«Siamo qui per quello che dice la Cgil. Ma io sono qui soprattutto per alcuni motivi specifici». Con queste parole Simona giustifica la sua presenza alla manifestazione. «Sono un’educatrice scolastica. Mi occupo dei bambini che, per diversi motivi, sono stati segnalati dai servizi sociali. Con i tagli del governo io perderò il lavoro e molti alunni bisognosi non potranno più contare sul mio aiuto». Anche Rosi, un’insegnante della scuola elementare di Garbagnate, si lamenta dei tagli all’istruzione pubblica:«Il tempo pieno non è solo una questione di ore. Necessita anche di un organico consistente. Se ci tagliano il personale la nostra scuola diventerà solo un parcheggio per bambini».
Lì vicino c’è anche una rappresentanza delle Asl. «Siamo qui - spiega Roberto Rioli - per denunciare la non volontà delle istituzioni di far funzionare le cose. Nel mio ambiente di lavoro, 200 precari rischiano il posto. Senza di loro non potremmo più offrire alcuni servizi ai cittadini». Il sindacalista se la prende anche con le altre sigle, che definisce “servo-padronali”. «Nella Asl accade, in piccolo, quello che, a livello nazionale, succede in grande. Con la Uil si può anche parlare ma con la Cisl non c’è proprio niente da fare». Appena più indietro sfilano i chimici della Filcem. Anche per loro non è un bel momento. «Il settore farmaceutico non risente della crisi-spiega Fabio Trezzi -. Di sicuro la gente non decide di risparmiare sui farmaci di cui ha bisogno. Eppure molte multinazionali del settore stanno usando la difficile situazione economica come scusa per ridurre drasticamente il personale». Alla fine del corteo ci sono i rappresentanti della funzione pubblica. Il loro principale problema è sempre quello dei contratti di lavoro. Per uno di loro, Natale Cremonesi, «un aumento salariale di 60 euro al mese non sta al passo con l’inflazione. Il nostro settore si sta progressivamente impoverendo».
Sul palco le bandiere della Cgil sono issate a lutto e gli organizzatori portano sul petto il fiocco nero per ricordare i morti della Thyssen. L’iniziativa ha anche l’obbiettivo di ricordare quello che Gianni Ferré, della Franco Tosi di Milano, chiama «il quotidiano bollettino di guerra delle morti sul lavoro. Che conta, in media, 4 vittime al giorno». Prima del comizio, la piazza dedica un minuto di silenzio alle migliaia di persone che hanno perso la vita nei cantieri, nelle fabbriche e nei campi agricoli del nostro paese. Poi, sindacalisti e rappresentanti della società civile cominciano ad avvicendarsi al microfono per spiegare il loro punto di vista sulla situazione. Giuliana Marzi, dello Spi, ricorda che, «anche in tempi di crisi, i pensionati vogliono mantenere la loro dignità. Una dignità che però la social card calpesta, imprimendo uno stigma nelle persone meno abbienti. C’erano mille modi per evitare questo sgradevole motivo di vergogna». Alla vecchia sindacalista, sul palco, subentra un giovane acquisto della Cgil. Si chiama Elisabetta De Micheli ed è una dipendente del supermercato Il gigante. Ogni giorno lavora al fianco di «giovani precari che vivono continuamente sotto ricatto. In una condizione lavorativa che non offre loro nessuna tutela».
Alla fine prende la parola Morena Piccinini, una rappresentante della segreteria nazionale. A lei spetta il compito di riassumere, in una strategia sindacale unita, le innumerevoli richieste che, durante la giornata, sono emerse. E lo fa dicendo che «la crisi non è stata provocata dalla sfortuna. Ma da un sistema economico drogato, capace di speculare anche sui pochi risparmi della povera gente. Dobbiamo lottare per la creazione di un nuovo modello di società». L’autunno sta finendo ma le lotte dei lavoratori non sembrano raffreddarsi.
[andrea torrente]
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