Lo stesso anno è ricordato per la nascita del primo periodico realizzato da una decina di giornalisti clandestini formatisi in Cina che, in collaborazione con un’agenzia di stampa giapponese ha promesso di pubblicare informazioni inedite sulla situazione politica, sociale ed economica. I giornalisti, rientrati in seguito nel Paese, hanno poi cercato di provvedere alla distribuzione del magazine, in maniera faticosa e sempre nella clandestinità. Per quanto riguarda la situazione radiofonica, diverse postazioni con base oltre confine hanno provato a potenziare il raggio di frequenza, ma alcune hanno incontrato immediatamente la repressione delle forze governative. Free North Korea Radio, Voice of America, Open Radio for North Korea, Radio Free Asia e Radio Free Chosun: tutte queste radio, indipendenti e dissidenti, hanno subìto l’interruzione delle trasmissioni.
L’accentramento del controllo politico nelle mani di Kim Jong Il ha determinato la condanna di qualsiasi informazione straniera che miri a destabilizzare il regime. Attraverso la direzione del Partito dei lavoratori e il controllo delle forze di sicurezza continua la sua mobilitazione per impedire l’entrata sul territorio di videocassette, pubblicazioni, comunicazioni telefoniche e cd provenienti da altri Paesi che possano contaminare l’informazione nazionale. Un imprevisto di carattere tecnico ha fortunatamente permesso l’allentamento del controllo sulle radio: a causa della grave crisi energetica, negli ultimi mesi le autorità non avevano i mezzi per monitorare e offuscare le frequenze delle emittenti a diffusione su onde corte.
I media nazionali, quelli con il maggiore bacino di diffusione, sono totalmente sottoposti a controllo e censura: il quotidiano Rodong Shinmun, l’agenzia di stampa Korean Central News Agency e la televisione nazionale JoongAng Bang Song. Ogni giornalista è indottrinato per restituire in maniera fedele l’ideologia del regime e denunciare il sistema occidentale, definito “borghese e imperialista” dai portavoce ufficiali di regime. I dissidenti sono puniti severamente: basti ricordare la drammatica vicenda dei “campi di reclusione forzata”, dove il giornalista colpevole anche di un solo errore di ortografia viene internato e costretto a “purificare” il proprio stile. In Nord Corea esistono ancora due tipi di gulag, che sopravvivono nel silenzio e nell’indifferenza del sistema politico internazionale: i kwan-li-so, colonie penali per i dissidenti politici dove avvengono i fatti più atroci; e i kyo-hwa-so, i campi di rieducazione temporanea. Song Keum-chul, della televisione di Stato, venne confinato in uno di questi veri e propri campi di concentramento nel 1995, per aver costituito e coordinato un piccolo gruppo di giornalisti che facevano dell’indipendenza e della libera critica le prerogative nella loro professione di informatori.
I media occidentali non stanno dando sufficiente spazio al dramma nordcoreano: tra le poche pubblicazioni di testimonianze esistenti bisogna ricordare quella dello storico e giornalista francese Pierre Rigoulet che, nel suo libro L’ultimo Gulag. La tragedia di un sopravvissuto all’inferno della Corea del Nord, riporta il racconto di uno dei superstiti. La propaganda mediatica di regime ha diffuso sul web un film biografico sul dittatore coreano, che lo presenta come “il rivoluzionario dei media popolari” e l’ispiratore dei giornalisti in uno dei rari siti Internet favorevoli al regime nord-coreano. Scorrono le sue immagini in visita alle redazioni mentre dà ordini ai redattori, corregge gli editoriali ed esprime la propria opinione sulla scelta di articoli e fotografie. La voce della radio sotto il controllo del regime diffonde con entusiasmo le iniziative del Partito, definendo la nazione “trionfante” sotto la guida di Kim Jong Il.
La presenza di media esteri in territorio nord-coreano è ridotta al minimo: sono meno di una dozzina gli organi d’informazione stranieri presenti, soprattutto cinesi. I giornalisti che hanno ottenuto un visto nel 2007 sono sempre stati sorvegliati da guide ufficiali, in un clima di costante tensione e controllo psicologico e professionale.
L’ideologia politica della Juche nordcoreana si basa sul pilastro dell’autosufficienza politica ed economica, legandosi in questo modo ad una soffocante chiusura che impedisce il confronto e l’arricchimento sociale e culturale con le realtà degli altri Paesi, attraverso una rigida pianificazione centrale e una politica di estremo isolazionismo. Nell’ultimo rapporto annuale, anche Amnesty ritiene la Corea del Nord una delle peggiori nazioni al mondo riguardo alla tutela dei diritti umani e al rispetto delle libertà fondamentali.
[vesna zujovic]
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