Da un lato ci sono Tokyo, Osaka e Nagoya, gli agglomerati urbani più densamente popolati che riflettono l’immagine del Giappone cosmopolita e globalizzato; dall’altro ci sono le realtà di provincia che soffrono dello spopolamento e sono alla ricerca di un’organizzazione territoriale a misura d’uomo. La nuova architettura viene mostrata nelle quattro sezioni tematiche relative alla città (Urban Cycles), alla vita quotidiana (Life Cycles), ai centri culturali (Culture Cycles) e agli spazi abitativi (Life Cycles).
A partire da Tokyo, oggi le grandi città puntano ad essere spazi a misura d’uomo senza perdere la loro vocazione internazionale. In sostanza, il modello ideale della metropoli in espansione è ormai legato al passato decennio. Questo perché - a prevalere - sono i piccoli nuclei urbani, distribuiti equamente sul territorio, favoriti anche dallo sviluppo dell’edilizia privata. L’importante è che i nuovi micro-nuclei urbani siano collegati tra loro dalle nuove ferrovie ad alta velocità. Ecco che i nuovi edifici cercano di rispondere, prima di tutto, alle esigenze degli utenti. Come? Innanzi tutto tenendo conto dei valori paesaggistici complessivi, anche se la casa resta l’unità essenziale. Largo, quindi, ai materiali riciclabili per la costruzione, alla rivalutazione degli spazi tradizionali, alla reinterpretazione - con nuovi materiali - della tradizionale architettura sukiya, basata sull’uso del legno. Fondamentale resta la fiolosofia del fushin doraku, la realizazione del sé attraverso la costruzione della dimora intesa come villa, giardino e padiglione del tè.
Così, Parallel Nippon ci fa vedere un Giappone diverso. E questa è solo la prima di una serie di mostre sulla cultura giapponese che saranno realizzate a Milano nell’arco del 2009 con la collaborazione della Japan Foundation: e già da qui possiamo intuire come il Paese stia vivendo il ritorno al futuro. Le linee architettoniche vengono sempre più asciugate, ridotte a forme essenziali, linee rette e cerchi, i colori degli edifici sono il bianco o il nero, mitigati dal colore del legno onnipresente e dal verde di parchi e giardini, quando non dall’azzurro da piccoli stagni antistanti le strutture. Questo non è più un Giappone fluo, plasticato in stile manga, con la soffocante onnipresenza di Hello Kitty. La verità è che il Sol Levante non si gira più verso Banana Yoshimoto, ma torna all’essenzialità degli haiku di Bansho, il poeta del banano, e dei medievali templi di Kyoto, la sua città natale.
[alessia scurati]
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