Se le incontri per strada, sono semplicemente Gabriella, Raffaella, Maddalena. Ma quando si parla di fumetti e cartoni animati – in particolare di “manga” e “anime”, i due generi fumettistici di scuola giapponese – si trasformano in Falketta, Raffy e Maddy. E a cambiare non è solamente il nome, ma anche il vestito. Sono cosplayer. Fanno parte, come altre migliaia di persone in tutt’Italia, di un esercito di appassionati cresciuti a pane e cartoni animati giapponesi. I loro punti di ritrovo sono le mostre mercato del fumetto, dove si presentano indossando gli abiti e i costumi dei loro eroi di carta. Se li costruiscono loro, riproducendo gli originali fin nei minimi dettagli. Artigianalmente, s’intende, utilizzando qualsiasi materiale. «Passiamo intere notti alla macchina da cucire. È capitato di usare anche i filtri dei caloriferi, per rendere più rigidi i costumi», racconta Maddalena, 22 anni, cosplayer e studentessa universitaria di Lecco. Insieme alla sorella Raffaella, non ha voluto mancare all’inaugurazione della mostra fotografica sul mondo dei cosplayer italiani allestita al “Polifemo – Fucina del Vapore” di via Nono, a Milano. Insieme a loro, la veronese Gabriella, una della vecchia guardia: «Ho partecipato alla prima fiera del fumetto a fine anni ’90, quando il cosplay cominciava a prendere piede anche in Italia, sulle orme di quanto già accadeva da anni in Giappone – dice –. Ai primi incontri eravamo in cinquanta, se andava bene. Ora capita che agli appuntamenti più frequentati, come il “Lucca Comics” o il “Romics”, nella capitale, partecipino anche mille persone, nonostante l’assenza di sponsor e la cattiva organizzazione».
«La stragrande maggioranza sono ragazze – spiega Maddalena – però negli ultimi tempi i maschi si fanno vedere un po’ di più. Giovani e giovanissimi, dai 14 ai 35 anni, anche se non c’è un’età per appassionarsi al cosplay». «Spesso e volentieri, al “Romics” partecipa un arzillo ottantenne», aggiunge divertita Raffaella. La scelta dei costumi è libera e varia: dai personaggi di “manga” e “anime”, noti e meno noti, ai protagonisti di videogame fantasy. Ultimamente, sono di moda i filoni Il Signore degli Anelli e Star Wars. Si ispirava, invece, alla serie a fumetti Sandman, il costume con cui la veronese Giorgia Vecchini si è aggiudicata il primo premio al World Cosplay Summit di due anni fa, organizzato dalla nipponica Aichi Tv a Nagoya. Una sorta di gran galà internazionale del cosplay, con concorrenti provenienti da dodici paesi.
Un po’ hobby, un po’ passione, sottocultura. Nell’arco di un decennio, il cosplay (contrazione dei termini inglesi “costume” e “play”) si è diffuso a macchia di leopardo in Spagna, Francia, Germania, Stati Uniti, oltre che in Italia. Lo sa bene Camilla Micheli, l’autrice degli scatti in mostra alla Fabbrica del Vapore: «Sono entrata in contatto con il cosplay durante un viaggio in Giappone, nel 2005. A Tokio ho scoperto Harajuku, il quartiere dove si ritrovano i cosplayer nipponici». Lì li chiamano “otaku”, tipi strani. Adolescenti che indossano accessori e dettagli da look fumettistico anche nel tempo libero, al di fuori dai raduni ufficiali. «A muovere queste persone è una forte spinta esibizionistica, unita alla volontà di appartenenza ad un gruppo e a una sfrenata passione per il collezionismo – spiega la Micheli –. Quello che più mi affascina è l’atto creativo collegato alla trasformazione, oltre alla fusione delle caratteristiche dei personaggi fantastici con quelli reali. Il loro atteggiamento fuori “dal costume” si nutre della stessa cultura e rende queste ragazze “kawai”, termine giapponese che indica ogni cosa riconducibile alla dimensione infantile».
[fabio bordighi]
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