I Cobas: «Ecco perché non arriva la vostra posta»
Se la posta non arriva… non è colpa nostra. Prendetevela con i politici». Firmato: i lavoratori dei centri di smistamento di Peschiera Borromeo e di Roserio, i due più importanti d’Italia. Gli operatori del servizio postale aderenti ai Cobas della Confederazione unitaria di base (Cub) hanno scelto di alzare la voce e di istituire un presidio di fronte alla sede regionale lombarda delle Poste Italiane per spiegare ai milanesi come mai le loro lettere non arrivano a destinazione. Dei disservizi del sistema postale made in Italy si fa un gran parlare da sempre, ma nelle ultime settimane la situazione è precipitata e al centro di smistamento di Roserio sono arrivate persino le telecamere di Striscia la notizia. I chili di posta inviata direttamente al macero rappresentano però purtroppo solo la punta dell’iceberg e i lavoratori non ci stanno più.
«Vogliamo difendere la nostra reputazione e chiarire una volta per tutte quali sono i motivi che stanno alla base dello sfascio del sistema postale italiano – spiega Giovanni Pulvirenti, rappresentante sindacale del centro di Peschiera Borromeo –. Innanzitutto bisogna dire che la responsabilità principale è dei politici che, nel 1993, hanno votato la legge di trasformazione delle Poste in Società per Azioni a scopo di lucro e non di servizio. Da allora si sono succeduti amministratori privati che, non sapendo nulla della concreta gestione del servizio postale, si sono limitati ad applicare le direttive provenienti dall’alto per dichiarare gli utili economici di fine anno». Risultato: riduzione del personale di oltre 70mila unità, passando dai 220 mila addetti del 1994 ai nemmeno 150mila attuali, e chiusura dei centri di smistamento dei capoluoghi provinciali lombardi, ad eccezione di quelli di Milano e Brescia. Il territorio da coprire con le consegne è però ovviamente rimasto lo stesso e i lavoratori mancanti sono stati sostituiti, nel corso degli anni, con una girandola di 30mila precari. Questi vengono assunti a rotazione con contratti di due o tre mesi e licenziati, secondo i sindacati, non appena acquisita l’esperienza necessaria. «Le Poste svolgono un servizio universale e non una banale attività commerciale – continua Pulvirenti –. Lavoriamo in una infrastruttura di interesse nazionale e strategico con macchinari spesso appariscenti, ma assolutamente inadeguati, che commettono errori a cui si può riparare solo grazie agli addetti allo smistamento manuale». I Cobas puntano il dito anche contro i sindacati maggiori, conniventi con le Poste e incapaci di tutelare i diritti dei lavoratori, che spesso vengono costretti al part-time nonostante le giacenze. Per migliorare la situazione, gli operatori delle Poste chiedono ai politici di fare un passo indietro e di non procedere verso la completa privatizzazione del servizio. «Non vogliamo fare la fine di Alitalia», dichiarano i loro portavoce. Insomma, il messaggio che arriva forte e chiaro dal presidio di piazzale Cordusio è questo: se le Poste finiscono in mano ai privati, la nostra posta finisce al macero.
[lucia landoni]
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