DIRITTI UMANI

Dichiarazione universale tra realpolitik, Onu e Vaticano

C’è chi invoca un realismo che in pochi sono pronti a smascherare, nascosti dietro trincee fragili e retoriche ma fin troppo condivise per essere abbattute. Così, l’affermazione che il ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner, ha rilasciato al quotidiano Le Parisien in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, rischia di diventare un boomerang pericoloso per la stabilità diplomatica internazionale.

«C’è una contraddizione permanente tra i diritti umani e la politica estera di uno stato, perfino in Francia» ha sbottato così, forse neanche troppo ingenuamente, Kouchner, co-fondatore di Medici senza frontiere e storico battagliero per la difesa dei diritti dell’uomo, evocando quel pragmatismo per cui gli impegni solenni non sempre possono viaggiare paralleli a situazioni particolari e condizionamenti della diplomazia. Il quadro è chiaro: la realpolitik non lascia spazio ai diritti. Questa è la verità che tutti sapevano ma che nessuno diceva, almeno fino a ieri.
Ora resta da chiedersi, come fa nel suo fondo il Corriere della Sera, se è proprio da un ministro degli esteri in carica che possa arrivare così decisa questa ammissione. Perché quella di Kouchner pare non tanto una denuncia proiettata verso un riformismo che ci vorrebbe in materia umanitaria, ma piuttosto come una “rinuncia suicida”, una resa a mani alzate di una «contraddizione permanente» tra politica estera degli stati e diritti umani, che tale è e tale rimane. Aleggia un forte rischio dopo le parole del ministro, ed è quello che ci sia una sottintesa giustificazione dell’impotenza degli stati, che invece hanno l’obbligo imprescindibile di tutelare i diritti umani.

Ma, seppur con tutt’altro spirito, anche in casa nostra c’è chi non si è trattenuto dal sollecitare una maggiore corrispondenza tra le numerose convenzioni internazionali e la loro effettiva attuazione. È stato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che, in occasione del concerto in Vaticano per ricordare i 60 anni dalla Carta delle Nazioni Unite, ha sollecitato i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, a rinnovare l’impegno per la tutela dei diritti umani. Non si è risparmiato però nel sottolineare che «dobbiamo purtroppo constatare il profondo divario che ancora oggi separa le enunciazioni dei diritti dal loro effettivo esercizio», ribadendo il desiderio di un attivismo vero e non retorico dell’impegno giuridico in materia umanitaria.

Nella stessa circostanza hanno trovato eco anche le parole di Benedetto XVI che ha rivendicato la funzione debole e contingente dell’Onu, in un ambito in cui ,anche secondo il cardinale Renato Martino, ministro vaticano di pace e giustizia. «i diritti sono radicati in Dio, non nell’uomo o nello Stato». Dunque, deve essere chiara la natura che la Dichiarazione Onu propone rispetto alla dignità che è uguale e comune ad ogni uomo. «I diritti dell’uomo sono ultimamente fondati in Dio creatore – ha detto Ratzinger –. Se si prescinde da questa solida base etica, rimangono fragili perché privi di questo solido fondamento. La legge naturale, scritta da Dio nella coscienza umana, è un denominatore comune a tutti gli uomini e a tutti i popoli». Ma la polemica con l’Onu non si esaurisce qui: pur riconoscendo l’organizzazione come riferimento del dialogo interculturale, il papa ha ribadito che la pari dignità umana «è garantita veramente soltanto quando tutti i suoi diritti fondamentali vengono riconosciuti, tutelati e promossi». Ci sono principi non negoziabili come la tutela della famiglia, la sacralità della vita e la libertà religiosa ed educativa che devono trovare spazio sempre e ovunque.

A quanto pare, lo scontro tra Onu e Santa Sede resta aperto e stenta a trovare soluzioni comuni. Ma la bagarre, specie quando si parla di diritti umani, trova diversi sfidanti nella contesa. In attesa delle reazioni “post – Kouchner”, ammesso che ce ne siano, è buona cosa augurarsi che da questa provocazione nasca un vero dibattito, capace di detronizzare la casta dei buoni affaristi.


[cinzia petito]

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