Il nuovo fronte si apre sulle stime di un contagio che aumenta con ritmi vertiginosi: secondo il più recente rapporto dell’Unaids (Agenzia delle nazioni unite per la lotta contro l’Aids) svolto su scala mondiale, ogni giorno si registrano 7.500 nuove infezioni, che si aggiungono ai 33 milioni di persone già colpite da Hiv. Restringendo il campo d’indagine al capoluogo lombardo, stiamo parlando di 750 nuovi contagi all’anno, circa due al giorno. Ma è forse la fisionomia dei soggetti che contraggono il virus il dato più inquietante e significativo: se una volta la malattia tabù era associata, nel pensiero comune, alla trasgressione, ora la piaga sembra sempre più insinuarsi nella “quotidianità più normale”. «Non più droga o rapporti omosessuali, ai quali è stata sempre legata l’idea del contagio – spiega Antonietta Cargnel, dopo una vita da primario all’ospedale Luigi Sacco di Milano, e ora presidente della fondazione Aids aiuto –; sono i rapporti eterosessuali non protetti la principale causa di trasmissione». In Italia, fra i soggetti più colpiti troviamo principalmente donne e cinquantenni: «È come se, da una certa età in poi, si cominciasse a prendere la vita con una certa leggerezza e ci si dimenticasse che il virus c’è e che il contagio è davvero dietro l’angolo per chiunque non si protegga», commenta Arnaldo Caruso, a capo dell’equipe di ricerca di Brescia che sta sperimentando il vaccino. «Il punto però –aggiunge – è che si è smesso di parlarne».
L’Aids non più di moda, insomma. Secondo uno studio della Swg, per il «Network persone sieropositive», la patologia da virus Hiv rappresenta addirittura l’ultima delle preoccupazioni degli italiani: solo il 5% dice di averne paura, contro il 20% del 1991. Il virus quasi dimenticato rischia però di diventare ancora più pericoloso: i farmaci retrovirali ci sono, è vero. Ma rallentano la malattia, non la guariscono: un particolare non da poco. Questo significa che il trend di scarsissima attenzione, non solo alla prevenzione del contagio, ma soprattutto ai test per l’Hiv, può comunque essere fatale: «In molti casi i pazienti scoprono di essere sieropositivi solo quando il virus è già allo stadio di malattia avanzata», spiega Giuliano Rizzardini, responsabile della prima e seconda divisione di malattie infettive del Sacco. Le conseguenze sono dunque pericolosissime: quando la malattia è galoppante le cure diventano sempre più difficili e il rischio di mortalità cresce esponenzialmente. Non solo: chi non sa di avere contratto la malattia la diffonde con più molta più facilità.
Gli studiosi quindi concordano: il primo passo per far fronte all’espansione a macchia d’olio della nuova epidemia è far rientrare l’Aids fra gli allarmi attuali. Occorre ricominciare a discuterne. Tornare a battere con insistenza il chiodo della prevenzione, sgomberando definitivamente il campo dall’idea che l’Aids riguardi l’universo un universo “altro” – come i Paesi in via di sviluppo, così come prostitute, tossicodipendenti e omosessuali – perché si tratta di un universo “nostro”.
[tiziana de giorgio]
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta questo articolo