Dal camioncino della Fiom due ragazzi distribuiscono i fischietti e le bandiere rosse. Sui subwoofer rimbalzano le note di Contessa di Paolo Pietrangeli. Giuseppe ha appena ritirato l’equipaggiamento del metalmeccanico arrabbiato, ma prima di rinfoltire le fila dei ragazzi della fabbrica in coda al corteo si ferma un attimo. Si strofina le mani e guarda fisso verso il fianco del camioncino. C’è appeso uno striscione bianco su cui campeggia una scritta rossa: «Insieme al panettone dateci il nuovo contratto di lavoro». Le quattro ore di sciopero indette da Fiom, Fim e Uilm di Milano per dare una stretta alla negoziazione sul rinnovo del contratto nazionale, che si discuterà a Roma con la Federmeccanica oggi e domani, potrebbero costargli caro: «Sono ore che perdo. Arrivo a fatica alla fine del mese. Del resto con 1000 euro cosa si può fare?» Nel capannone della Alstom di Sesto San Giovanni, da un anno e mezzo Giuseppe costruisce generatori. I suoi 26 anni e un contratto di lavoro a tempo determinato che gli rinnovano di mese in mese sono un corollario quotidiano di moniti troppo duri per coltivare la pretesa di progettare un futuro: «Vorrei poter comprare una casa e andare a vivere con la mia fidanzata, ma anche lei va avanti a contratti atipici e lavoro interinale. Ho chiesto a destra e a manca per il mutuo, ma tutti dicono che non offro garanzie».
Sono pochi i metalmeccanici, stamattina. Il freddo ha decimato i meno coraggiosi. In piazza San Babila ci sono gli Rsu, i delegati sindacali di Milano e qualche centinaia di irriducibili. Destinazione via Pantano, sede della Assolombarda, «l’associazione padronale che sta frenando per la firma del nostro contratto», spiega Ernesto, Rsu dell’Alfa Romeo. I nodi chiave della piattaforma per il rinnovo del contratto rischiano di naufragare. Le posizioni rigide di Federmeccanica potrebbero chiudere al ribasso il tavolo di trattative apertosi oggi a Roma. I metalmeccanici chiedono un aumento di 117 euro, più 30 euro per i lavoratori che non fanno contrattazione collettiva. Federmeccanica, che un mese fa si era detta disposta a cedere sui 70, ora rilancia fino a 100. Due terzi da destinare ai minimi e il resto alle maggiorazioni per straordinari e flessibilità.
Ma i metalmeccanici non ci stanno. Di fronte all’intransigenza dei “padroni”, hanno scelto la linea dura: «Se non si arriverà a un accordo entro Natale, al rientro dalle vacanze gli scioperi proseguiranno ad oltranza. E i padroni devono saperlo: sono loro che ci costringono a perdere ore di lavoro per rivendicare i nostri diritti», tuona il megafono di Umberto Giudici, delegato Fiom.
Poco più in là Diego annuisce. Dopo 36 anni passati a montare ponteggi alla Marcegaglia non ne vuol sapere di barattare un aumento di stipendio con un aumento della produttività, che per Ferdermeccanica equivale a un giorno in più all’anno di straordinario obbligatorio. Con la nuova riforma delle pensioni gli restano ancora quattro anni. Ma sta camminando in mezzo al frastuono di bandiere e fischietti soprattutto per il futuro dei suoi figli: «Vorrei che riuscissero ad ottenere almeno un contratto a tempo indeterminato. La femmina lavora part time a 500 euro mensili e il maschio per Trenitalia. Ma ogni sei mesi è come giocare alla lotteria».
Anche il figlio di Diego vorrebbe sposarsi, ma, ormai, la vita sembra un’eterna sala d’aspetto. Ogni tanto arriva il tuo turno, ma non basta. Una volta contratta, di precarietà si resta portatori sani. Come Elena, 27 anni, ambizioni accademiche da storica, recenti “travagliati” trascorsi da rappresentante Fiom («dai vertici Cgil arrivarono pressioni nei giorni della consultazione sul protocollo welfare») e un presente alla Siemens di Sesto, dove è stata l’ultima a strappare la stabilità a 1000 euro al mese: «Sì, ma non mi ritengo una privilegiata. Metà di quello che guadagno se ne va per l’affitto».
Nel groviglio delle richieste dei metalmeccanici c’è anche l’argomento caldo della sicurezza sul lavoro, tornato alla ribalta dopo la tragedia alla Thyssen Krupp di Torino. Sull’altra fiancata del camioncino c’è un altro striscione: «Basta morti bianche, dignità sul lavoro». Per questo Francesco il fischietto non l’ha preso, la sua marcia di protesta è silenziosa: «Io ho 42 anni e fa un certo effetto vedere il tuo compagno più giovane di vent’anni perdere un occhio alla saldatrice».
In via Pantano, Maria Sciancati della Fiom milanese urla con la verve della “pasionaria”: «È necessario parificare interinali e dipendenti di fronte alla legge che obbligherà a passare al contratto a tempo indeterminato dopo 36 mesi. Hanno già ottenuto la detassazione degli straordinari, su questo non possiamo mollare o i nostri giovani saranno precari a vita». Più in là due ragazzi cercano di oltrepassare il cordone di poliziotti in assetto antisommossa per protestare sotto l’Assolombarda. I manganelli cominciano a mulinare. Un setto nasale e uno zigomo rotto valgono l’onore della cronaca e l’attenzione delle telecamere accalcate intorno all’ambulanza. Saranno il souvenir eroico di cui vantarsi con i compagni domattina, davanti al tornio.
[mario neri]
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