. Anche a causa dei cantieri dell’Expo, Milano è particolarmente esposta al problema. Nel decreto flussi del 2007 si riscontra uno squilibrio territoriale che penalizza Milano. Le associazioni impegnate nella protesta sperano che, con le ripartizioni provinciali e regionali da 150mila ingressi, previsti dal decreto flussi del 2008, la situazione possa migliorare.

Secondo Minali, «a Milano ci sono grandi opportunità di regolarizzazione; non usufruirne significa lasciare migliaia di persone nell’illegalità e una sanatoria gioverebbe soprattutto alla sicurezza dei cittadini». Inoltre, spiega il sindacalista, «se la situazione rimarrà invariata, aumenteranno i conflitti tra italiani e migranti e tra immigrati regolari e non». E, sulla risposta che le amministrazioni locali e nazionali danno al problema, Minali non ha dubbi: «Si tratta di soluzioni ideologiche e populiste utili soltanto agli interessi degli investitori. Che hanno a disposizione una massa, sempre più grande, di diseredati pronti ad essere sfruttati». Le proposte del sindacato vanno esattamente nella direzione opposta del ddl presentato dal governo. La Cgil chiede di dare una chance ai lavoratori irregolari per farli emergere dal lavoro nero. E di effettuare una riforma della cittadinanza e del diritto di voto. Ma la situazione non è delle più facili. La storia ci insegna che, in tempi di crisi, le condizioni di vita dei “diversi” precipitano pericolosamente.


[andrea torrente]
continua

SICUREZZA STRADALE

Ubriachi al volante, tolleranza zero

A Milano un conducente su due, coinvolto in un incidente stradale, ha bevuto. Sono questi i dati allarmanti diffusi da un’indagine condotta dal dipartimento di emergenza e urgenza dell’ospedale Niguarda. E in Italia la situazione non va tanto meglio: ogni giorno muoiono quindici persone e oltre seicento rimangono ferite. Il presidente della commissione trasporti della Camera, Mario Valducci, ha dichiarato di puntare all’approvazione di un accordo bipartisan che regoli, in maniera drastica, il limite massimo per i bevitori alla guida. L’obiettivo è la riduzione del tasso alcolico nel sangue dall’attuale 0,5 mg/l a 0,2. Tolleranza zero per i trasgressori, che rischiano, oltre alla sanzione monetaria, la sospensione della patente fino a sei mesi quando vengano fermati per la prima volta, sino all’inasprimento progressivo della pena che culmina nel ritiro. Ma vuole anche dire che, ormai, persino un bicchiere di vino può risultare fuorilegge, con il rischio, per il bevitore occasionale, di incappare nelle sanzioni.

«È una proposta che va nella direzione giusta – ha commentato Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dell'Associazione italiana vittime della strada – perché bisogna sottolineare che bere fa male, e questo è un dato di fatto. Ma la cosa più importante è considerare la patente come uno strumento per rispettare le norme. La patente non dà licenza d’uccidere, e bisogna inculcare nei guidatori l’idea che, se non si rispettano le regole del codice della strada, si può perdere irrimediabilmente il diritto di guida». Una posizione forte quella delle Mastrojeni, che non le manda a dire su una superficialità che è tutta italiana: «Anche per quanto riguarda il divieto di vendere alcolici dopo le due di notte, la legge c’è. Ma, come tutte le cose in Italia, non viene fatta rispettare. Bisogna difendere i valori della civiltà del nostro Paese, che, abitualmente, vengono messi sotto i piedi e di cui noi stiamo facendo poltiglia. È ora di finirla con questo buonismo: va bene tener giù le mani da Caino, ma bisogna fare in modo che non tocchi Abele e non, invece, dare addosso a quest’ultimo».

Dello stesso parere anche Ugo Garbarini, vice presidente dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Milano. «Una misura del genere è assolutamente necessaria perché sia chiaro a tutti che chi deve guidare non deve bere. Non è mai morto nessuno per il non bere, mentre invece è avvenuto il contrario; anche molto spesso, purtroppo. Gli italiani non sono degli avvinazzati ed è giusto che smettiamo di bere, quando siamo consapevoli di doverci poi mettere alla guida». «Questo – prosegue Garbarini – è il parere di un cittadino qualunque che ha dei figli, e che vuole vederli rientrare a casa sani e salvi ogni sera».

La Asl di Milano, in collaborazione con la Commissione locale patenti, ha costituito il Noa, nucleo operativo in alcologia, che si occupa delle segnalazioni di persone fermate con un tasso alcolico nel sangue superiore a 1,5 %, con patenti di categoria superiore alla B. Cinzia Sacchelli, responsabile Noa, ha commentato così la notizia: «Purtroppo non c’è consapevolezza del fatto che bere faccia male. Mettersi alla guida dopo aver bevuto più bicchieri è un rischio per sé e per gli altri, e questo denota una totale assenza di criticità. Una misura del genere, quindi, può fare molto in questo senso. Certo, il limite è molto basso e sarebbe più sensato imporre il divieto totale, per dare un messaggio limpido e chiaro. A mio avviso, però, l’unico modo per ridurre drasticamente le stragi del sabato sera è quello di aumentare i controlli, utilizzando il pugno di ferro, e inculcando la certezza che, venendo scoperti, si rischia grosso».

[viviana d'introno]
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TRASPORTI

Siamo finiti su un binario morto?

Ormai da anni si fa un gran parlare di misure per tutelare l’ambiente e per ridurre l’inquinamento. La ricetta più efficace è quella che prevede di rinunciare all’auto per servirsi dei mezzi pubblici. Facile a dirsi, ma molto spesso difficile a farsi. Lo sanno bene i pendolari italiani, a cominciare da quelli che usano il treno per i loro spostamenti quotidiani e devono fare i conti con ritardi, problemi di sovraffollamento e materiale rotabile obsoleto. Viaggio alla ricerca dei binari del cambiamento.

In Italia meno treni per tutti


LeNord, al via il piano di rinnovamento

Ma è davvero Alta Velocità?


[pierfrancesco loreto - daniela maggi] continua

MUSICA

"Jaco ha aperto la porta e noi siamo entrati"

Così disse un giovane aspirante bassista. Gli anni passano, il 21 settembre 2008 sono arrivati a 21. Ventuno anni di nostalgia e amarezza, così distanti e così vicini dal giorno di una morte tanto violenta quanto prevista. Ma non è la caduta che può spiegare un artista della sua grandezza: il 1 dicembre 1951 nacque John Francis Pastorius III, un uomo che ha rivoluzionato la concezione del basso elettrico, un musicista che ha scritto pagine storiche sul suono e sulla sua interpretazione. La sua vita complessa, fatta di cuore e di eccessi, la ricordano Bob Bobbing, amico d’infanzia di Jaco, e due grandi bassisti italiani, Saturnino Celani e Patrick Djivas.
Ricordi ed emozioni legati ad un fratellone che, come i suoi punti di riferimento Charlie Parker, Jimi Hendrix e Gesù Cristo, non arrivò ai 40 anni.

