Nella crisi di oggi, lo sguardo socioeconomico indaga i segni dei tempi che verranno e scorge un mutamento che avrà una portata simile a quelli che l’Italia ha già vissuto, dalla ricostruzione del dopoguerra, all’imprenditorialità di massa negli anni Settanta. Sarà, dice De Rita, «una metamorfosi selettiva di una minoranza vitale: una trasformazione di pochi oligarchica, ma per tutti». La selezione farà emergere «le imprese internazionalizzate, i piccoli imprenditori stranieri, le donne, sempre più professioniste, le culture urbane. Tutto ciò – prosegue il sociologo – si trova al Nord, dove avverrà il rinnovamento». In questo, la differenza con il Meridione ha radici profonde: «Reagire alla crisi sarà fondamentale e potrà farlo chi macina la Storia. Il Nord ha la coscienza di poter fare la Storia; il Sud la subisce, la ingoia. Al Nord prevalgono i criteri di responsabilità e iniziativa, che hanno già fatto la prima metamorfosi. Ora, però, la piccola impresa e il mondo del sommerso non bastano più». In concreto, per uscire dalla crisi, De Rita formula una ricetta cara al governo: «C’è l’ansia di tenersi la liquidità, una strategia attendista. Importante è invece la voglia di rigiocarsi qualcosa».
Giuseppe Roma, direttore generale del Censis analizza lo stato attuale: «È finita l’idea per cui siamo fra gli ultimi al mondo, ci siamo aperti a una dimensione internazionale. Ma la crisi rischia di mettere sabbia nel motore economico del Paese, che è da sempre la capacità di stare sul mercato straniero». I dati del rapporto Censis dicono che l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di piccole e medie imprese esportatrici: sono circa 200mila e nel 2007 hanno esportato beni e servizi per 448 miliardi di euro, più del 21% dell’export totale e al 29,2% del Pil. Roma spiega: «Non è una crisi come le altre: la paura e l’impressione per ciò che è in realtà avvenuto negli Stati Uniti ci bloccano. Invece, le nostre imprese sono le meno indebitate d’Europa, il sistema è solido e l’economia vitale. Soltanto l’8% delle persone dichiara che lavorerà di più per superare la congiuntura e le famiglie senza risorse sono solo quattro milioni su 24, non la metà, come è stato detto». Dei mutamenti sono in atto: «Le famiglie adottano un modello di temperanza per mantenere lo stesso stile di vita, vince il modello low cost. Aumenta la connessione fra le imprese, le filiere si rinserrano e c’è maggiore solidarietà». La situazione è difficile ma non grave, insomma: «Grandi metropoli come Milano devono pensarsi in grande, non come una delle cento città d’Italia. Il federalismo può essere un modo per far emergere al Sud una classe dirigente che non guardi più a Roma».
Idee in parte appoggiate da Giovanni Perissinotto, amministratore delegato del Gruppo assicurazioni Generali, intervenuto per la prima volta al rapporto: «C’è bisogno di infrastrutture – dice – ma per il federalismo non è il momento; ora sarebbe meglio avere un forte governo centrale, come quello americano che ha risposto bene alla crisi». Simile deve essere la ripresa italiana, «con uno Stato partner della vitalità produttiva. È auspicabile una protezione istituzionale delle grandi aziende». L’imprenditore parla anche di valori, ma non di quelli monetari: «La crisi deriva dalla ricerca esasperata del profitto veloce. Urge la riscoperta dei valori opposti alla scommessa speculativa: etica, flessibilità, responsabilità, professionalità e orgoglio di appartenenza».
[daniele monaco]
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