La Lombardia è una delle aree italiane con il maggior numero di donne uccise dagli ex partner, eppure manca una legislazione specifica che tuteli le vittime dei maltrattamenti domestici e sostenga l’operato dei 13 centri antiviolenza della Rete lombarda. Ogni anno sono circa 2mila le donne che si rivolgono ai vari punti di accoglienza sparsi sul territorio e i dati raccolti dal Centro aiuto donne maltrattate (Cadom) di Monza parlano di un trend in crescita continua, anche se solo l’11% delle vittime trova il coraggio di sporgere denuncia.
«La prima rilevazione dell’Istat sulle violenze domestiche risale al 2006. Prima il nostro era l’unico ente lombardo che si occupasse di monitorare la situazione – spiega Patrizia Villa, responsabile del Cadom monzese –. I numeri parlano di donne che sono per la maggior parte italiane o conviventi con italiani e hanno in parecchi casi un ottimo livello di istruzione. Questo sfata i pregiudizi secondo cui la violenza tra le mura domestiche avrebbe sempre un colore etnico diverso dal nostro e non interesserebbe laureate o addirittura plurilaureate». Secondo le operatrici dei centri di aiuto, il molestatore-tipo è vicino alla vittima (nel 98% dei casi si tratta del marito o del convivente), conduce una vita normale (cosa che spesso impedisce alla donna di essere creduta) e spesso guadagna cifre irrisorie, facendosi licenziare al primo sentore di richieste di risarcimento economico da parte della moglie maltrattata. I reati denunciati hanno subito un’evoluzione nel tempo: si è passati dalle violenze fisiche a quelle psicologiche, per approdare al cosiddetto stalking o sindrome del molestatore assillante, che attualmente interessa la maggioranza delle donne assistite nei centri lombardi. Si tratta di un’autentica persecuzione, fatta di telefonate, pedinamenti e apparizioni improvvise che inizia all’interno del rapporto e poi si protrae anche quando la lei di turno decide di troncare la relazione. A causa del vuoto legislativo sulla questione, però, lo stalking non è ancora considerato reato e quindi gli interventi delle forze dell’ordine non possono essere risolutivi. «Servono norme ad hoc – commenta Marisa Guarneri, presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano –. Tempo fa c’è stata una proposta di legge contro lo stalking, ma dopo essere stata approvata dalla Camera si è inspiegabilmente arenata. Se muoiono degli operai sul lavoro, i processi legislativi subiscono un’accelerazione, mentre le donne uccise in casa dai loro stessi familiari non suscitano reazioni in questo senso. Mi domando il perché». Il primo tavolo istituzionale organizzato in Lombardia sulla violenza contro le donne chiede l’approvazione di un progetto di legge regionale che preveda: la predisposizione di azioni di contrasto contro la violenza sulle donne e i minori; il riconoscimento delle competenze e delle attività svolte dai centri antiviolenza; l’attivazione di percorsi che permettano agli enti locali di sostenere le donne vittime di ogni forma di violenza, i figli minori e le loro famiglie, anche attraverso il reinserimento sociale e lavorativo; l’istituzione di un fondo regionale di finanziamento specifico per queste iniziative. Un primo passo è rappresentato dal progetto di legge depositato nei giorni scorsi dal gruppo regionale del Partito Democratico, intitolato Istituzione del fondo regionale di finanziamento per le case delle donne, servizi e centri antiviolenza delle donne. Sentendosi concretamente aiutate, molte donne che vivono situazioni di profondo disagio e non hanno ancora denunciato i molestatori potrebbero finalmente trovare il coraggio di farsi sentire.
[lucia landoni]
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta questo articolo