[paolo rosato]
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TRADIZIONI CITTADINE

Quando il business non è new

Da almeno 50 anni portano avanti la propria attività nella stessa sede con passione e professionalità. Le botteghe storiche milanesi sono parte di un universo culturale profondamente radicato nell’identità cittadina. Panifici e pasticcerie, ma anche profumerie e gioiellerie: i settori produttivi dove queste antiche realtà commerciali trovano spazio sono molteplici. Lontani anni luce dai fasti degli ipermercati, questi piccoli universi uniscono all’alta qualità dei servizi una dimensione umana spesso dimenticata, inghiottita dalle dinamiche dei fast food. Quest’anno sono 26 le botteghe milanesi riconosciute come storiche, che hanno ricevuto il premio dall’assessore alle attività produttive Giovanni Terzi. La prestigiosa targa, frutto del lavoro dell’architetto Bob Narda, è stata consegnata in occasione della cerimonia annuale che si è svolta lo scorso 15 dicembre nei locali del Castello sforzesco.

«In un momento storico di criticità economica - ha dichiarato Terzi - l’amministrazione comunale ripensa con attenzione a valori strettamente legati alla nostra città, come quelli che provengono dall’attività delle botteghe storiche». Presenti alla premiazione anche Giovanna Mavellia della Camera di commercio di Milano e Gianroberto Costa, segretario generale dell’Unione dei commercianti milanesi.

Nel corso della manifestazione è stato anche presentato il terzo volume Botteghe storiche di Milano edito da Arpanet, contenente le premiate dell’edizione 2008 e tutte le botteghe delle precedenti edizioni. «La premiazione di oggi e l’edizione 2008 del volume - ha continuato l’assessore milanese alle attività produttive - non è solo un segno formale per ricordare il lavoro dei nostri artigiani, ma anche un monito per l’amministrazione a mantenere l’impegno per salvaguardare e valorizzare questi marchi. È quindi necessario immaginare una rete di collaborazioni in cui il Comune sia baricentro rispetto alle altre istituzioni». La commissione ha riconosciuto come storiche le botteghe che operano nella stessa sede da almeno 50 anni, in modo continuativo e senza modifiche nella tipologia di attività. Il premio è un tributo al passato, ma vuole anche essere un incoraggiamento al futuro. Proprio a quel futuro che nel 2015 incontrerà l’Expo, in un’occasione unica dove artigianato e commercio locali potranno avere riscontro internazionale.

Hanno ricevuto il riconoscimento lo storico ristorante Biffi in galleria Vittorio Emanuele, la profumeria Lorenzi di via Paolo Sarpi e il negozio di calzature Pilon di via San Michele del Carso. Tra le altre botteghe premiate, anche la copisteria Dorigoni, l’argenteria De Giovanni, la gioielleria Del Corso, la farmacia Marinoni e la gioielleria Zingaro. Ma l’elenco comprende, tra le altre, anche le pasticcerie Seraphini e Paradiso, i ristoranti La Pobbia e Da Bruno, l’arrotino Preattoni e la coltelleria Mejana. Tutte le botteghe storiche, il cui operato è stato riconosciuto all’unanimità come portatore di valori in primis umani, continuano a rappresentare un patrimonio da salvaguardare e soprattutto unico per Milano, ma non solo. «Questo riconoscimento - ha concluso Terzi - dimostra come Milano sia una città internazionale, proprio perché esistono le botteghe storiche che, anno dopo anno, con entusiasmo, hanno saputo tramandare la propria attività anche in momenti di criticità».


[roberto usai]
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STORIA ITALIANA

Piazza Fontana, la strage impunita

Le 16 e 37 di venerdì 12 dicembre 1969: Piazza Fontana numero quattro, Milano. Un ordigno contenente sette chili di tritolo esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura. A perdere la vita sono 16 persone, 87 restano ferite. È il primo clamoroso attentato della storia dell’Italia repubblicana. A distanza di 39 anni da quel giorno si parla di strage impunita. L’iter giudiziario, infatti, non ha smascherato i colpevoli di quell’eccidio. Negli anni sono state battute diverse piste, da quella anarchica a quella neofascista, si sono susseguiti arresti, processi e la misteriosa morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Ma i familiari delle vittime non riescono ancora a trovare pace.

Da quel maledetto pomeriggio l’Italia piomberà nell’incubo degli “anni di piombo” del terrorismo che si sarebbero protratti per più di un decennio e si troverà in ginocchio dinanzi ad una serie di attentati senza soluzione di continuità. Lo scenario di quei giorni è a dir poco fluido: il Partito Comunista Italiano aveva fatto un gran balzo nelle elezioni legislative dell’anno precedente e il sistema di potere imperniato sulla Democrazia Cristiana iniziava a scricchiolare. Gli Usa erano ”impantanati” nella guerra del Vietnam con pesanti ripercussioni interne, mentre l’Urss reprimeva nel sangue le manifestazioni di dissenso scoppiate in Cecoslovacchia, mostrando il volto più truce del regime comunista. Eventi che, come si ricorderà, contribuirono a far salire la tensione ben oltre i livelli di guardia.

Cerchiamo ora di ripercorrere le tappe di questa vicenda che ha segnato in maniera indelebile la storia del nostro Paese. Nei giorni successivi alla strage, solo a Milano, sono 84 le persone fermate tra anarchici, militanti di estrema sinistra e due appartenenti a formazioni di destra. Il primo ad essere convocato è proprio Giuseppe Pinelli. Dopo tre giorni di interrogatorio all’anarchico non viene contestato alcun capo di imputazione, ma comunque non viene rilasciato. Il 15 dicembre Pinelli muore in circostanze misteriose, volando da una finestra della Questura di Milano. Verranno istruiti processi nei confronti di alcuni funzionari di Polizia che si concluderanno con un nulla di fatto. Il prezzo più alto lo pagherà il commissario Luigi Calabresi, vittima della spirale di violenza innescata dalla morte di Pinelli.

Il primo processo per la strage della Banca Nazionale dell’Agricoltura inizia il 23 febbraio del 1972: i principali imputati sono due militanti del gruppo anarchico 22 marzo, Pietro Valpreda e Mario Merlino, che si scoprirà poi essere un infiltrato dei servizi segreti. Nel corso degli anni, accanto alla pista anarchica si fa strada l’ipotesi del coinvolgimento di gruppi neonazisti. Sotto la lente degli inquirenti finiscono in particolare Franco Freda e Giovanni Ventura. La farraginosa macchina della giustizia italiana “partorisce” finalmente una sentenza definitiva solo dopo il quinto processo contro i quattro, accusati a vario titolo di aver pianificato e realizzato la strage: tutti assolti.

Nel 1990 arriva la svolta nelle indagini: Delfo Zorzi, all’epoca dei fatti capo operativo della cellula veneta del gruppo di estrema destra Ordine Nuovo, si attribuisce la responsabilità di essere l’esecutore materiale dell’attentato. Il 1 luglio 2001 la Corte d’assise di Milano condanna all’ergastolo lo stesso Zorzi, fuggito in Giappone subito dopo la strage, Carlo Maria Maggi, capo di Ordine Nuovo in Triveneto, e Giancarlo Rognoni, leader del gruppo “La Fenice”. Ma sia la Corte d’assise d’appello di Milano che la Cassazione annullano le condanne perché «i tre non hanno commesso il fatto».


