CRISI OCCUPAZIONALE

I miei primi 40 anni (di lavoro)

Qualcuno la definisce midlife-crisis, qualcuno la chiama semplicemente “crisi dei 40 anni”. La perdita del lavoro tra chi transita nella cosiddetta “mezza età” in Italia è un fenomeno diffuso, che spesso trascina con sé implicazioni ben più gravi e non necessariamente riconducibili alla sola dimensione salariale. Chi si ritrova senza un’occupazione in questa fascia d’età deve fare i conti con realtà lavorative non sempre disposte ad accogliere e ricollocare i soggetti che vivono questa fase di transizione. Gli esperti ritengono che la tendenza all’espulsione di figure professionali ritenute ormai “obsolete” sia assimilabile ad aspetti macro, spesso riconducibili anche agli assetti politico-economici e alla situazione di instabilità generale, che fa respirare precarietà un po’ ovunque. E l’esperienza pregressa non basta a giustificare la permanenza in azienda di figure che il mercato del lavoro addita come pezzi d’antiquariato.

Il passaggio dall’età della giovinezza a quella della maturità implica di per sé una crisi che è prima di tutto personale. La svalutazione professionale è spesso direttamente proporzionale a una svalutazione di sé connessa a situazioni che possono sfociare, nei casi più gravi, in forme depressive. Ai drammi esistenziali dei soggetti in questa fascia d’età si aggiungono anche quelli che gli esperti chiamano stereotipi cognitivi. Uno tra tutti è quello dell’ageism, secondo il quale il lavoratore anziano diventa obsoleto e perde di efficienza. Alla stregua di un qualsiasi oggetto high-tech, dopo un periodo di utilizzo, inevitabilmente il lavoratore va sostituito. E, in quest’ottica, il gran numero di laureati sfornati quotidianamente dalle università risulta funzionale a un ricambio costante di personale, con un notevole risparmio economico e la resa ottimale di chi si approccia con entusiasmo alla professione. Tutto sembra, insomma, andare contro al 40enne che, per i motivi più disparati, si ritrova senza un’occupazione. Sentore, questo, che sembra essere anche piuttosto condiviso. Otto persone su 10 pensano, infatti, che un over 40 abbia meno opportunità di trovare lavoro rispetto ai candidati più giovani. Ed è questo uno dei motivi per il quale si tende a puntare sui cosiddetti talenti, che le nuove realtà lavorative ricercano e selezionano con accuratezza.

Se per le donne ritrovarsi a 40 anni senza un lavoro costituisce anche un espediente per concentrare maggiori energie sulla famiglia, dedicandosi per periodi più o meno lunghi ai figli e alla casa. Per l’uomo, invece, spesso non esiste un ripiego in grado di giustificare il proprio fallimento e la conseguente uscita dal processo produttivo. Il 40enne che, suo malgrado, rinuncia alla carriera deve mettersi in discussione in prima persona per trovare una nuova collocazione personale, anche all’interno degli spazi domestici. Sentirsi d’intralcio e percepirsi come “di troppo”: sono questi i sentimenti più diffusi tra gli uomini licenziati appartenenti a questa fascia d’età che stazionano in una sorta di paralisi. Il desiderio di carriera nella donna è spesso scatenato da esperienze personali deludenti. Così, il fallimento di un matrimonio può essere letto in chiave positiva dal punto di vista professionale: la donna che non si sente realizzata attraverso la famiglia trova nel lavoro nuove occasioni per esprimere sé stessa.

La mancanza del lavoro implica anche la perdita di riferimenti legati alla dimensione quotidiana. Uno degli aspetti più evidenti è la progressiva carenza della strutturazione del tempo quotidiano. Abituato ai ritmi scanditi dalla giornata lavorativa, il licenziato perde la cognizione del tempo e progressivamente rinuncia alle forme di socialità e aggregazione, tipicamente da ufficio. A partire dalla metà degli anni ’90 le stime parlano di migliaia di espulsioni di lavoratori considerati “maturi” e il dato attuale individua oltre 600mila disoccupati tra gli over 40, che cercano di ricollocarsi professionalmente. In una società che ricerca teste giovani e dove sembrano trovare posto solo i presunti talenti, trovare una nuova posizione in ambito lavorativo può presentare non poche insidie. Riprendere in mano il proprio curriculum vitae e affrontare un colloquio dopo anni di inattività è per molti uno scoglio difficile da superare. Investire in formazione, imparando anche a proporsi in maniera diversa può rappresentare il vero punto di svolta.


[roberto usai]

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