COMUNICAZIONE E LEGALITÁ

Più informati, meno corrotti

Riscoprire il valore della legalità e della giustizia e restituire al giornalismo un valore nella società civile nella lotta contro la criminalità organizzata. È questo il tema del convegno, organizzato dall’associazione Studenti amici dell’università Cattolica e dal settimanale online di cultura Fusi Orari.org, dal titolo Il valore sociale dell’informazione contro corruzione e malaffare.

Fausto Colombo, docente di Teorie e tecnica dei media all’università Cattolica, ha affermato che il mondo dell’informazione vive in questo periodo un grande moto di trasformazione: «I grandi media mainstream interagiscono con i nuovi media orizzontali, dove i cittadini possono partecipare attivamente. Affermare che questo può portare a un miglioramento della democrazia dell’informazione è un discorso banale, perché la vera democrazia si ottiene con l’impegno civile di tutti». Una necessità, questa, che Rita Borsellino conosce molto bene, avendo sperimentato sulla propria pelle l’uccisione del fratello Paolo da parte della mafia. Costretta a casa per un problema a una gamba, la Borsellino è intervenuta telefonicamente: «La mia azione civile ha avuto inizio dopo essere stata vittima della violenza di mafia, perché ho capito che il lavoro di mio fratello doveva essere portato avanti. Ci sono tantissimi giornalisti, magistrati, sindacalisti che combattono ogni giorno per ricercare la verità e purtroppo molti di questi hanno perso la loro vita a causa del loro impegno. La nostra attenzione deve essere una scorta per questi uomini e queste donne: dobbiamo parlare e far sentire la nostra voce perché la mafia vorrebbe che noi restassimo sempre in silenzio».

Un problema che Vincenzo Consolo, scrittore siciliano e inviato del quotidiano L’Ora di Palermo, conosce molto da vicino, avendo lavorato e vissuto in una terra dove la mafia ha spesso soffocato la libertà d’informazione: «In Sicilia non esiste la verità perché la mafia non vuole che si sappia. A L’Ora ho avuto la possibilità di conoscere un grande cronista come Mauro De Mauro, assassinato dalla mafia mentre indagava sulla morte di Enrico Mattei». Storie, quelle dei giornalisti siciliani uccisi, che il giornalista Luciano Mirone ha raccolto nel libro Gli insabbiati: storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza. Otto storie, tra cui quelle di cronisti famosi come Mauro Rostagno e Giuseppe Fava, ma anche di giornalisti dimenticati, come il giovane Cosimo Cristina. «La mafia uccide due volte: prima fisicamente, poi moralmente. L’idea di scrivere questo libro è nata quando, dopo la morte di Giuseppe Fava, si pensò che il suo delitto potesse avere uno sfondo passionale, perché era un dongiovanni. La mafia non solo lo aveva ucciso, ma cercava di demolire tutto quello che di grande aveva fatto nella sua vita. Con questo libro ho cercato di riabilitare la moralità di questi giornalisti, che hanno combattuto con verità e giustizia».

La lotta contro la mafia non passa solo dalle redazioni dei giornali, ma soprattutto nelle aule dei tribunale, dove magistrati come Luigi De Magistris si sono spesso trovati a scontrarsi con la commistione tra politica e criminalità organizzata. Alla richiesta di parlare della sua esperienza, De Magistris si trova costretto a non poter commentare: «Non posso parlare perché le inchieste sono tutt’altro che chiuse. Parlerò solo alla fine di questa vicenda, quando, finalmente, potrò confrontarmi con la società civile. Un magistrato, per essere veramente tale, deve essere sempre aperto alle dinamiche sociali». È importante, secondo De Magistris, restare ancorati alla nostra Costituzione: «Il significato della Carta può essere svuotato anche con la legislazione ordinaria. La libertà di informazione e l’indipendenza della magistratura devono sempre essere tutelati. Bisogna spaccare la cappa dei poteri forti, tra cui, non solo quello politico, ma anche quello economico e finanziario».

Una questione, quella della corruzione nella politica, che in Italia si discute dal crollo della prima Repubblica. «Ancora oggi non riusciamo a lasciarci alle spalle Tangentopoli», dice Alberto Mattioli, vicepresidente della Provincia di Milano. «Nel 1993, quando sono entrato per la prima volta nel consiglio comunale di Milano, c’era una mentalità che tendeva ad avallare queste pratiche corrotte, affermando che la politica è sempre stata così, che non c’era bisogno di scandalizzarsi. Invece la politica deve essere trasparente, deve parlare chiaro ai cittadini e l’informazione deve aiutarci in questo. Spesso i politici fanno finta di niente, girano la testa, si nascondono piuttosto che affrontare i problemi: questo è un comportamento che non fa altro che facilitare la commistione tra mafia e politica. I politici devono prendersi le responsabilità di ciò che fanno, ma soprattutto di quello che dicono: la parola è il fondamento del dialogo e il dialogo il pilastro della democrazia».


[alessia lucchese]

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