[pierfrancesco loreto]
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ARTE

Milano capitale del futurismo

«Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno». Velocità + arte + azione. Il conto alla rovescia è già iniziato. Perché Milano è «la città che sale». E qui sta per iniziare l’anno futurista. Partirà il prossimo 5 febbraio allo scoccare dei cento anni dalla pubblicazione del Manifesto di Filippo Tommaso Marinetti sulla Gazzetta dell’Emilia. Un’immaginazione senza fili che, rimbalzando di angolo in angolo, travolgerà l'intera città tra performance di strada ed happening a sorpresa, foreste di suoni e living painting. «Sarà un momento di riflessione sull’identità di Milano e sul suo futuro – ha annunciato il sindaco Moratti – ma anche di partecipazione attiva per tutti i cittadini, come richiesto dal futurismo».

Il canovaccio degli eventi è fitto, scandito da tre eventi principali che s’inseguiranno durante tutto il 2009.Si parte il 5 febbraio con una Rissa in Galleria ispirata alla coreografa Ariella Vidach dall’omonimo dipinto di Boccioni. Contemporaneamente, a Palazzo Reale un gioco di luci e suoni investirà gli spazi esterni e le facciate. Il 6 febbraio (e fino al 7 giugno) sarà la volta di Futurismo 1909-2009 – Velocità + Arte + Azione. Un’ esposizione a Palazzo Reale curata da Giovanni Lista Ada Masoero. Più di 400 le opere in mostra: dagli anni dieci del “dinamismo classico”, all’”arte meccanica” degli anni ’20, passando per l'“aeropittura” degli anni ’30, senza dimenticare l' eredità “spazialista” e “polimaterista” di Fontana, Burri e D’Orazio.

Pochi giorni dopo, il 12 febbraio, presso la Fondazione Stelline verrà inaugurata F.T.Marinetti = Futurismo, un'antologia di 50 capolavori, provenienti dalle Civiche Raccolte di Milano, curata da Luigi Sansone. Elasticità, linea e forza di una bottiglia di Boccioni, ad esempio, ma anche Sotto il pergolato a Napoli e SpazzoIridente ed Espansione di Balla
Il 20, riprendendo i concetti “dell'architettura urbana in costruzione” e della “simultaneità”, la compagnia parigina Retouramont proporrà una danza in verticale nel centro della città. Mentre Palazzo Reale si trasformerà in un laboratorio culinario con sala da ballo dedicata alla Futurdanza. In primavera sarà la volta delle Revolverate di Gian Pietro Lucini nelle biblioteche rionali. E, ancora, a Palazzo Reale, rappresentazioni del Teatro Tattile e della Sorpresa. Ma il movimento verrà evocato anche dalla strada quando al traffico cittadino si mescoleranno i Futurtaxi e i Futurtram.

Infine, il 7 giugno, 21 pianoforti a forma di F - diretti dal maestro Daniele Lombardi - chiuderanno in piazza Duomo la prima parte dell'anno futurista. Che riprenderà il 15 ottobre (per concludersi il 25 gennaio 2010) con Futurismo100, con un omaggio ad Umberto Boccioni attraverso le opere di Carlo Carrà e Luigi Russolo: un serrato confronto con la scultura d’avanguardia europea proveniente dalla Tate Gallery di Londra, la Tretyakov di Mosca, il Centre Pompidou di Parigi e le più grandi collezioni mondiali.


[ivica graziani]
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NUOVE MALATTIE

Disturbo da alimentazione incontrollata, è boom

È il nuovo flagello dell’alimentazione e colpisce il 30% degli obesi. Si chiama disturbo da alimentazione incontrollata, in gergo “abbuffate senza freno”. Il rapporto - presentato ad un convegno genovese dalla dottoressa Laura Dalla Regione per il ministero della Gioventù - parla chiaro. Negli ultimi dieci anni i disturbi dell'alimentazione sono aumentati di un terzo: ieri colpivano due milioni di italiani, oggi ne affliggono tre. In questo panorama, però, non è più l’anoressia a svettare: se una decade fa rappresentava il 60% dei disturbi oggi la sua incidenza si è dimezzata. Tanto che dalla Regione arriva ad affermare: «Sicuramente sul piano epidemiologico ormai l’anoressia è il disturbo che ci preoccupa di meno». Concorda il professore Enrico Molinari, docente di Psicologia clinica in Cattolica, e responsabile del Servizio di Psicologia Clinica dell’ Istituto Auxologico Italiano: «Negli ultimi 10 anni l’incidenza delle anoressiche è diminuita, i comportamenti bulimici o di alimentazione incontrollata sono invece aumentati».

Prof. Molinari , da quanto si conosce il disturbo da alimentazione incontrollata?
«Il binge eating disorder è una definizione diagnostica abbastanza recente, comparsa sui manuali medici alla fine degli anni ’80».

Come si manifesta?
«Si manifesta con abbuffate ricorrenti nell’arco della giornata. In alcuni casi l’assunzione del cibo è concentrata in determinati orari; in altri si presenta come un’alimentazione continua. Si tratta sempre di un fenomeno caratterizzato dalla compulsività perché è associato nell'atto del mangiare alla sensazione di perdita di controllo. La conseguenza è l'ingestione di un'elevata quantità di cibo ed un consistente aumento ponderale. Il Dai si inserisce nel più vasto capitolo dei disturbi alimentari quali anoressia mentale, bulimia nervosa e night rating discorde».

In che modo si differenzia dalla bulimia?
«Non ne presenta i comportamenti compensatori come il vomito o l’assunzione di lassativi»

Può colpire tutti?
«Se l’anoressia era un fenomeno prevalentemente femminile, i disturbi dell’alimentazione incontrollata colpiscono anche gli uomini, circa un terzo. C’è poi un innalzamento dell’età, oltre i 30 anni. In certi casi, però, ad esserne interessati sono anche i cinquantenni».

Questo impulso compulsivo verso il cibo ha una causa nota?
«In tutti i tempi, o anche nelle diverse fasi della vita, le persone cercano di compensare il proprio disagio interiore, la propria sofferenza psichica, con dei comportamenti di auto-cura.
Si potrebbe dire che i disturbi dell’alimentazione sono un facile palliativo per tenere a bada, o contenere, la propria sofferenza psicologica. Gli alimenti fungono, insomma, da “farmaco” facilmente reperibile. Detto questo, bisogna tenere conto che i disturbi dell’alimentazione hanno sempre un’origine complessa che associa fattori predisponenti, scatenanti e di mantenimento. I fattori predisponenti creano le condizioni di vulnerabilità ad una determinata patologia. E possono essere genetici, familiari e socioculturali. Tra i fattori scatenanti, invece, ci sono le difficoltà psicologiche e i condizionamenti sociali, come, ad esempio, l’ossessione dei massmedia per la perfezione del corpo. Infine, i fattori di mantenimento fanno in modo che il disturbo si autoperpetui in un circolo vizioso».

Come interpreta l'impennata del disturbo negli ultimi anni?
«Una spiegazione potrebbe trovarsi nell’anoressia. Perché si può resistere al digiuno solo fino ad un certo punto. Poi, l’istinto alla sopravvivenza e la fame hanno il sopravvento portando a comportamenti bulimici».

Perché è l’Italia il paese europeo più colpito dalla Dai?
«In realtà, l'Italia non è la più colpita dalla Dai, ma lo è dall’obesità. L’incremento ponderale sale (anche tra i giovani) man mano che si scende dal Nord al Sud. Probabilmente è dovuto al fatto che, oltre ad un’alimentazione non equilibrata, spesso viene a mancare un’adeguata attività motoria. Al Sud, per motivi culturali, si pratica meno sport che al Nord».

