«Come fanno a fare così tanto rumore». È stato questo il primo pensiero di Gianfranco Mura nel vedere la comitiva di Jalla. L’autore del documentario Campi assediati incontrò la comitiva di ultras nella sala d’attesa dell’aeroporto di Atene. Era il marzo del 2005 e i volontari erano di ritorno da un viaggio in Palestina, nell’ambito del progetto Sport sotto assedio. Il primo era stato organizzato dalla onlus milanese nel 2004: i componenti dell’associazione avevano portato ai mondiali antirazzisti di Montecchio di Reggio Emilia, una squadra di calciatori del campo profughi di Dehieshe, nei pressi di Betlemme. Il progetto era stato finanziato da cinque curve italiane: Pisa, Empoli, Perugia, Venezia e dalla Fossa dei leoni del Milan, a cui appartenevano la maggior parte dei volontari. Da allora si è consolidata una tradizione: ogni anno una delegazione italiana va in Palestina per organizzare partite di calcio nei campi profughi. Nello stesso anno l’associazione organizza una serie di iniziative in Italia alle quali partecipano squadre palestinesi. I racconti dei volontari hanno ispirato l’idea del documentario: «Mi piacciono queste partite di calcio giocate in scenari così difficili - racconta Mura, fotografo di cinema da 15 anni - . I partecipanti parlano di calcio e non di politica. Ho voluto trasmettere questo messaggio nel documentario: lo sport come incontro, anche in Palestina. Luca Colombo, presidente di Jalla, racconta com’è andata: «Gianfranco è venuto con noi nel viaggio del 2006, il più grande per numero di partecipanti. Eravamo ben 62"atleti", divisi in tre comitive, che hanno disputato 12 incontri in altrettanti campi profughi e villaggi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza». Alla spedizione hanno partecipato anche il giornalista Carlo Giorgi, direttore di Terre di mezzo, e l’operatore Nicola Benazzo, che ha montato il filmato. Carlo Giorgi è rimasto sorpreso dai volontari di Jalla: «Sono incredibili. Vengono da tifoserie diverse, ma sono unitissimi. Sono la dimostrazione che è ancora possibile uno sport ‘diverso’. Hanno una gran voglia di condividere la condizione di chi sta peggio. La sofferenza di un popolo si può cogliere anche attraverso lo sport».
[francesco perugini]
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