La questione è che Dallas è tornata a far parlare di sé nel trentesimo anniversario della messa in onda della sua prima puntata. In questi giorni i primissimi episodi della prima stagione vengono trasmessi da Hallmark Channel, visibile sulla piattaforma Sky. Per questo all’Università Cattolica di Milano si sono ritrovati a parlarne Aldo Grasso, docente di storia della televisione, Maria Rosa Mancuso, giornalista della terza pagina del Foglio, e Luca Federico Cadura, responsabile di Hallmark Channel in Italia. Era, appunto, il 1981. In quel tempo la Rai acquistò le prime cinque puntate di una soap opera dal nome evocativo di Dallas, il luogo noto al mondo per l’attentato al presidente Kennedy. Nel 1981 la televisione aveva trasmesso le immagini di altri due attentati, quello a Reagan e quello a papa Giovanni Paolo II. Successivamente c’era stata la tragedia mediatica di Vermicino che aveva tenuto incollato il pubblico allo schermo. Arriva dunque Dallas e sconvolge la concezione italiana della tv didascalica che deve educare. Silvio Berlusconi ne approfitta: vola a Los Angeles con il libretto degli assegni alla mano, compra tutte le puntate della soap e inventa la controprogrammazione. Dallas, programmato bisettimanalmente nelle giornate in cui la Rai trasmette programmi a modesta audience, fa decollare gli ascolti della neonata Canale 5, inaugurando l’era del duopolio televisivo.
La sceneggiatura introduce due novità destinate a fare la storia della televisione: una vicenda imperniata su personaggi cattivi e una rivalità familiare riconducibile all’archetipo di Caino e Abele (nella fattispecie, il noto JR e Bobby Ewing). I personaggi fondamentali sono cristallizzati nella loro cattiveria immutabile per 13 serie e 357 episodi, riversata su personaggi- vittima: in primis, Pamela, la moglie di Bobby. I modelli dei personaggi sono da rintracciare nella tradizione melodrammatica, che, secondo una definizione di Fassbinder, mette in scena un cattivo molto cattivo e un innocente molto innocente. Le trame rispondono all’estetica dello stupore, diversa dall’estetica dell’immedesimazione da romanzo. Il melodramma, infatti, è quel genere che fa gridare allo spettatore «Stai attento!» quando l’innocente è in pericolo. JR è la personificazione anni Ottanta del tiranno da melodramma: un personaggio crudele, perfido e abominevole il cui ruolo è solo quello di mettere alla prova la pazienza e la virtù delle vittime. Più che una soap, insomma, Dallas è diventato un caso e un cult, al punto tale da avere risvegliato gli interessi degli accademici da entrambi i lati dell’Atlantico. Professori universitari in Francia e negli Stati Uniti pubblicano ricerche sulla serie.
E in Italia? Il modello televisivo prefererito resta la fiction in due parti, più facile da realizzare per le case di produzione prive del potere economico delle corrispondenti americane. Negli Usa, invece, saghe come Beautiful riprendono il modello della famiglia problematica che incolla lo spettatore allo schermo per migliaia di puntate. La televisione italiana ha così spostato il filone melodrammatico nei talk show, dove la cattiveria e l’indugio nella crudeltà fanno schizzare gli ascolti. Gli eredi di Dallas sono, insomma, Matrix e Porta a Porta. Senza, purtroppo, un mattatore infame come JR Ewing, l’uomo che amiamo ancora odiare.
[alessia scurati]
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