In che percentuale le cure portano ad una guarigione?
«È difficile dare una risposta perché non sappiamo in quanti si fanno curare. Chi affronta una terapia adeguata però ha buone probabilità di guarigione o di remissione del sintomo».

In alcuni casi l'anoressia può portare alla morte. Si può morire anche di disturbo dell'alimentazione?
«Non si muore ma si va verso l'invalidità. Ai disturbi psicologici si associano malattie metaboliche, cardiache, respiratorie e osteoarticolari».

In Italia ci sono sufficienti strutture sanitarie dedicate?
«I centri ci sono. Milano, ad esempio, ne ha alcuni di eccellenza. Tuttavia, il vero problema non è la creazione di centri specializzati. Bensì quello di motivare le persone ad un trattamento responsabile: se il paziente è motivato ad intraprendere una cura, nella maggioranza dei casi può essere sufficiente uno psicoterapeuta e un medico nutrizionista per raggiungere un buon risultato».


[ivica graziani]
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SANITÁ

Una nuova casa per la salute dei lombardi

Casa della salute: è questo il nome che il Tavolo regionale della salute immagina per il futuro della sanità lombarda. In seguito ai gravissimi fatti legati all’Ospedale Santa Rita, in gennaio associazioni sanitarie e onlus, movimenti e forze politiche della sinistra, proporranno alla Giunta lombarda di modificare la legge regionale 31/1997 con un progetto di legge. L’idea è creare una sede pubblica che raccolga tutti i servizi e gli operatori sociosanitari di un’area elementare (da 5 a 20 mila abitanti), per offrire ai cittadini un servizio integrato a tutela della salute, e ai medici un ambiente di riferimento professionale.

L’esponente dei Comunisti italiani Michele Proietto, uno dei sostenitori del progetto, spiega: «Il nome Casa della salute è stato scelto per il senso di partecipazione e vicinanza al cittadino che esso comunica». Infatti, con questa proposta, il Tavolo regionale per la salute si prefigge di inserire completamente la sanità nel tessuto cittadino, concentrando i servizi in un luogo facilmente raggiungibile. Servizio materno-infantile, consultorio, servizi geriatrici, di cure domiciliari, di salute mentale, di cure dentarie; tutto questo ed altro diverrebbe accessibile in un unico edificio. Inoltre, la Casa della salute alleggerirebbe il lavoro degli ospedali, interverrebbe sui temi della prevenzione e dell’educazione alla salute, e costituirebbe il punto di riferimento dei medici di famiglia, mettendo a disposizione gli spazi, le attrezzature, e soprattutto i contatti necessari a svolgere il proprio lavoro in maniera sempre più sinergica con altri servizi. «La situazione attuale è ben diversa - afferma Proietto - data la scarsa integrazione tra Asl e ospedali».

La proposta del Tavolo regionale della salute riguarderà anche le spese per il mantenimento di malati cronici e non autosufficienti. Si tratta di spese che le famiglie sostengono direttamente e che costituiscono un impoverimento, dato che spendere soldi per medicine e costose rette dei ricoveri nelle Rsa (dai 1500 ai 3000 euro al mese) non significa certo investire sul futuro. Un decreto interministeriale del precedente governo ha istituito un buono per le regioni a copertura delle spese sanitarie legate a questo tipo di esigenze; la Regione Lombardia, per esempio, ha ricevuto 58 milioni di euro per il biennio 2009-2010 e ne riceverà altrettanti per il biennio successivo. Tuttavia, al presente, questi fondi sono destinati ai servizi sociosanitari, non alle famiglie. La proposta del Tavolo, invece, è che questi fondi arrivino nelle case, sotto forma di aiuti alle famiglie e di potenziamento delle cure domiciliari. In questo modo, peraltro, si adempirebbe la legge, che prevede la destinazione dei buoni non alle strutture, ma all’assistenza sociale. Numerosi, soprattutto nella provincia di Lodi, i consensi raccolti tra i consigli comunali e provinciali interpellati finora sulla questione. L’obiettivo è arrivare al momento della proposta formale – a gennaio, dopo la discussione del bilancio regionale – col maggior numero possibile di consensi, anche se basterebbe l’appoggio di soli cinque consigli comunali a legittimare la proposta.

Una terza area di intervento per il disegno di legge del Tavolo regionale della salute è la trasparenza nei contratti di medici e dipendenti delle strutture sanitarie. «Il caso della Santa Rita parla chiaro - spiega Aldo Gazzetti dei Verdi -. È necessario che i medici non operino in maniera del tutto indipendente, ma vengano assistiti e che il loro lavoro sia disciplinato da contratti trasparenti. Se i medici vengono pagati a prestazione, è forte la tentazione di eseguire interventi inutili, quando non dannosi, per incrementare le proprie entrate». L’occasione, si sa, fa l’uomo ladro. È quindi dovere della sanità regionale tutelare la salute e la dignità dei cittadini di fronte a questo rischio.


[floriana liuni]
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CAMERA DI COMMERCIO

Milano, la città della musica che fa emigrare i musicisti

“La musica è una legge morale: essa dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza e la vita a tutte le cose”: così diceva nei suoi Dialoghi Platone, che riteneva che l’armonia della musica fosse in grado di creare armonia anche nella società. Una frase che forse tanti milanesi dovrebbero ricordarsi quando si parla di finanziare progetti che abbiano come scopo la promozione della cultura musicale. Milano, come l’Italia, d’altronde, nasconde dentro di sé mille contraddizioni: è la prima città italiana per numero di ingressi per gli spettacoli dal vivo, ma allo stesso tempo è anche capace di denunciare l’organizzatore del concerto di Bruce Springsteen a San Siro perché il grande cantante ha sforato di venti minuti la fine del suo show. Milano è anche la città dove il 57% degli eventi musicali avvengono in soli 28 luoghi della città, mentre in quel della Bicocca giace praticamente inutilizzato il Teatro degli Arcimboldi che, dopo aver sostituito egregiamente la Scala durante il restauro, ora è diventato la casa dei comici di Zelig.

È questo lo scenario che emerge dalla ricerca condotta da MeglioMilano, presentata martedì 16 dicembre alla Camera di Commercio di Milano, per capire le potenzialità che il capoluogo lombardo ha di diventare la Città della Musica, in grado di competere anche con i più importanti centri culturali europei. A livello nazionale, Milano è senza dubbio il centro musicale più importante del paese: sono 973 le organizzazioni, di cui 397 di musica dal vivo e 320 di musica registrata, 130 i locali in cui ascoltarla, 84 i negozi di strumenti e 236 le imprese che operano nel campo, per un totale di circa 6.000 lavoratori. Milano è anche la capitale dell’industria discografica italiana, con ben 68 case discografiche, di cui alcune storiche come la Ricordi, fondata nel 1808. Febbraio e giugno sono i mesi che registrano più eventi, rispettivamente 682 e 560, per una media giornaliera di 23,5 e 18,7 eventi, mentre i festival durante l’arco dell’anno sono 29. Eppure, la situazione attuale non sembra soddisfare gli operatori coinvolti nel settore: le attività musicali della città sembrano infatti essere costantemente oscurate dall’ingombrante nome della Scala, viene registrata una carenza di orchestre sinfoniche stabili e scarsi spazi per la musica etnica. I festival sono pochi e troppo concentrati nel tempo, tanto da creare spesso sovrapposizioni, e c’è poca voglia di osare e rinnovare il settore con contaminazioni tra generi diversi e con arti come la danza e la recitazione. I 41 intervistati che hanno partecipato alla ricerca lamentano la mancanza di un coordinamento tra le istituzioni musicali e l’assenza di buona informazione musicale sui quotidiani, che preferiscono sempre parlare o del grande evento o del gossip di turno. Un panorama pieno di contrapposizioni, che dovrà però rispondere a una sfida forse più grande: quella lanciata dall’Expo, che tra sei anni sbarcherà nel capoluogo portandosi con sé circa 7.000 eventi. Proprio per questo, si sente l’esigenza di creare un osservatorio che monitori le attività del settore musicale e comprenda la strada da seguire.

