In realtà, Fini, Luciano Violante e Roberto Castelli (allora ministro della Giustizia), non hanno voluto dare la loro testimonianza su quei tre giorni, dal 19 al 21 luglio, in cui la Costituzione venne messa da parte, secondo gli autori. Il documentario osserva dal punto di vista di chi visse dall’alto, da ruoli istituzionali, quelle ore drammatiche, in cui, secondo Deaglio «venne messo in atto per la prima volta in Italia un modello di repressione che può sempre tornare buono». L’intento è dimostrare che tutto rispondeva a una logica militare golpista: 18mila poliziotti schierati, carceri svuotate per fare posto a cinquemila possibili arresti, duecento body bag pronte, l’ospedale di San Martino attrezzato a camera mortuaria, l’impedimento di ogni contatto con legali e familiari per i fermati, una campagna di tensione in cui si parlò persino di sacche di sangue infetto che i no global avrebbero lanciato negli scontri con la polizia.
Dal palco l’eurodeputato Vittorio Agnoletto (Prc-Sinistra europea) punta il dito contro l’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro che, in una telefonata con Bertinotti, definì l’operazione alla scuola Diaz «un normale controllo del territorio». La sua analisi è politica: «Era un uomo scelto dal precedente governo di centro sinistra e tutta la catena di comando delle operazioni non era la parte di destra della polizia. A Genova la polizia ha giurato fedeltà al capo del nuovo governo; l’episodio della scuola Diaz è il suo biglietto da visita. Quei funzionari sono stati tutti promossi e il centro-sinistra non ha neppure fatto una commissione d’inchiesta parlamentare». Lorenzo Guadagnucci è un reporter che la notte di sabato 21 venne malmenato dalla polizia nella scuola Diaz: «L’assoluzione dei funzionari e la condanna dei sottoposti fa passare l’idea che i capi si siano fatti “turlupinare” dai poliziotti semplici, che avrebbero organizzato tutto. Se poi sono stati addirittura promossi vuol dire che viviamo in una democrazia menomata o di tipo autoritario». L’autore di Noi della Diaz (Berti-Altrecononomia), si riferisce soprattutto a Francesco Gratteri, allora guida del Servizio Centrale Operativo della Polizia e ora capo dell’Anticrimine, che al processo Diaz si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Enrico Deaglio spiega che, nonostante l’approfondito lavoro di indagine, rimangono zone d’ombra. L’ex direttore di Diario dissente da Agnoletto: «Non si può dire con certezza che Placanica abbia coperto qualcuno più alto in grado». E da Haidi Giuliani: «I black block erano almeno 500, non di meno», «furono lasciati liberi di agire, ma non sappiamo se fra di loro vi fossero infiltrati». La Costituzione divenne carta straccia, ma per Deaglio il G8 fu «la prima esplosione di una democrazia visiva, nonostante per i giornalisti le condizioni fossero pessime. È così passata una doppia immagine degli scontri del G8 e il servizio trasmesso dal Tg1 il 26 luglio fu un buon atto di autonomia rispetto al governo, atto che sicuramente il governo non gradì». Quel servizio mostrava infatti le forze dell’ordine infierire su persone inermi, una realtà che Haidi Giuliani commenta così: «Quello di Carlo è stato l’unico gesto di resistenza, forse». Per arrivare a un’amara considerazione: «Sette anni fa ci impegnavamo per un mondo migliore, alternativo alla legge dei mercati globali. Oggi ci stanno facendo credere che questa sia l’unica realtà possibile e forse noi non stiamo combattendo abbastanza».
[daniele monaco]
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