«Le donne in Italia hanno iniziato, solo di recente, a lavorare molto di più – commenta Eugenio Zucchetti, professore associato presso la facoltà di sociologia dell’università Cattolica di Milano –: questo perché resiste ancora un modello familiare in cui la divisione dei ruoli è sempre più rigida, e l’uomo è visto come il procacciatore di reddito». In realtà, chi ne risente maggiormente, secondo Zucchetti, è la famiglia stessa, poiché, «dovendo la donna gestire una doppia vita, dentro e fuori la casa, il risultato è un clima sempre più acceso di tensione e di stress, in cui a farne le spese, sono per primi i figli». «Nel nostro paese – riprende Zucchetti – purtroppo si avverte fortemente la mancanza di politiche sociali adeguate, dagli asili nido alle case per anziani, agli aiuti per gli invalidi, a differenza di quanto accade in altri paesi europei, in un’ottica di work-life balance. Le donne sono sovraccaricate di compiti, mentre gli uomini quasi per nulla, e si vedono spesso costrette a rinunciare a una realizzazione fuori dalle mura domestiche, con forti ripercussioni sull’economia nazionale e sul mercato del lavoro. Paradossalmente, meno le donne lavorano, meno posti disponibili si creano».
Gli asili nido, in questo senso, giocano senza dubbio un ruolo di primo piano, specie quelli aziendali, assolutamente un vantaggio notevole per le mamme lavoratrici. Il part-time, invece, potrebbe rivelarsi addirittura, in alcuni casi, deleterio: «La modalità di lavoro part-time – ha illustrato Zucchetti – è una caratteristica tipicamente femminile e ha sicuramente aiutato negli ultimi anni la condizione delle donne-mamme. Ma il rovescio della medaglia è che esso conduca ad una marginalizzazione del gentil sesso, cristallizzato nella figura della lavoratrice a tempo ridotto, impossibilitata, o sicuramente svantaggiata, nei confronti di eventuali avanzamenti di carriera».
Diverso è invece il parere di Michele Colasanto, direttore del dipartimento di Sociologia dell’università Cattolica di Milano. «Lavorare per le donne è una “scelta”, nel senso che bisogna valutare attentamente i casi in cui il secondo stipendio è una necessità e quelli in cui, al contrario, si tratta di una precisa volontà di affermazione. È senz’altro fuori discussione che la casa e la famiglia risentano maggiormente di una mamma-moglie che per la maggior parte del tempo è assente». In Italia purtroppo, continua Colasanto, il problema maggiore è quello dell’assenza di politiche di conciliabilità che consentano alla donna di destreggiarsi tra le due dimensioni. «Aziende e sindacati non sempre tengono conto del fatto che una donna che lavora è, nella maggior parte dei casi, una donna che ha famiglia. E quasi mai, soprattutto per la fascia della prima infanzia, i servizi offerti riescono a soddisfare le richieste e le esigenze delle mamme. Tra l’altro è sì necessario che l’educazione dei bambini inizi presto, per aumentare il loro livello di istruzione e le possibilità future, ma bisogna capire quale sia esattamente il momento giusto. Altrimenti si rischierebbe di ottenere l’effetto contrario».
[viviana d'introno]
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