La ricerca condotta da MeglioMilano è stata accolta positivamente dagli addetti del settore, in quanto mette in luce alcuni dei tasti dolenti del panorama musicale milanese. «Il problema principale è la sproporzione tra una domanda, che è troppo debole, e l’offerta. Milano, per trovare una sua collocazione all’interno del panorama musicale internazionale, deve misurarsi con città come New York, Parigi e Madrid. L’eccellenza della Scala è dovuta ormai solo alla tradizione e non alla produzione attuale. Il guaio peggiore è che tante, troppe istituzioni hanno direzioni artistiche inadeguate ed è per questo che a Milano non si può fare innovazione. Anche la razionalizzazione degli spazi è un problema: a Milano ci sono due auditorium, il Verdi e il Dal Verme, che si fanno concorrenza: basterebbe razionalizzare gli spazi, creare un centro polifunzionale, per risolvere gran parte dei problemi». D’accordo con la creazione di uno spazio polifunzionale è anche Joanne Maria Pini, docente di Cultura musicale presso il Conservatorio Verdi di Milano, che proprio quest’anno compie 200 anni. Ma secondo lui il grande problema è un altro: «Nei conservatori italiani si diplomano degli studenti che, per lavorare, saranno costretti a emigrare all’estero. In Italia non c’è più la cultura della musica e da anni aspettiamo una riforma dei conservatori. L’Italia, per uscire da questa fase di stallo, deve prendere come esempio gli altri paesi europei».


[alessia lucchese]
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DOCU-FILM

G8, prove generali di golpe

Quando sullo schermo appare Gianfranco Fini che, da vice-presidente del Consiglio nel luglio 2001, nega la responsabilità delle forze dell’ordine nei disordini del G8 di Genova, un grido pieno di rabbia, chiaro e distinto, si leva dal fondo del salone: «Bastardo!». Tanto è il senso di ingiustizia legato al ricordo dei soprusi subiti in quei giorni, alla Camera del Lavoro di Milano per la presentazione del film documentario Fare un golpe e farla franca, di Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio con Mario Portanova.

In realtà, Fini, Luciano Violante e Roberto Castelli (allora ministro della Giustizia), non hanno voluto dare la loro testimonianza su quei tre giorni, dal 19 al 21 luglio, in cui la Costituzione venne messa da parte, secondo gli autori. Il documentario osserva dal punto di vista di chi visse dall’alto, da ruoli istituzionali, quelle ore drammatiche, in cui, secondo Deaglio «venne messo in atto per la prima volta in Italia un modello di repressione che può sempre tornare buono». L’intento è dimostrare che tutto rispondeva a una logica militare golpista: 18mila poliziotti schierati, carceri svuotate per fare posto a cinquemila possibili arresti, duecento body bag pronte, l’ospedale di San Martino attrezzato a camera mortuaria, l’impedimento di ogni contatto con legali e familiari per i fermati, una campagna di tensione in cui si parlò persino di sacche di sangue infetto che i no global avrebbero lanciato negli scontri con la polizia.

Dal palco l’eurodeputato Vittorio Agnoletto (Prc-Sinistra europea) punta il dito contro l’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro che, in una telefonata con Bertinotti, definì l’operazione alla scuola Diaz «un normale controllo del territorio». La sua analisi è politica: «Era un uomo scelto dal precedente governo di centro sinistra e tutta la catena di comando delle operazioni non era la parte di destra della polizia. A Genova la polizia ha giurato fedeltà al capo del nuovo governo; l’episodio della scuola Diaz è il suo biglietto da visita. Quei funzionari sono stati tutti promossi e il centro-sinistra non ha neppure fatto una commissione d’inchiesta parlamentare». Lorenzo Guadagnucci è un reporter che la notte di sabato 21 venne malmenato dalla polizia nella scuola Diaz: «L’assoluzione dei funzionari e la condanna dei sottoposti fa passare l’idea che i capi si siano fatti “turlupinare” dai poliziotti semplici, che avrebbero organizzato tutto. Se poi sono stati addirittura promossi vuol dire che viviamo in una democrazia menomata o di tipo autoritario». L’autore di Noi della Diaz (Berti-Altrecononomia), si riferisce soprattutto a Francesco Gratteri, allora guida del Servizio Centrale Operativo della Polizia e ora capo dell’Anticrimine, che al processo Diaz si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Enrico Deaglio spiega che, nonostante l’approfondito lavoro di indagine, rimangono zone d’ombra. L’ex direttore di Diario dissente da Agnoletto: «Non si può dire con certezza che Placanica abbia coperto qualcuno più alto in grado». E da Haidi Giuliani: «I black block erano almeno 500, non di meno», «furono lasciati liberi di agire, ma non sappiamo se fra di loro vi fossero infiltrati». La Costituzione divenne carta straccia, ma per Deaglio il G8 fu «la prima esplosione di una democrazia visiva, nonostante per i giornalisti le condizioni fossero pessime. È così passata una doppia immagine degli scontri del G8 e il servizio trasmesso dal Tg1 il 26 luglio fu un buon atto di autonomia rispetto al governo, atto che sicuramente il governo non gradì». Quel servizio mostrava infatti le forze dell’ordine infierire su persone inermi, una realtà che Haidi Giuliani commenta così: «Quello di Carlo è stato l’unico gesto di resistenza, forse». Per arrivare a un’amara considerazione: «Sette anni fa ci impegnavamo per un mondo migliore, alternativo alla legge dei mercati globali. Oggi ci stanno facendo credere che questa sia l’unica realtà possibile e forse noi non stiamo combattendo abbastanza».


[daniele monaco]
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CAROAFFITTI

Alloggi dell’Aler sempre meno popolari

«Saremo qui tutti i giorni, mattina e pomeriggio, per chiedere alla Regione di accogliere le proposte sindacali di modifica della legge 27». Con queste parole Stefano Chiappelli, segretario del Sunia, giustifica il presidio permanete che i sindacati degli inquilini hanno organizzato davanti al Pirellone. Resteranno lì fino a venerdì 19 dicembre. Quando il Consiglio regionale approverà i correttivi per gli affitti delle case popolari. Dal primo gennaio 2008, il giorno in cui la legge 27 è entrata in vigore, per gli inquilini delle Aler sono scattati i primi aumenti. Se la normativa non verrà modificata, ne scatteranno altri tre, uno ogni primo giorno dell’anno. Pierluigi Rancati, segretario del Sicet, assicura che, «anche se la Regione e le aziende interessate lo nascondono, il gettito del canone, rispetto al 2007, è arrivato a cifre superiori del 50% nell’Aler di Milano e del 30% in quella di Bergamo». I comuni, invece, non hanno ancora fatto in tempo ad alzare il canone. Quindi, nel 2009, sugli inquilini delle case comunali graveranno, oltre agli aumenti previsti, anche gli arretrati di quello che non hanno pagato nel 2008. A questo si aggiungeranno anche due conguagli: uno sui servizi e uno sugli affitti. Anche per colpa della crisi economica, negli abitanti delle case popolari milanesi cresce la preoccupazione.

