SHOAH

I giusti dell'Islam sconfiggono stereotipi e pregiudizi

«Durante la Shoah ci sono stati dei musulmani che hanno saputo dire no allo sterminio degli ebrei. Ripartiamo dalle loro storie. Per spazzare via tutto ciò che di retorico c’è nei discorsi sulla comune discendenza da “nostro padre Abramo”. E concentrarci su quei valori fondanti che soli possono rendere possibile, anche oggi, un dialogo tra identità diverse». Ecco sintetizzato, in uno dei 25 pannelli esposti, lo spirito della mostra Giusti dell’Islam, ospitata al Centro di cultura e attività missionaria Pime dal 24 gennaio al 10 febbraio.

Tra i circa 22mila “Giusti tra le nazioni” censiti dallo Yad Vashem di Gerusalemme, il più importante museo del mondo dedicato all’Olocausto, figurano anche 70 musulmani. «L’iniziativa del Pime nasce per celebrare la Giornata della memoria – spiega Giorgio Bernardelli, giornalista di Mondo e Missione e curatore della mostra –. Vogliamo far conoscere delle storie che vanno riscoperte nel contesto culturale di oggi. La memoria deve guardare avanti: è giusto interrogarsi sulle grandi tragedie del passato, ma bisogna anche intercettare i problemi concreti della società attuale. Oggi quella del conflitto tra identità e religioni è una questione fondamentale e da qui ha avuto origine l’idea di sottolineare il ruolo dei giusti musulmani per uscire dallo stereotipo dello scontro tra Ebraismo e Islam».
La mostra parte da una frase ritenuta valida da entrambe le religioni: «Chi salva una vita salva il mondo intero». Queste parole, presenti sia nel Talmud ebraico sia nel Corano, sono il più bell’omaggio per le figure celebrate dalla mostra. Al Pime sono ricordate le storie di due bosniaci, tre albanesi, due diplomatici turchi e un iraniano: dieci personaggi emblematici, scelti dagli organizzatori per rappresentare tutte le persone di fede islamica che hanno rischiato la vita per salvare gli ebrei. Si passa da Necdet Kent, console turco a Marsiglia, che salì su un treno di deportati e convinse le SS a liberare tutti i “passeggeri” minacciando di creare un incidente diplomatico, a Abdol Hossain Sardari, console iraniano a Parigi, conosciuto come “Schindler musulmano”, che concedeva il passaporto anche a ebrei non provenienti dall’Iran per impedire il loro trasferimento nei lager. «Sono orgoglioso degli atti eroici di questi miei fratelli – dichiara Abdallah Kabakebbji, dell’associazione “Giovani musulmani d’Italia” –. Penso che la mostra Giusti dell’Islam sia molto utile, soprattutto per i giovani. Aiuta a ragionare e a superare lo stereotipo, spesso diffuso anche dai media, dell’arabo cattivo e terrorista». L’esposizione riserva anche uno spazio di speranza all’attualità: in un pannello viene raccontata la storia di Ahmed, un ragazzino palestinese di 12 anni morto a Jenin, in Cisgiordania, il 3 novembre 2005. Aveva in mano un fucile giocattolo, ma un soldato israeliano l’ha scambiato per un’arma vera e ha sparato. La corsa in ospedale è stata inutile, Ahmed non ce l’ha fatta. I suoi genitori, su consiglio del loro imam, hanno deciso di donare gli organi e il loro gesto ha salvato la vita di 6 persone, tutte israeliane. I giusti non hanno bandiera, né religione. Anche oggi, anche in Palestina, dove in nome della religione si continua a morire.

[lucia landoni]

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