MEDIA E POLITICA

Il Dragone cinese conquista il globo a suon di propaganda

Strillare la retorica, di qualcosa o qualcuno, è un concetto che la storia ha largamente illustrato con la stagione dei grandi totalitarismi del Novecento, ma che sembra essere stata dimenticata da opinionisti illustri alla vigilia dell’annuncio della nuova rivoluzione mediatica cinese: 5 miliardi di euro di investimento per inaugurare una nuova emittente tv 24 ore su 24, stile Cnn o Bcc. Insomma reti all-news di propaganda di regime che abbracciano il globo intero. Questi toni possono rimandare alla memoria di apocalittiche visioni orwelliane, ma l’alba del Big Brother cinese sembra essere alle porte.

I tre grandi gruppi editoriali del dragone, la Central China Television, l’agenzia Xinhua e il gruppo editoriale del Quotidiano del popolo sono letteralmente scatenati sul fronte degli investimenti. Tra le novità della scalata mediatica c’è l’inserimento di canali e trasmissioni multi-linguistiche, dal russo all’arabo, andando così a collocarsi come diretto competitor con network come Al-Jazeera. L’ambizione del colosso asiatico è chiaramente quella di incrementare il bacino di utenza, fissato oggi a circa 84 milioni, in oltre 130 paesi. Ma è bene che la malizia dell’osservatore fondi le proprie preoccupazione a partire proprio da questi dati.

È chiaro che agli occhi delle società occidentali, la Cina necessiti di un buon intervento di maquillage mediatico. La questione tibetana, sebbene già dimenticata dalle bandiere del pacifismo europeo, così come l’avventura olimpica o l’ignoranza perpetua dei diritti umani, hanno lasciato un segno indelebile nel recente passato cinese e, certamente, il prezzo opinionistico pagato non è stato irrisorio. Serve dunque un colpo di ramazza e una bella spolverata per riqualificare a livello globale l’immagine del partito E cosa può essere migliore di una bella e globalizzante invasione del mercato mediatico? Non informazione dunque, bensì un’iniezione di propaganda diretta a illudere il pianeta. Già, perché non si tratta di una diffusione cinese destinata solo ai cinesi: la campagna di assunzioni dei network chiede solo giornalisti anglofoni. Non è detto, a priori, che l’operazione riuscirà, ma è sicuro che i cinesi ci stanno provando. E non è tutto: c’è un altro elemento che deve indurre il cittadino occidentale, se non a dubitare, quantomeno a interrogarsi. Nel corso della storia cinese questo è il primo vero adeguamento al sistema mediatico globale dopo la rivoluzione culturale di Mao. Ciò che è successo dopo è cosa arcinota. Non che ci ritroveremo ad apprendere surrogati del libretto rosso via satellite, ma bisogna prestare grande attenzione, senza cadenzare marce funebri anticipate, ma nemmeno suonando inni trionfalistici.

«L’intervento cinese consiste nel tentativo di modernizzare l’apparato mediatico nazionale che è gigantesco. Il paragone più calzante per comprenderne le dimensioni è quello della Bbc, un’organizzazione articolata con corrispondenti e collaboratori dappertutto e grosse risorse finanziarie». Lo spiega Beniamino Natale, direttore di Ansa Cina da Pechino. «L’operazione è enorme ma dubito che questi media riescano a sfondare nel mercato internazionale, perché si tratta di un sistema più di propaganda che di informazione. Difficilmente potranno competere sul mercato internazionale con realtà, come appunto la Bbc, che si muovono con molta più agilità. È un’iniziativa che suppongo sarà rivolta ai cinesi. È inutile parlare di informazione, perché tutto ciò che esce dalla Cina è super controllato». Che si rivolga ai cinesi o meno, la realtà ci pone comunque davanti all’ennesimo caso di uso moralmente discutibile dell’informazione. Che Joseph Goebbels sia ormai un orrido ricordo è cosa certa, ma attenzione a sottovalutare l’eredità lasciata dal ministero della propaganda.


[francesco cremonesi]

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