Diecimila famiglie hanno già presentato la domanda di ricorso per l’aumento dell’affitto. Anche le Aler ammettono che la morosità tra gli inquilini sta aumentando. Tra l’altro, con la legge 27, la mora, dal 10%, passa a quote che sfiorano il 60% del canone. C’è il rischio che l’illegalità si diffonda in un settore in cui le occupazioni indebite sono già all’ordine del giorno. L’assessore per l’edilizia pubblica, Mario Scotti, venerdì 19 dicembre in Consiglio Regionale, presenterà un progetto di legge che prevede una riduzione del canone del 5% a 15-20mila alloggi, rispetto ai 170mila presenti nella regione. Blocca l’aggiornamento del canone rispetto al costo della vita degli inquilini indigenti fino al 2011. E introduce una sorta di “flessibilità locale”: cioè da la possibilità agli enti proprietari di applicare, se vogliono, una variazione del 20% sul calcolo del canone. Questo per i sindacati porterà una diseguaglianza sociale tra gli inquilini delle Aler, che probabilmente non applicheranno la variazione, e quelli dei comuni, che invece hanno già annunciato che la applicheranno.

Tutte le sigle sindacali ritengono che le modifiche proposte da Scotti siano insufficienti e chiedono alla Regione: primo, che i risparmi di modesta quantità e i sussidi di assistenza non siano considerati nel calcolo della situazione economica dell’inquilino. Secondo: di ampliare il blocco della variazione del canone per il costo della vita a tutta l’utenza. Terzo: di ridurre l’affitto ad una parte più estesa degli inquilini. Quarto: la possibilità, attraverso intese locali, di diminuire gli affitti in rapporto al degrado degli alloggi. Quinto: un periodo maggiore per la graduazione del canone. E, infine, chiedono più garanzie per la trasparenza degli appalti fornitori di servizi. C’è da dire, poi, che, in contrasto con il trend generale, sulla questione delle case popolari in Lombardia i sindacati sono in piena sintonia. La drammaticità della situazione non ammette passi indietro.


[andrea torrente]
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LUDOPATIA

Lotta alla dipendenza dal gioco d’azzardo

Puntata, rilancio, vedo. E il dealer si porta via tutto. Doppia coppia contro scala. Una, due e tre mani, alla fine le tasche del giocatore sono vuote. Lo stesso vale per il rosso e il nero della roulette, o il tintinnio luccicante delle slot machine: alla fine la musica è sempre la stessa per i giocatori compulsivi. Portafogli al verde, mogli disperate e usurai pronti a battere cassa. Se il vizio del gioco d’azzardo esiste da che c’è l’uomo, la nuova Roulettenberg di Dostoevskij non poteva che spostarsi dal Baden tedesco alla sconfinata dimensione di internet. Ma è sul web che si sta cercando di normalizzare e aiutare i giocatori compulsivi a uscire da questo pericoloso tunnel. Gioco digitale, principale operatore del mercato del gioco a distanza, in collaborazione con Saman, associazione no profit specializzata nella lotta alle dipendenze, ha inaugurato il portale web Sos gioco. Il sito, gratuito e aperto a chiunque, ha lo scopo di prevenire e offrire consulenza a qualsiasi giocatore in difficoltà con la “febbre da cavallo”. Connettendosi a www.sosgioco.it si potrà chiedere consulenza agli specialisti dell’associazione Saman per trovare un aiuto alla propria dipendenza da gioco.

«Anche se il gioco online, e ancor più il poker in forma di torneo, sono formule che difficilmente possono portare alla ludopatia – spiega Carlo Gualandri, presidente di Gioco Digitale – ,crediamo che un’industria responsabile debba dimostrare le capacità di affrontare con autonomia e autoregolamentazione questi pericoli. Siamo felici di poter fare la nostra parte e di stimolare il nostro mercato ad affrontare questi temi per impedire che gli eccessi di pochi pregiudichino il divertimento di molti. Il progetto Sos gioco, infatti, è aperto a chiunque nell’industria voglia partecipare alla lotta contro gli eccessi del gioco».

Patria di santi, poeti, navigatori e giocatori d’azzardo: gli incassi del mercato della puntata valgono qualcosa pari a 47,5 miliardi di euro, corrispondente al 3% del pil nazionale, di cui 8,2 miliardi se ne vanno in tasse per la felicità dello Stato. Di questa fetta di introiti 1,4 miliardi, invece, riguardano solamente il gioco online, caratterizzato principalmente dal poker che, per il prossimo anno, prevede un vero e proprio decollo del fenomeno. Contro ogni tendenza, in tempi di profonda crisi economica, il mercato del gioco d’azzardo ha registrato un’impennata del 12% in un anno, sintomo che gli italiani, anche se con i borsellini a secco, nella fortuna ci credono. Ma questi numeri non tengono conto di un fattore fondamentale: questi dati ufficiali ignorano l’esistenza del volume di gioco illegale che sembrerebbe essere un fenomeno addirittura maggiore.

Tuttavia sulle dipendenze di gioco si sa poco . «Quello del gioco d’azzardo è un fenomeno in ascesa, da scoprire e capire – spiega il presidente di Saman, Achille Saletti – . Con questo progetto sperimentale cercheremo di intercettare i giocatori compulsivi e, se raccoglieremo consensi, vedremo quale sarà l’identikit del ludopatico. Questo perché il progetto di Sos gioco si fonda sulla ricerca: infatti, questa è una realtà su cui ancora abbiamo poche certezze. Resta comunque di fatto che i giochi on line si prestano meno a fenomenologie di gioco irresponsabile. Ma sarà la catalogazione dei dati a darci la risposta».


[francesco cremonesi]
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PENTAGONO

Fallita la ricostruzione in Iraq

Cifre truccate per gli addestramenti di soldati iracheni inesistenti e sprechi per 117 miliardi di dollari sui documenti del Pentagono. Il fallimento statunitense è certificato da Hard Lesson, il rapporto dell’ufficio dell’ispettore generale per la ricostruzione in Iraq a 5 anni dall’invasione, finito nelle mani del New York Times che ne ha fatto il titolone della domenica e che lo ha pubblicato integralmente sul suo sito. Nelle 513 pagine che mettono a nudo tutti gli errori e gli orrori della ricostruzione statunitense in mesopotamia, il passaggio dedicato all’alterazione dei livelli delle forze di sicurezza è quello più clamoroso. Secondo Colin Powell, ex segretario della difesa «il Pentagono inventava 20 mila unità la settimana».

