Quello che mi colpisce subito è che il primo tema affrontato sia quello della paura di esibirsi a causa del giudizio del pubblico. È evidente che, nel pieno del suo boom, Allevi (o Giovanni, come i suoi fan lo chiamano), sia consapevole di essere bersaglio dei critici musicali. Conosce le invidie suscitate dal suo successo, sa che la sua musica getta lo scandalo nell’Accademia. Perfino suo padre lo spiazza, dopo aver ascoltato Evolution: «Torna a Milano e vai a studiare direzione d’orchestra».
Eppure non si nasconde, Giovanni. Al contrario, mette le sue ansie nelle prime pagine del libro, subito sotto gli occhi dei fan, prima di lanciarsi nell’appassionato (e un po’ megalomane) racconto del suo successo, partito tanti anni fa dal piccolo quintetto d’archi Gas Group, composto da Lucio il contrabbassista e da altri, e diretto da un Allevi appena licenziato dalla band di Jovanotti. Giovanni non nasconde le paure, perché sa che il panico, che non gli ha impedito il successo, è proprio ciò che lo rende un mito agli occhi della gente. La sua musica, e la sua umanità, sono i suoi mezzi per comunicare col mondo.
Giunge il momento del suo arrivo, chiudo il libro e mi avvicino al luogo dove avverrà l’incontro. Fa la sua comparsa da un’entrata secondaria, Allevi, ed è un po’ in ritardo. Ma è subito un torrente di emozioni. Fa fatica a trattenere la commozione al vedere la gente che gli si accalca intorno, e sorride a tutti. Chiede che gli si facciano delle domande. «Com’è stato lavorare con un’orchestra?» È stata un’emozione sentire concretizzarsi la musica che fino a quel momento suonava solo nella sua testa. Commovente che tanti musicisti talentuosi abbiano accettato di mettersi a disposizione per suonare la sua musica. «Hai avuto problemi a dirigere?». Il problema è imporsi come autorità, per chi non ha un carattere autoritario. La soluzione è lasciarsi guidare dalla Musica. «Come reagisce alle critiche dei suoi detrattori?». Gli fanno paura. Ma non sono le critiche il problema centrale. La novità spaventa sempre. Preferisce pensare ai messaggi sulla bacheca del suo fan club, che mostrano quanta gente abbia voglia di bellezza, quanti giovani trovino il coraggio per realizzare i propri sogni. Lui è solo un pretesto.
Giovanni risponde a tutti, per tutti ha una parola gentile, firma gli autografi e dispensa baci e abbracci. Falsa ingenuità o pura operazione di marketing? In effetti è difficile capire dove finisca l’Allevi umano e dove inizi quello commerciale. Però è anche difficile credere che le mani che tremano, le parole spasmodiche, il chiodo fisso per la sua “Strega”, la musica, e l’amore professato per il suo pubblico siano solo una trovata pubblicitaria. Comunque, quel che accade durante la fila per gli autografi è reale. Sono accanto a me due giovani fan, Federica e Daniele, 17 anni lei e 18 lui. Federica studia al Conservatorio. I due si sono conosciuti tramite il sito del fan club di Giovanni Allevi. Chiacchierano emozionantissimi dei concerti che hanno visto e delle esperienze che hanno condiviso grazie al loro mito. La loro emozione è reale. Chiedo a Federica cosa si dica di Allevi al Conservatorio. Mi risponde che piace ai ragazzi per la sua «novità», ma, ovviamente, molto meno agli studenti «più competitivi» e agli accademici, che «non ne capiscono la logica».
Mi giro indietro – incredibile ma vero – e vedo il contrabbassista Lucio, che fa la fila con gli altri. Nientemeno. Capello selvaggio, vestito casual, parlantina facile. Ha già attaccato bottone con due ragazze, conosciute proprio lì, nella fila, parlando di Giovanni. Le loro risate sono reali.
Mentre osservo la sfilata di fan che mi precedono nella fila, ecco l’idea: chiamo un mio giovane amico pianista, anche lui fan, e passo il telefono a Giovanni. «Ma lui lo sa chi sono?», mi domanda Allevi. «No», gli rispondo. Allora prende il telefono e saluta: «Ciao, sono Giovanni, come stai?…Giovanni Allevi…». Il mio amico dall’altra parte sta guidando. Quando riprendo il telefono devo dirgli di accostare e di riprendersi un attimo: è reale. Poi è la volta dell'autografo. Mi toccano il bacio e l’abbraccio rituale, ed è come rivedere un amico, prima di lasciarmi inghiottire di nuovo dai meandri del metrò. Adesso sorrido, e il mio sorriso è reale.
[floriana liuni]
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