«Il reddito da solo è un indicatore generico – ha spiegato Ugo Arrigo, docente di Scienza della finanza pubblica all’università Bicocca di Milano – ma devono essere considerate altre variabili». «Quando si fanno queste indagini non viene tenuto in considerazione il livello dei prezzi ma solo la distribuzione del reddito. Se si considera la differenza di prezzi nelle regioni italiane e il potere d’acquisto delle famiglie in ognuna di esse il concetto di soglia di povertà cambia molto». L’Istat ha rilevato nel suo rapporto che il fenomeno di povertà relativa è maggiore nel Mezzogiorno dove l’incidenza è quattro volte superiore al resto del Paese. La diffusione risulta maggiore nelle famiglie con tre o più figli e nelle famiglie con componenti anziani». «Le famiglie al Sud sono più numerose rispetto alla media nazionale – ha detto Arrigo – ma il loro potere d’acquisto potrebbe essere uguale o anche maggiore a quello delle famiglie del Nord perché i prezzi sono più bassi. Inoltre le famiglie numerose abbassano certi consumi, soprattutto quelli di tipo domestico, rispetto alle famiglie con due persone». Le sfumature del fenomeno si moltiplicano se si considerano altri fattori come il luogo in cui una famiglia vive, in una città piuttosto che in un paese, oppure l’emergere di bisogni straordinari che aumentano le spese di un nucleo famigliare. «L’aumento di consumi e prezzi è direttamente proporzionale alla complessità del luogo in cui si vive. Chi vive in città – per fare un esempio – porta i figli a scuola in macchina mentre nei paesi si può tranquillamente andare a piedi. Nelle città, in generale, i consumi sono maggiori e i prezzi più alti». «Oppure quando insorge un problema grave di salute le spese mediche aumentano e possono incidere di molto sul reddito di una famiglia. Questi sono fattori che sovrastimano il concetto di povertà relativa».
I primati non vanno tutti al Mezzogiorno: al Centro-Nord è più diffusa la povertà tra gli anziani che vivono soli e anche le famiglie di monogenitori mostrano una povertà più diffusa. Le famiglie con a capo una donna sono quelle più colpite dal fenomeno: il 48% e il 23% delle famiglie povere con a capo una donna sono anziane sole e monogenitori. «In Italia, come in altri paesi europei e in particolare in Inghilterra, esiste il fenomeno delle mamme single – ha spiegato Ferdinando Targetti, docente di Politica economica alla Bocconi –. I nuclei familiari con a capo una donna sola sono a rischio povertà relativa perché hanno un solo reddito per il sostentamento. Il fenomeno non riguarda soltanto le donne ma sempre più uomini soli a capo di una famiglia». I dati Istat hanno confermato la stabilità della povertà tra il 2006 e il 2007, sia a livello nazionale che regionale. Unico miglioramento è quello della Toscana le cui famiglie hanno subito un abbassamento dell’incidenza di povertà (dal 6,8% al 4%). Le regioni dove non si sono visti miglioramenti sono la Basilicata e la Sicilia che si trovano in ultima posizione. «L’Italia è uno dei Paesi europei che ha maggiori disuguaglianze nella distribuzione del reddito – ha detto Targetti –. Negli ultimi anni cresce a tassi molto bassi e non stupisce quindi che molte famiglie si trovino in una situazione di povertà relativa». Un fenomeno nuovo è apparso in questi ultimi anni, quello dei poveri che lavorano: «Fino a vent’anni fa erano poveri i disoccupati e, chi aveva un lavoro, riusciva a sostenere con il suo salario le spese della famiglia. Questo perché i salari erano più uniformati rispetto a oggi e il lavoratore poteva contare su maggiori tutele sindacali. Oggi, invece, c’è una dispersione salariale e il precariato è sempre più diffuso: per questo sempre più famiglie rischiano di rientrare nella soglia di povertà relativa».
[michela nana]
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta questo articolo