«Credo che il confronto fra la protesta di oggi e il ’68 sia in qualche modo fuorviante», sostiene Fausto Colombo, docente ordinario di Teoria e tecniche dei media alla Cattolica di Milano. «È vero che ci sono ragioni di comparazione (per esempio il cammino parallelo della destra e della sinistra giovanili, salvo distinguo e separazioni), ma le radici sono molto diverse: prima di tutto – spiega il docente – il ’68 è un movimento globale agito dalla prima generazione mondiale di giovani che abitano un mondo popolato dalla televisione. Un movimento che coinvolge tutto il mondo, mentre questa protesta è invece un caso italiano, dovuto a ragioni nazionali». Prosegue Colombo: «In Italia il ’68 scoppia per la crisi di una scuola e di una università che l’esplosione demografica ha reso inadeguate e superate. Mentre ciò di cui ci si lamenta oggi è il degrado di quell’università di massa che dal ’68 è nata. Un degrado che non consiste nell’essere di massa, ma nell’avere smarrito il senso di una costruzione di cultura per larghe fasce della popolazione, proprio ora che questa è l’unica strada per affrontare le sfide dell’innovazione». «Infine – conclude il docente – in quell’università gli studenti vedevano i professori sostanzialmente dall’altra parte della barricata, e i genitori attoniti; mentre qui si ha la sensazione che tutti coloro che sono interessati a vario titolo nel sistema formativo, siano schierati insieme almeno nella critica e nella preoccupazione».
Enrico Deaglio, direttore di Lotta Continua dal 1977 al 1982 nonché ex direttore di Diario, ha vissuto il ’68 in prima linea: quell’anno era infatti iscritto alla facoltà di Medicina a Torino, dove si è laureato nel 1971. Lo scrittore, favorevole e solidale con l’attuale onda studentesca, non vede però troppe analogie tra la sua protesta e quella di oggi: «Il ’68 fu un movimento ideologico, che aveva come protagonisti persone che si rifacevano alla filosofia marxista. Noi inizialmente eravamo una cinquantina – racconta –, poi occupammo la facoltà e, addirittura, arrivammo ad occupare per sei mesi l’ospedale le Molinette di Torino». «Combattevamo contro l’autoritarismo degli accademici che avevano potere su tutto, volevamo abbattere quella realtà, volevamo poter crescere come medici». Deaglio, nonostante sostenga la diversità tra i due movimenti, trova però un punto in comune: «Anche se adesso la molla scatenante è il taglio dei fondi alle università, oggi come allora è la gioventù a ribellarsi: comune ai due movimenti è questa sorta di attivismo, dove persone giovani si uniscono per contestare un cammino preordinato per loro». L’ex direttore di Diario si scaglia infine contro la realtà attuale degli atenei italiani: «Gli studenti vengono trattate come persone inutili. La realtà è che il governo non ha alcun interesse nei confronti dell’università ed anziché investire del denaro, taglia i fondi. Oggi – conclude – per chi proviene da uno stato sociale non elevato, per chi non ha “santi in paradiso”, è difficile diventare ricercatore e fare carriera all’interno delle università».
All’interno della Chiesa la voglia di rinnovamento sfociata nel ’68 era già cominciata qualche anno prima, come spiega Vittorio Bellavite, ex studente della Cattolica e portavoce di Noi siamo Chiesa, un ordine indipendente sia dalle strutture gerarchiche della Chiesa, sia da ordini o congregazioni religiose: «Il cambiamento della Chiesa è cominciato prima, con il Concilio Vaticano II indetto da papa Giovanni XXIII nel 1959 e aperto a partire dal 1962. Il movimento del ’68 si è dunque inserito in una riforma della Chiesa già avviata. Con l’avvento di Paolo VI però – continua Bellavite – questo rinnovamento si è arrestato; in particolare, a partire dagli anni ’70 e, più precisamente, dopo il sì al referendum sul divorzio del ’74». In Cattolica i primi episodi di malcontento scoppiano già a partire dal 1962/63: «Bloccammo l’inaugurazione dell’anno accademico e per la realtà di allora era una cosa impensabile e scandalosa», spiega Bellavite, che conclude: «Gli insegnamenti erano tradizionali, accademici, i docenti distanti da noi e poco comunicativi. Noi ci identificavamo nei cattolici-democratici e cozzavamo contro una struttura gerarchica e una cultura clericale che era propria della nostra università». E, a proposito dell’Onda, lo giudica un movimento per certi versi simile al ‘68, che conta sulla voglia di protagonismo degli under 30.
E, a dare una ulteriore scossa all’Onda, uno studente di 17 anni muore a scuola per il crollo di un controsoffitto, in classe. Subito infuria la polemica, tra l’opposizione che accusa il governo e Berlusconi che definisce il crollo «una drammatica fatalità». Subito il ministro Gelmini mette una toppa a un sistema che fa acqua da tutte le parti: «Di fronte ai 10mila edifici scolastici non sicuri, il governo ha il dovere di rivedere i meccanismi di spesa e spostare risorse sugli investimenti». Doveroso intervenire subito o l’Onda diventerà una frana inarrestabile.
[cesare zanotto]
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