CIAD

Oleodotto Ciad-Camerun, chi ha visto l'oro nero?

Parte da Doba, nell’arido sud del Ciad, e arriva fino al mare del Camerun. È l’oil pipeline, un oleodotto petrolifero realizzato nel 2003 con i fondi della World Bank e quelli di tre magnati dell’oro nero: le statunitensi Exxon e Texaco, e la Petronas malese. Una cordata da 3,7 miliardi di dollari. Nelle intenzioni, oltre alla crescita economica del paese, doveva favorire la creazione di strutture e servizi per migliorare le condizioni di vita della popolazione. Ma nulla è ancora cambiato. «Delle entrate derivanti dall’estrazione di petrolio in Ciad è arrivato poco o niente alla popolazione». A parlare è un protection officer dell’Unhcr, l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati.

Aiutava i profughi fuggiti del Darfur. Vuole rimanere anonimo, perché il ruolo che ricopre impone neutralità. «Qualche cosa è stato fatto: scuole per lo più, come risarcimento per la distruzione di interi villaggi spazzati via dal passaggio dell’oleodotto e per le famiglie dei braccianti che hanno lavorato alla costruzione degli impianti e che oggi sono disoccupati, ma di infrastrutture non se ne sono viste. Sono stati spesi invece molti soldi per finanziare progetti che devono essere ancora realizzati». I progetti sono quelli che, su pressione della Wb, il governo di N’Djamena doveva portare a termine utilizzando l’80% dei proventi dei giacimenti petroliferi: pozzi e ospedali. I soldi? «Sono finiti nelle tasche di pochi, alimentando la corruzione. Aids e siccità imperversano e lasciano in ginocchio il paese, per cui le maggiori risorse provengono ancora dalle coltivazioni di cotone e dall’allevamento. La presenza di gruppi di ribelli che fanno capo a una miriade di etnie, poi, minaccia di riaccendere la guerra civile da un momento all’altro, visto che uno di essi, il Fronte rivoluzionario per il Ciad ha rimesso in discussione la tregua firmata in Libia con il governo alla fine di ottobre».

La legge sulla redistribuzione delle entrate caldeggiata dalla Wb è stata varata, ma l’autoritario presidente Idriss Deby temporeggia per una sua effettiva attuazione. I primi soldi ottenuti con l’oleodotto erano stati spesi per acquistare armi dalla Cina e poi per comprare i leader di alcuni gruppi di ribelli che operano nel paese. La comunità internazionale e la Francia in particolare, che è anche intervenuta per scongiurare il colpo di stato tentato dal Fronte unito per il Ciad nel 2006, bombardandone le milizie alle porte di N'Djamena, sta a guardare in nome di una precaria stabilità continuamente messa in pericolo dalla conflittualità etnica e dai rapporti non idilliaci con il Sudan. In più «le multinazionali del petrolio non hanno rispettato le promesse fatte per far arrivare aiuti alla popolazione».

[mario neri]

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