Clemente Lanzetti, sociologo, ha parlato del confronto tra cultura religiosa e cultura laica. Quest’ultima si è diffusa soprattutto a partire dagli anni Sessanta, attraverso un processo di secolarizzazione. La religiosità non è scomparsa, ma è entrata sempre di più in un ambito personale, attraverso una progressiva privatizzazione del sacro. Gli ultimi casi di attualità ci pongono nuovi interrogativi. La religione è infatti ritornata ad essere protagonista dei dibattiti politici: basti pensare alle scoperte delle nuove tecnologie in ambito sanitario che conducono inevitabilmente ad una riflessione sui temi della vita e della morte; o ancora, al fenomeno delle migrazioni che ci pone davanti ai temi dell’accoglienza e dell’integrazione.
Il rispetto delle diversità, la difesa delle minoranze, la garanzia degli stessi diritti a tutte le etnie presenti su un territorio: questi sono i punti cardine di una nazione moderna. E’ necessario inoltre ridefinire il controverso rapporto tra Stato e Chiesa. Le religioni fanno parte del tessuto sociale ed entrano quindi nella sfera pubblica. La necessità di uno Stato laico convive con una religione presente nello spazio della società civile, che vive nelle azioni di un cittadino attivo e responsabile. Secondo Lanzetti, «c’è chi auspica una presenza religiosa nella sfera pubblica e chi vede un traguardo nella fine delle fedi. La questione tra credenti e atei non si risolve togliendo Dio dalla società, perché i processi di sacralizzazione permangono nell’ethos pubblico. La sacralità resta sempre un’obbligazione, un’introiezione, in quanto è parte delle nostre radici culturali».
Il costituzionalista Valerio Onida ha sottolineato l’importanza di parlare di religioni piuttosto che di religione, dato il contesto multiculturale nel quale siamo immersi. Occorre anche ridefinire il concetto di spazio pubblico, inteso come società civile o come diritto pubblico. Nel primo caso si parla di pluralismo sociale, in quanto la collettività è costituita da più formazioni che contribuiscono allo sviluppo e alla libertà di espressione. Se si considera lo spazio pubblico come entità giuridica, è necessaria una distinzione degli ordini. «La laicità è irrinunciabile, imprescindibile. La diversità religiosa fa parte del pluralismo e uno dei primi compiti della Costituzione è quello di garantire l’uguale libertà delle diverse confessioni. Lo Stato non può discriminare e deve offrire ai cittadini le stesse condizioni. «Si pensi alla vicenda delle moschee: la politica deve mostrare maggiore sensibilità. E’ necessario impedire che le diversità diventino causa di guerra. Il dialogo è uno strumento fondamentale per la garanzia dei diritti umani».
Parlando di spazio pubblico, Giovanni Santambrogio, giornalista del Sole24Ore ribadisce che anche la stampa è luogo di dibattito culturale. «Nell’informazione le religioni si confrontano, si medializzano. Giornali, web, radio e tv diventano i moltiplicatori o i congelatori di un evento, favorendo il dialogo o fomentando lo scontro, in una logica che spesso deforma, invece di informare». In un incontro focalizzato sulla multiculturalità, ampio spazio è stato dedicato a studiosi internazionali. Martine Cohen, esperta di ebraismo, ha ricordato la necessità del supporto da parte delle comunità europee in un momento storico così delicato. «La memoria della Shoah non può finire e vorrei ricordare che l’identità ebraica è una scelta che ha bisogno di essere accettata». Khaled Fouad Allam ha parlato di una mondializzazione dell’Islam. «Si dovrebbe costruire in Europa una memoria condivisa con la cultura islamica. Spesso si fa coincidere la questione religiosa con quella della sicurezza, ponendo il problema del rapporto tra diversità culturale, coesione sociale e democrazia».
L’Expo porterà a Milano, nel cuore d’Europa, milioni di persone. La città non può arrivare impreparata ad un evento di tali dimensioni: si deve mostrare, invece, come un nucleo propulsore di idee che attingono ad un solo, ricco bacino: la multicultura.
[vesna zujovic]
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