Tutti i soldi spesi per ricostruire la democrazia nel ex regno del rais Saddam Hussein, tra cui 50 miliardi, presi direttamente dalle tasche dei contribuenti, sono stati usati per riparare i danni dell’invasione e le devastazioni che seguirono. Il resto è stato impiegato per lubrificare la fitta rete di clientela e corruzione per poter governare il Paese nei mesi successivi all’invasione, quando non si capiva quale autorità dovesse essere rispettata. Il rapporto a proposito di questo sistema di corruttela parla di “gestione alla Soprano ”(riferendosi al popolare telefilm basato sulla mafia italoamericana). Dal rapporto emerge che dopo 5 anni di “democrazia” in Iraq si produce meno petrolio di quanto se ne producesse prima, è aumentata del 10% la produzione di energia elettrica e si è dato accesso all’acqua potabile ad una fetta più larga della popolazione, ma senza garantire sicurezza sulla sua possibile contaminazione. Le reti di telecomunicazione fissa, danneggiate dalla guerra, hanno spinto gli iracheni ad acquistare più telefoni cellulari, ma resta incerto il numero di soldati addestrati e messi a disposizione degli Usa.
Il rapporto ha fatto infuriare l’opinione pubblica americana. Il tutto mentre George W. Bush, durante la sua quarta visita ufficiale a Baghdad, era costretto a schivare le scarpe di un giornalista iracheno esasperato per la sua dichiarazione «la guerra in Iraq non è ancora finita».

Il rapporto Hard Lesson, basato su oltre 500 interviste e 600 revisioni, ispezioni e controlli mirati, mostra come il costosissimo progetto di ricostruzione, secondo per volume di investimenti solo al Piano Marshall , fosse incerto sin dall’inizio. Le pagine trasmettono il senso del caos assoluto che precedeva le decisioni riguardo agli obiettivi della ricostruzione, oltre che la facilità con cui i lobbisti potevano esercitare pressione per ottenere fondi per generici “nuovi progetti di ricostruzione”. «Dopo aver letto la bozza del rapporto mostrata dal Times – dice Mario Biasetti, corrispondente della Fox statunitense a Roma – la democrazia, la pace interna, la prosperità e il circolo virtuoso da mettere in moto credo che per adesso restino solo dei bei sogni. La presenza statunitense in medio oriente si spiega sotto vari punti di vista e il processo di democrazia non è qualcosa che si impara in poco più di 24 ore. Certo è che un obiettivo così alto come quello di esporttare la democrazia in un Paese che esce da una dittatura deve essere come minimo pianificato».

Sono morti più di 4 mila soldati stars and stripes e decine di migliaia di iracheni per quella che qualcuno interpreta come la guerra per il petrolio e che ad altri sembra un’azione di geopolitica.


[roberto dupplicato]
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REGIONE

Lombardia, i conti tornano

Piovono plauso e complimenti per il bilancio 2007 della Regione Lombardia. La Corte dei conti riconosce il buon andamento delle finanze lombarde, che riescono a mantenersi su un rapporto entrate-spese di tutto rispetto. Certo, però, non mancano punti oscuri e nodi da sciogliere. La Lombardia ha rispettato il Patto di stabilità interno per l’anno 2007, gli equilibri di bilancio e i limiti fissati dalla Costituzione all’indebitamento. Ci sono, però, alcuni piccoli dettagli che certamente non intaccano il buon andamento delle finanze, ma che devono comunque fare riflettere. Anche se la Regione è riuscita a far fronte ai pagamenti senza ricorrere ad anticipazioni di tesoreria, è importante notare come siano in progressivo aumento le spese dovute alle consulenze e al personale.

Inoltre, la Corte rileva la necessità di creare un modello di bilancio consolidato, dove siano comprese anche tutte le società a totale o prevalente capitale pubblico. Proprio a tale riguardo, il presidente della Regione, Formigoni, tranquillizza tutti: «Ribadisco che la creazione del sistema regionale di bilancio consolidato è una priorità per la Regione Lombardia».

Se proprio vogliamo mettere tutti i puntini sulle “i”, allora non bisogna dimenticare che i dati relativi al Patto di stabilità non si riferiscono all’intera gestione finanziaria della Regione, ma solo ad una porzione poiché la disciplina normativa nazionale esclude dal conteggio una parte della spesa ed in particolare quella sanitaria. Proprio in questo settore, la situazione merita di essere analizzata nel dettaglio.

Prima di tutto un dato positivo: nel 2007, la Lombardia ha investito nel settore sanitario più di 16 mila milioni di euro. Sono però aumentati anche i residui di nuova formazione, cioè le somme che la Regione deve ancora versare per diverse spese. Somme che ammontano a 330 milioni di euro. Un dato interessante è quello delle strutture ospedaliere iscritte al Registro regionale che hanno raggiunto le 1000 unità, 68 in più rispetto all’anno precedente. L’incremento maggiore è dato dalle strutture private. La privatizzazione della sanità è una realtà che si deduce anche dal numero di posti letto a disposizione dei malati, che è diminuito nel settore pubblico e aumentato in quello privato. A livello generale, poi, il numero dei posti letto ogni mille abitanti, conferma la tendenza alla diminuzione. Formigoni spiega così il fenomeno: «La diminuzione dei posti letto nel pubblico è dovuta a un rimodellamento dell’offerta attraverso progetti pubblico-privato. L’incremento dei posti letto privati deriva in parte dal passaggio a gestione privata degli 800 posti letto disponibili per queste sperimentazioni pubblico-privato».

Un ultimo rilievo fatto dalla Corte dei conti: anche se non manca il controllo sul numero delle pratiche effettuate e l’impegno per la riduzione dei tempi di attesa, la Regione Lombardia deve inserire tra le sue priorità una superiore azione di controllo rivolta a migliorare l’efficacia degli interventi e l’efficienza delle strutture. Soprattutto alla luce dei più recenti fatti di malasanità. A questo proposito, il presidente della Regione difende a spada tratta l’operato della sua giunta: «Nel 2007 sono state controllate 120.226 pratiche preferendo i controlli mirati a quelli sui campioni casuali, che per noi sono meno efficaci. Inoltre, è in previsione la messa a regime delle attività del progetto Codice etico, che contribuisce a una trasparenza e alla conoscenza di tutte le procedure delle aziende sanitarie».

Nonostante tutte i numeri e le cifre, nessuno può dimenticare i gravi problemi che assillano la nostra sanità. E purtroppo la Lombardia non fa eccezione: errori fatali durante le operazioni, medici corrotti, stupri in corsia e speculazione sui defunti. Tra i peggiori casi che si ricorderanno c’è anche quello della clinica Santa Rita, travolta dallo scandalo degli interventi chirurgici dannosi o non necessari, eseguiti solo per ottenere risarcimenti dalla Regione. Dopo sei mesi dai primi arresti, a inizio mese è partito il processo agli undici indagati tra medici e dirigenti. I parenti delle vittime, oltre il dolore per la perdita dei propri cari, dovranno sopportare anche la beffa di un dibattimento che si prevede molto lungo e difficoltoso.


[daniela maggi]
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FAMIGLIA

Oggi sposi, domani separati

Le famiglie milanesi sono sempre più sull’orlo del precipizio: a renderlo noto il rapporto dell’Ufficio anagrafe, divulgato dal comune di Milano. Sono sempre meno le coppie che scelgono di dirsi per la vita, mentre aumenta il numero degli addii. Secondo i dati raccolti, nel corso del 2007 sono stati celebrati quasi quattromila matrimoni e registrati oltre duemila divorzi, per un rapporto di uno a due. La situazione appare più grave se si considera che, solo nel 2000, quindi otto anni fa, questo rapporto era di tre a uno: un calo preoccupante. A ciò si aggiunge il fatto che, naturalmente, la diminuzione dei matrimoni è stata accompagnata da un’altra tendenza, quella di orientarsi sempre più verso forme di creazione del nucleo familiare al di fuori del vincolo nuziale.

