Prof. Molinari , da quanto si conosce il disturbo da alimentazione incontrollata?
«Il binge eating disorder è una definizione diagnostica abbastanza recente, comparsa sui manuali medici alla fine degli anni ’80».
Come si manifesta?
«Si manifesta con abbuffate ricorrenti nell’arco della giornata. In alcuni casi l’assunzione del cibo è concentrata in determinati orari; in altri si presenta come un’alimentazione continua. Si tratta sempre di un fenomeno caratterizzato dalla compulsività perché è associato nell'atto del mangiare alla sensazione di perdita di controllo. La conseguenza è l'ingestione di un'elevata quantità di cibo ed un consistente aumento ponderale. Il Dai si inserisce nel più vasto capitolo dei disturbi alimentari quali anoressia mentale, bulimia nervosa e night rating discorde».
In che modo si differenzia dalla bulimia?
«Non ne presenta i comportamenti compensatori come il vomito o l’assunzione di lassativi»
Può colpire tutti?
«Se l’anoressia era un fenomeno prevalentemente femminile, i disturbi dell’alimentazione incontrollata colpiscono anche gli uomini, circa un terzo. C’è poi un innalzamento dell’età, oltre i 30 anni. In certi casi, però, ad esserne interessati sono anche i cinquantenni».
Questo impulso compulsivo verso il cibo ha una causa nota?
«In tutti i tempi, o anche nelle diverse fasi della vita, le persone cercano di compensare il proprio disagio interiore, la propria sofferenza psichica, con dei comportamenti di auto-cura.
Si potrebbe dire che i disturbi dell’alimentazione sono un facile palliativo per tenere a bada, o contenere, la propria sofferenza psicologica. Gli alimenti fungono, insomma, da “farmaco” facilmente reperibile. Detto questo, bisogna tenere conto che i disturbi dell’alimentazione hanno sempre un’origine complessa che associa fattori predisponenti, scatenanti e di mantenimento. I fattori predisponenti creano le condizioni di vulnerabilità ad una determinata patologia. E possono essere genetici, familiari e socioculturali. Tra i fattori scatenanti, invece, ci sono le difficoltà psicologiche e i condizionamenti sociali, come, ad esempio, l’ossessione dei massmedia per la perfezione del corpo. Infine, i fattori di mantenimento fanno in modo che il disturbo si autoperpetui in un circolo vizioso».
Come interpreta l'impennata del disturbo negli ultimi anni?
«Una spiegazione potrebbe trovarsi nell’anoressia. Perché si può resistere al digiuno solo fino ad un certo punto. Poi, l’istinto alla sopravvivenza e la fame hanno il sopravvento portando a comportamenti bulimici».
Perché è l’Italia il paese europeo più colpito dalla Dai?
«In realtà, l'Italia non è la più colpita dalla Dai, ma lo è dall’obesità. L’incremento ponderale sale (anche tra i giovani) man mano che si scende dal Nord al Sud. Probabilmente è dovuto al fatto che, oltre ad un’alimentazione non equilibrata, spesso viene a mancare un’adeguata attività motoria. Al Sud, per motivi culturali, si pratica meno sport che al Nord».
In che percentuale le cure portano ad una guarigione?
«È difficile dare una risposta perché non sappiamo in quanti si fanno curare. Chi affronta una terapia adeguata però ha buone probabilità di guarigione o di remissione del sintomo».
In alcuni casi l'anoressia può portare alla morte. Si può morire anche di disturbo dell'alimentazione?
«Non si muore ma si va verso l'invalidità. Ai disturbi psicologici si associano malattie metaboliche, cardiache, respiratorie e osteoarticolari».
In Italia ci sono sufficienti strutture sanitarie dedicate?
«I centri ci sono. Milano, ad esempio, ne ha alcuni di eccellenza. Tuttavia, il vero problema non è la creazione di centri specializzati. Bensì quello di motivare le persone ad un trattamento responsabile: se il paziente è motivato ad intraprendere una cura, nella maggioranza dei casi può essere sufficiente uno psicoterapeuta e un medico nutrizionista per raggiungere un buon risultato».
[ivica graziani]
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