La vita di molti neri in Africa è un inferno. Ma lo è anche quella di molti africani in Italia. E può esserlo anche quella degli italiani che ogni giorno devono convivere con loro. Da queste riflessioni nasce il titolo dell’ultima fatica letteraria di Piersandro Pallavicini: African inferno. Un romanzo sulla multietnicità che, però, non si occupa delle classiche tematiche che i media ci propinano ogni volta che si parla di immigrazione.Le carrette del mare, lo sfruttamento della prostituzione e il narcotraffico, in African inferno, appaiono solo come rappresentazioni sociali riflesse nella testa, e nei discorsi, degli italiani. Gli immigrati africani descritti da Pallavicini sono lavoratori, muniti di regolare permesso di soggiorno, e dotati di competenze superiori a quelle della maggioranza dei bianchi che stanno loro intorno. Arrivati in Italia, già muniti di una laurea, hanno scelto di continuare a studiare per costruirsi un futuro migliore. Ma faticano a trovare una casa perché i proprietari non si fidano dei “negher”. E, spesso e volentieri, si ritrovano con un lavoro al di sotto delle loro capacità. Ma Pallavicini ci mette sotto gli occhi anche le loro superstizioni e i loro sentimenti razzisti e antidemocratici. Questo ritratto, nella prosa dello scrittore pavese, si riflette negli atteggiamenti machisti ed etnocentrici di Richard: il camerunese fanatico di Emilio Fede e delle nuove Brigate Rosse. Nelle superstizioni di Joyce: il congolese videoartista e play boy incallito. E nei segreti, celati dietro lo schermo di un computer, dell’introverso Modestin. Nel romanzo i pregiudizi degli italiani e quelli della comunità nera non si guardano mai in faccia, non arrivano mai ad un confronto diretto. C’è sempre uno che abbassa gli occhi. Però sembrano avvicinarsi, e quasi stringersi la mano, negli sguardi che Jadore, la sorella di Joyce, riceve quando passeggia con il suo nuovo fidanzato bianco.
Tutti questi elementi girano intorno a Sandro: un impiegato comunale in soprappeso che ha scelto di vivere in mezzo ai neri fino a diventare quasi uno di loro. E che vede nel rapporto fraterno che ha stabilito con Joyce e con Richard l’unico legame con il ragazzo che è stato. Nell’opera si intrecciano tre piani narrativi, ognuno con un narratore uguale e diverso a quello degli altri. Uno è il quarantenne in soprappeso Sandrone: che per una scappatella, consumata insieme al suo amico Joyce, ha mandato in frantumi la sua famiglia. Un nucleo perfetto e bianchissimo che vedeva in quel videoartista congolese, che Sandro gli aveva imposto come padrino per il battesimo di sua figlia, un corpo estraneo. L’altro è il Sandro tornato single: un uomo che, perdendo tutto, ha cercato nei suoi vecchi ideali gli elementi per costruire una sorta di utopia personale. È andato a vivere con due neri, li ha fatti diventare gli zii di sua figlia e, più volte, si è mostrato pronto a rischiare il tutto per tutto per aiutarli. E il terzo è il Sandro ventenne che ascoltava l’hip hop di sinistra e che frequentava i centri sociali. Un ragazzo che, all’inizio di Tangentopoli, era convinto di poter costruire una società migliore sulle ceneri della prima repubblica. Forse anche grazie alla sua professione di chimico, e alla sua passione per la cucina, Pallavicini è riescito a dosare tutti questi elementi nell’intreccio narrativo con precisione e creatività.
African inferno entra in profondità nella complessità delle società multietniche. Mettendo a nudo l’ingenuità di una certa visione, buonista e perbenista, che pensa che l’integrazione sia solo una questione di regole e di convenzioni da seguire. E la violenza di una certa politica populista che si abbatte sugli immigrati onesti e non, come si vorrebbe far credere, sui delinquenti. Il qualunquismo della società civile mostra l’impossibilità dell’Italia di accettare un immigrazione della quale però essa necessita. Il tutto si tramuta in una comunità esplosiva: in cui i pregiudizi regolano i rapporti interpersonali e pericolosi sentimenti di vendetta covano, nei cuori, sotto le teste chinate di fronte al potente di turno. Ma Pallavicini ci lascia con una speranza. Perché, sì, la vita può essere un inferno. Ma il sorriso di tua figlia, e l’abbraccio di un amico, possono darci quel refrigerio necessario per andare avanti e per continuare a sognare un futuro migliore.
[andrea torrente]
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