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Il Caso Raiset, uno schiaffo al pluralismo informativo

Il 21 novembre Repubblica rende noti stralci delle telefonate intercettate dalla Guardia di finanza nelle quali alcuni dirigenti e giornalisti Rai e Mediaset si sarebbero accordati su come sminuire l’agonia del Papa e la sconfitta della Cdl alle regionali. “Una cosa risaputa, c’era un evidente «ammorbidimento», una presenza nelle reti Rai di giornalisti molto ben disposti” è questo il commento di Giorgio Simonelli, docente di Giornalismo radiofonico e televisivo all’università Cattolica di Milano, secondo cui l’intrusione politica è stata forte su Raiuno e Raidue e “insopportabile” sul televideo.

I fatti si svolgono tra la fine del 2004 e la primavera del 2005. Debora Bergamini, che era stata precedentemente segretaria di Berlusconi e che era in quel momento responsabile del palinsesto Rai, si consulta con la concorrenza per scambiarsi informazioni su come trattare certi argomenti. È del 2 aprile l’intercettazione in cui la Bergamini dice che Cattaneo (allora direttore generale Rai) avrebbe chiesto di condividere i loro pareri con quelli di Vespa e a quest’ultimo di non confrontare i risultati delle regionali del 2005 con le precedenti. Il 4 aprile Cattaneo, all’arrivo dei dati, racconta che “Follini sta rompendo i coglioni”, ma prima o poi dovranno rendere pubblici i dati. Per Francesco Pira, docente di Comunicazione pubblica e sociale dell’università degli studi di Udine, il problema di base è l’etica nel giornalismo: “Bisognerebbe ricostruire una forte eticità nel rapporto tra editore, lettore e giornalista”. E di fronte a quanto accaduto non si meraviglia: “Non è accettabile che si sia ritardato l’annuncio dei risultati delle elezioni, ma del resto lo stesso avvenne quando agli interni c’era il ministro Bianco”.
“La Rai è stata da sempre preda delle forze di governo, per cui tutto quel che è avvenuto era prevedibile. In realtà il vero connubio non è quello tra Rai e Mediaset, ma quello tra Rai e maggioranza; peccato che il leader di quella parte politica coincidesse con il proprietario di Mediaset”, commenta ancora Giorgio Simonelli. Ospite a Capodarco del convegno “Il dittatore: il pensiero unico del giornalismo” Giuliano Ferrara invece minimizza: “È sicuramente evidente il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, ma del resto esistono molti altri conflitti di interessi meno visibili ma non meno importanti. E nella carta stampata ci sono molte realtà legate al centrosinistra”. Nel mondo politico le reazioni sono differenti. Berlusconi definisce inaccettabile la pubblicazione di telefonate intercettate dalla Gdf e parla di “iene e sciacalli” che avrebbero strumentalizzato la vicenda per attaccarlo. Gli fa eco Il Giornale, che parla di “caccia alle streghe” e scrive che queste intercettazioni sono state pubblicate per rallentare il dialogo per le riforme tra Veltroni e l’ex-premier e perché l’attuale maggioranza vuole impadronirsi della Rai e cacciare Del Noce. Fini, pur avverso alla riforma Gentiloni, afferma che è urgente ridefinire il sistema radiotelevisivo e ribatte che “Allenza nazionale non si iscrive né al partito di chi dice che c’è un tentativo di assoggettare la Rai a interessi esterni, né a quello di chi parla di complotto contro Berlusconi”. Bertinotti propone una commissione parlamentare d’inchiesta e dice di augurarsi che questa vicenda non influenzi il dialogo. Mastella parla di indebito utilizzo dei verbali telefonici. Secondo D’Alema il tema è all’ordine del giorno e va affrontato, per quanto, come riporta Il Corriere della Sera, secondo lui quel che è stato portato alla luce era già “del tutto ovvio” e “le intercettazioni fanno parte dell’inciviltà del paese”. Una situazione ingarbugliata, dunque, che divide esperti ed opinione pubblica. Da una parte chi ritiene corretta la pubblicazione delle intercettazioni, dall’altra chi non approva e si indigna, come Francesco Pira, che afferma che “ci sono degli spifferi nei palazzi di giustizia che non ci dovrebbero essere”. Ma il segreto istruttorio non è stato violato da Repubblica che ha pubblicato estratti dai brogliacci della Finanza già depositati e disponibili. Se ne accorge il Presidente della repubblica Giorgio Napolitano che, dopo aver affermato nella mattinata della pubblicazione della notizia che, “in linea di principio le intercettazioni sarebbe bene che restassero dove devono restare, almeno finché c’è il segreto istruttorio”, precisa in serata che la sua era comunque solo un’affermazione di principio che può non riferirsi alla vicenda. Ma lo scandalo delle intercettazioni avrebbe anche aperto un divario tra Veltroni e Prodi, con il segretario del Pd che sottolinea l’impellenza delle riforme elettorali e istituzionali e il premier che pone in cima alla propria agenda per il post-finanziaria la ristrutturazione del sistema radiotelevisivo e la soluzione del conflitto d’interessi. Intanto si attende il tempestivo intervento dell’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), che ha già annunciato un’indagine, mentre il suo presidente, Corrado Calabrò, si lascia andare a giudizi non proprio lusinghieri sulla tv di stato che definisce “un pachiderma semiparalizzato da spinte politiche”.

[giuseppe agliastro]

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