Attualmente, in Italia, la percentuale di bambini nati da coppie di fatto è del 15% sulla media nazionale, ben il doppio rispetto a dieci anni fa. Con conseguente tendenza, laddove ci si decida, a sposarsi sempre più tardi: l’età media per lui e per lei si alza, rispettivamente, a 38 e 35 anni. Molto forte anche l’incidenza del rito civile rispetto a quello religioso. Ormai il numero di unioni officiate davanti al primo cittadino è praticamente il doppio di quelle celebrate con funzione religiosa. La situazione non cambia di molto se rapportata all’intera nazione: dal 1995 il tasso delle separazioni è incrementato del 57,3% e i divorzi del 74%. La novità più interessante è però rappresentata dall’incremento del numero di coppie in cui uno dei due sposi, se non entrambi, è di cittadinanza straniera. Nella provincia di Milano, le nozze tra stranieri sono quasi triplicate e, allo stesso modo in Italia, si tratta di un fenomeno ancora contenuto, ma di grande rilievo e in continuo incremento.

«In questa situazione – ha commentato Costanza Marzotto, docente di Teoria e tecniche della mediazione familiare comunitaria all’Università Cattolica, nonché psicologa e mediatrice familiare – intervengono una serie di fattori. In primo luogo, una estrema fragilità delle relazioni familiari: si è sempre più portati a creare un eccesso di aspettative nella coppia, che viene così sovraccaricata di responsabilità, non sempre portate a termine. La conseguenza è una tendenza sempre maggiore all’isolamento, anche rispetto a relazioni amicali che potrebbero supportare la solidità del legame. In secondo luogo, non va dimenticato che la donna è sicuramente più indipendente, rispetto anche a soli quindici anni fa. Questo la porta a scegliere e a vivere con maggiore consapevolezza la separazione». Nonostante la tendenza a sposarsi sempre di meno e sempre più tardi, la Marzotto sostiene che «l’aspirazione dei giovani è quella di formare famiglia, ma di fatto questo avviene molto poco». «I matrimoni misti – prosegue – sono sicuramente sintomo immediato di una maggiore integrazione sociale, ma il matrimonio è un nucleo a sé stante, e l’autoctono tenderà ad avere sempre maggiore potere rispetto all’immigrato. Questo porterà ad uno squilibrio effettivo, che sicuramente non contribuisce in maniera positiva al buon andamento della coppia».

L’Università Cattolica ha attivato a questo proposito un “servizio di psicologia clinica per la coppia e la famiglia” che svolge una funzione di accompagnamento nella formulazione di accordi di separazione, assieme anche a gruppi di parola, tra cui quello dedicato a figli di genitori separati.


[viviana d'introno]
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SCIOPERO GENERALE

La Cgil sfila a lutto e ricorda i morti sul lavoro

«La vostra crisi non la vogliamo pagare noi». Questo è lo slogan che sintetizza meglio le ragioni che, venerdì 12 dicembre a Milano, hanno spinto 80mila lavoratori a mettersi in marcia dietro gli striscioni della Cgil. Il serpentone umano, che da Porta Romana sfila verso Piazza di Castello, racchiude in sé una moltitudine di esperienze. Sembra quasi che ogni singola persona rappresenti un caso sociale e politico a sé.

«Siamo qui per quello che dice la Cgil. Ma io sono qui soprattutto per alcuni motivi specifici». Con queste parole Simona giustifica la sua presenza alla manifestazione. «Sono un’educatrice scolastica. Mi occupo dei bambini che, per diversi motivi, sono stati segnalati dai servizi sociali. Con i tagli del governo io perderò il lavoro e molti alunni bisognosi non potranno più contare sul mio aiuto». Anche Rosi, un’insegnante della scuola elementare di Garbagnate, si lamenta dei tagli all’istruzione pubblica:«Il tempo pieno non è solo una questione di ore. Necessita anche di un organico consistente. Se ci tagliano il personale la nostra scuola diventerà solo un parcheggio per bambini».

Lì vicino c’è anche una rappresentanza delle Asl. «Siamo qui - spiega Roberto Rioli - per denunciare la non volontà delle istituzioni di far funzionare le cose. Nel mio ambiente di lavoro, 200 precari rischiano il posto. Senza di loro non potremmo più offrire alcuni servizi ai cittadini». Il sindacalista se la prende anche con le altre sigle, che definisce “servo-padronali”. «Nella Asl accade, in piccolo, quello che, a livello nazionale, succede in grande. Con la Uil si può anche parlare ma con la Cisl non c’è proprio niente da fare». Appena più indietro sfilano i chimici della Filcem. Anche per loro non è un bel momento. «Il settore farmaceutico non risente della crisi-spiega Fabio Trezzi -. Di sicuro la gente non decide di risparmiare sui farmaci di cui ha bisogno. Eppure molte multinazionali del settore stanno usando la difficile situazione economica come scusa per ridurre drasticamente il personale». Alla fine del corteo ci sono i rappresentanti della funzione pubblica. Il loro principale problema è sempre quello dei contratti di lavoro. Per uno di loro, Natale Cremonesi, «un aumento salariale di 60 euro al mese non sta al passo con l’inflazione. Il nostro settore si sta progressivamente impoverendo».

Sul palco le bandiere della Cgil sono issate a lutto e gli organizzatori portano sul petto il fiocco nero per ricordare i morti della Thyssen. L’iniziativa ha anche l’obbiettivo di ricordare quello che Gianni Ferré, della Franco Tosi di Milano, chiama «il quotidiano bollettino di guerra delle morti sul lavoro. Che conta, in media, 4 vittime al giorno». Prima del comizio, la piazza dedica un minuto di silenzio alle migliaia di persone che hanno perso la vita nei cantieri, nelle fabbriche e nei campi agricoli del nostro paese. Poi, sindacalisti e rappresentanti della società civile cominciano ad avvicendarsi al microfono per spiegare il loro punto di vista sulla situazione. Giuliana Marzi, dello Spi, ricorda che, «anche in tempi di crisi, i pensionati vogliono mantenere la loro dignità. Una dignità che però la social card calpesta, imprimendo uno stigma nelle persone meno abbienti. C’erano mille modi per evitare questo sgradevole motivo di vergogna». Alla vecchia sindacalista, sul palco, subentra un giovane acquisto della Cgil. Si chiama Elisabetta De Micheli ed è una dipendente del supermercato Il gigante. Ogni giorno lavora al fianco di «giovani precari che vivono continuamente sotto ricatto. In una condizione lavorativa che non offre loro nessuna tutela».

Alla fine prende la parola Morena Piccinini, una rappresentante della segreteria nazionale. A lei spetta il compito di riassumere, in una strategia sindacale unita, le innumerevoli richieste che, durante la giornata, sono emerse. E lo fa dicendo che «la crisi non è stata provocata dalla sfortuna. Ma da un sistema economico drogato, capace di speculare anche sui pochi risparmi della povera gente. Dobbiamo lottare per la creazione di un nuovo modello di società». L’autunno sta finendo ma le lotte dei lavoratori non sembrano raffreddarsi.


[andrea torrente]
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