TEATRO

Lella Costa è Amleto

Un Amleto per chi ha voglia di andare oltre la storia e il teatro: è così che lo racconta Lella Costa. Vestita di stelle dallo stilista Antonio Marras, responsabile dei costumi, è sola su un palcoscenico dalla scenografia da day after: pavimento di legno sfondato e inclinato, sedia rovesciata, poca luce. La dichiarazione di intenti arriva nei primi minuti: fare del teatro di indagine, cercare l’origine della storia, di molto anteriore all’epoca di Shakespeare.

Ci sono riferimenti alla biografia dell’autore, al mondo del teatro inglese nel momento di transizione tra il regno di Elisabetta Tudor e quello del ben più mesto Giacomo Stuart. Si riflette sulla vastità di temi e problematicità propria dell’Amleto: amore, amicizia, morte, potere, famiglia. Ma non sarebbe Lella Costa senza lo humor tutto femminilità e concretezza che trova ampio spazio nello spettacolo. Qualche battuta: «Orazio non solo era un amico leale, ma era anche simpatico, intelligente, bello e sveglio…probabilmente era gay». «Laerte. Sì, sì chiamava proprio come lui….come il figlio di Adriano Pappalardo». « Rosencratz e Guildestern sono completamente inutili e intercambiabili, un po’ come Dolce e Gabbana». L’attrice gestisce perfettamente più di due ore di monologo anche se la musica del pur blasonato Stefano Bollani si limita a sottolineare lo stato d’animo dei vari momenti, senza alcun guizzo di creatività e senza regalare grandi emozioni. Peccato che nel momento più tragico, quando Amleto viene colpito a morte durante il duello che dà inizio alla carneficina, Lella Costa comincia a mangiarsi le parole: per qualche minuto non si capisce più niente e il pathos svanisce di colpo. Salva la situazione l’espediente di rovesciare sulla scena un sacco di mele per ogni personaggio che muore. Il pavimento in discesa, il rosso luccicante dei frutti e il rumore di cavalleria in sordina garantiscono un effetto davvero teatrale.

[emidia melideo]

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