APPELLO UNICEF

Bambini afghani come «zone di pace»

Salviamo i bambini dalla guerra e aiutiamoli a diventare adulti responsabili. È questo il senso dell’appello lanciato dall’Unicef, affinché tutte le parti impegnate nella guerra in Afghanistan considerino i bambini come “zone di pace”. Il direttore delle relazioni esterne di Unicef-Italia, Donata Lodi, ha spiegato così il vero obiettivo dell’appello: «Il nostro intento è quello di creare le condizioni per il superamento dell’utilizzo dei bambini-soldato, che in Afghanistan sta vivendo una fase di pericolosa recrudescenza».

La situazione sul territorio afghano è critica. Secondo gli ultimi dati Unicef, la mortalità infantile è di 165 per 1.000 nati vivi, e un bambino su quattro non arriva a compiere cinque anni. Come se non bastasse, 2 milioni di bambini in età di scuola primaria (60%) non vanno a scuola. Le cause sono diverse: si va dai disastri naturali alla scarsità di risorse e servizi. Un ruolo fondamentale, però, è sicuramente svolto dai conflitti intestini che devastano la regione da decenni, ai quali si è aggiunta, nell’ottobre 2001, l’invasione statunitense.

Come ricorda Kristine Peduto, specialista inchild protection dell’Unicef: «Nel conflitto i bambini sono fra i gruppi più vulnerabili», perché non hanno a disposizione alcuno strumento per proteggersi. Dal luglio 2007 al luglio 2008, la missione di assistenza dell’Onu in Afghanistan ha registrato 1722 civili morti negli scontri. Tra questi, anche se il dato non è precisato, il numero dei bambini ammonta a svariate decine. Essi sono particolarmente vulnerabili a due tecniche usate dai ribelli in Iraq e poi in Afghanistan: gli attacchi suicidi e i congegni esplosivi improvvisati, noti anche come roadside bombs (bombe collocate sul ciglio della strada).

Un aspetto davvero preoccupante è l’utilizzo dei bambini come combattenti, sia come veri e propri soldati, sia come kamikaze. Molto spesso, però, vengono impiegati come guardie, cuochi e servi personali dei comandanti. Anche le bambine non sfuggono alla malvagità dei ribelli, che abusano di loro soprattutto a livello sessuale.

Di fronte a questa situazione, l’appello dell’Unicef appare quanto mai appropriato. La responsabile “advocacy e campagne” di Save the children-Italia, Fosca Nomis, ribadisce così il concetto: «Lo scopo è proteggere i bambini da forme di abuso e sfruttamento, attraverso l’accesso ad un’istruzione di base e al successivo inserimento nei corsi scolastici pubblici». Questo è un impegno che l’Unicef ha assunto a partire dal febbraio 2004, attraverso la campagna di smobilitazione e reinserimento sociale di bambini soldato. Finora questo progetto ha fornito assistenza ad oltre 4mila ex bambini soldato. Il programma prevede un reinserimento incentrato sull’opportunità di istruzione e formazione al lavoro.

L’Unicef spera così in una maggiore collaborazione del governo locale. Donata Lodi non nasconde le difficoltà incontrate: «Il sostegno delle autorità locali è fondamentale e in Afghanistan sta mancando. Il governo di Kabul continua a mettere in secondo piano una questione centrale: scolarizzando gli adolescenti e fornendo loro un’altra prospettiva, attraverso la formazione al lavoro o grazie al fatto che offriamo loro degli standard di vita migliori rispetto a quelli che hanno, li sottraiamo alla sfera d’influenza dei gruppi combattenti».


[daniela maggi]

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