Da sempre i migliori dipinti cinesi ritraggono incantevoli paesaggi. La figura umana è spesso a lato, stilizzata, resa piccola da monti e cascate: la tradizione ha posto la natura al centro dell’universo. Così ogni cittadino che si rispetti non può che indignarsi di fronte all’emergenza ambientale che costa oggi alla Cina il 10 per cento del Pil, cioè più di 200 miliardi di dollari l’anno. Da quando il governo, con la politica della porta aperta iniziata da Deng Xiaoping negli anni ottanta, ha concesso maggiore libertà di iniziativa, a chiamare a raccolta il popolo cinese è stata soprattutto l’emergenza ambientale. Nel 1994 le organizzazioni non governative hanno ottenuto il riconoscimento legale, e la prima a registrarsi è stata un’associazione a difesa dell’ambiente, Amici della natura. Due anni dopo nascevano Villaggio globale e Casa verde. Da allora le Ong ambientaliste sono rimaste la prima forza aggregante della società civile. Nel 2005 un censimento ufficiale ne ha contate 2800, oggi sarebbero già più di 4 mila. Con un editoriale dal titolo «Mi oppongo alle Ong» pubblicato sul periodico Chinanewsweek, il giornalista Tang Jianguang ha criticato il lavoro svolto dalle organizzazioni cosiddette “no profit”, puntando il dito sui giochi di potere in cui sarebbero coinvolti anche media e istituzioni. Ma se è vero che molte Ong traggono vantaggi sponsorizzando iniziative pubbliche e private a difesa dell’ambiente, altre hanno assunto nel tempo il ruolo di intermediari fra autorità e cittadini, soprattutto nelle aree rurali dove le vittime dell’inquinamento vedono lesi i propri diritti. È passato alla storia l’impegno di due contadini, Zhang Chunshan, della provincia Yunnan, che ha dedicato la vita alla causa della deforestazione, e Tian Guirong, della provincia Henan, che ha raccolto 50 tonnellate di batterie usate. Così come nessuno ha dimenticato la campagna intrapresa nel 2004 da privati e Ong per chiedere la massima trasparenza nei lavori di costruzione della diga sul fiume Nu, nella provincia Yunnan. Greenerbeijing, la prima Ong nata su Internet nel 1998, va fiera di due progetti portati a termine con successo per la protezione dell’antilope tibetana e la salvaguardia delle praterie della Mongolia Interna. L’ultima iniziativa organizzata da Greenerbeijing è stata il forum Ecologia? Chiedilo a me per dare risposte concrete ai cittadini. Convegni, tavole rotonde, lezioni nelle scuole, accordi con le istituzioni straniere: le attività promosse dalle Ong contribuiscono in misura diversa a sensibilizzare l’opinione pubblica e a renderla partecipe degli sforzi che la Cina dovrà fare nella direzione ecologica. Le ultime notizie risalgono a pochi giorni fa e riguardano due provvedimenti che il governo attuerà nei prossimi mesi. Dal giugno di quest’anno i supermercati non potranno più distribuire sacchetti di plastica sotto i 0,025 millimetri di spessore, mentre a febbraio sarà condotto il primo grande censimento nazionale sulle fonti industriali inquinanti. Il progetto, per il quale il governo ha stanziato 737 milioni di yuan, esaminerà aziende di diversi settori, e prevede aspre sanzioni per quelle che forniranno informazioni inesatte. Si può obiettare - e in molti lo hanno fatto – che gli ecologisti cinesi non agiscono perché mossi da spirito ambientalista, ma soprattutto per interessi economici. Per esempio, il ministero dell’Economia ha calcolato che smettere di produrre sacchetti di plastica farà risparmiare 5 milioni di tonnellate di petrolio l’anno, pari a circa 2,5 miliardi di euro. E si continua a parlare delle migliaia di miniere di carbone e del cielo nero di Pechino che minaccerebbe addirittura lo svolgimento delle Olimpiadi. Ed è anche vero che non pochi ambientalisti sono stati ostacolati per aver calcato la mano su temi sensibili. Eppure, a ben guardare, il concreto attivismo delle autorità e delle Ong non può che lasciare ben sperare. L’arte moderna non ha offuscato il fascino che la natura esercita sui pittori cinesi, e le parole daziran (natura), huanbao (ecologia) e lǜse (verde) sono fra le più cliccate su Internet, e spesso slogan di eventi e manifestazioni. A ridimensionare la portata dei soliti luoghi comuni contribuiscono anche i risultati di ricerche autorevoli, come Powering China’s Development: The Role of Renewable Energy, recentemente pubblicata dal Worldwatch Institute, una delle più prestigiose organizzazioni ambientaliste americane. Nello sfruttamento delle fonti rinnovabili, si legge nel rapporto, la Cina è sulla buona strada per raggiungere e perfino superare il suo obiettivo di produrre entro il 2020 il 15 per cento dell’energia da centrali idroelettriche, sole, vento e biomasse. Un risultato che potrebbe quindi avvicinarsi all’ambizioso traguardo del 20 per cento fissato per lo stesso anno dall’Unione europea. A prova, come dice Song Xinzhou, presidente di Greenerbeijing, che «se è vero che in questo momento storico il rapido sviluppo economico è prioritario, le autorità hanno compreso la gravità dell’emergenza ambientale e dimostrano sempre più apertura su questi temi».
[marzia de giuli]
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