Nel teatro centinaia di persone ascoltano in silenzio gli interventi dei loro dirigenti. Tra i militanti il clima è teso e preoccupato. La Cgil non è mai stata così sola. Il Pd è troppo occupato a risolvere le sue beghe interne per poter difendere quella che, per anni, è stata la sua sigla sindacale di riferimento. Cisl e Uil hanno da tempo abbandonato la piattaforma comune per stringere patti separati con il governo. Bonanni e Angeletti hanno più volte descritto lo sciopero del 12 come un’iniziativa inutile. È anche vero, però, che la Cgil non è mai stata tanto forte. La crisi ha messo a rischio il posto di lavoro di professionisti e laureati che fanno “massa critica”, sanno come muoversi e hanno i mezzi e le conoscenze per imporsi con le istituzioni. Oggi in Italia 900mila persone rischiano di perdere il lavoro e a mezzo milione di precari, probabilmente, non sarà rinnovato il contratto. Questi potenziali nuovi poveri hanno cominciato a vedere nella Cgil una speranza per il loro futuro.
I rappresentati dei vari rami del settore lavorativo bocciano il pacchetto anticrisi, elaborato dal ministro Tremonti, in ogni suo aspetto. Gli attacchi più pesanti vanno alla social card. Definita dalla rappresentante della funzione pubblica, Marzia Oggiano, «un’elemosina che può essere utile a qualcuno ma che non risolve il problema». Perché, secondo la sindacalista, «una vera misura anticrisi dovrebbe occuparsi anche del ceto medio. Cioè di quella parte della popolazione che, negli ultimi anni, si è progressivamente impoverita». Secondo Maria Sciancati, segretario generale della Fiom di Milano, «il nostro destino è segnato: piccole imprese che non reggono e multinazionali che chiudono». «Invece che sugli slogan ottimistici - secondo la sindacalista -, per far ripartire i consumi, il governo dovrebbe puntare sugli ammortizzatori sociali». Sul palco si parla anche di Cisl e Uil, accusate da Carlo Mauri, rappresentante del settore finanziario, di portare avanti «un modello sindacale dei piccoli affari».
Quando il segretario generale, Guglielmo Epifani, sale sul palco la sala esplode in un lungo applauso. Il leader della Cgil lancia un segnale di distensione alle altre sigle sindacali: «Dobbiamo renderci conto che, soprattutto in tempi di crisi, i lavoratori pretendono unità». Poi riassume le richieste che la Cgil fa al governo e dice che, «in periodi come questo, c’è bisogno di una politica che non lasci il lavoratore solo con il suo destino. Altrimenti passerà il messaggio inverso: ognuno si arrangi come può». Chiuso l’intervento di Epifani, in centinaia escono ordinatamente dal teatro. Il popolo della Cgil è determinato a continuare la lotta anche senza le altre sigle sindacali. Convinto di avere dalla sua parte la maggior parte dei lavoratori italiani
[andrea torrente]
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