Cosa Nostra dopo i Lo Piccolo
A distanza di una settimana dall’arresto di Salvatore Lo Piccolo, del figlio Sandro e dei due boss a capo dei quartieri di Carini e Brancaccio, sembra esser tornata quella calma necessaria per valutare quanto acquisito e formulare la strategia per il passo successivo. Legittima l’euforia ma dannosa, alla lunga. Ora gli investigatori sono al lavoro sui “pizzini” e sul libro della contabilità del feudo dei Lo Piccolo. Un ulteriore tassello di un mosaico al quale cominciò a lavorare il giudice Giovanni Falcone.
Fermo restando che, attualmente, la cupola è davvero senza un vertice, cosa succederà adesso? È finito il periodo della “sommersione”? Si ritorna allo stragismo? Il colonnello del Ros, Mario Parente, uno dei migliori investigatori a disposizione dell’Arma, è molto cauto nell’analisi: “È presto per dire che Lo Piccolo fosse il nuovo boss di Palermo, e quindi della mafia. Certamente aveva una visione strategica ed era operativo. È stato arrestato durante un summit ma non possiamo dire che fosse già il capo, né siamo sicuri che l’autorità di Matteo Messina Denaro si esaurisca nel Trapanese. Certo, adesso c’è un vuoto. Non c’è più la leadership di Riina, né la buona amministrazione di Provenzano, che era un galleggiatore, l’ideatore della “sommersione”: la fine delle stragi e il ritorno nell’ombra per fare affari”.
È solo questione di tempo, però, e una nuova cupola si formerà. Ne è sicuro Enzo Ciconte, consulente della Commissione Antimafia: “Non c’è da aspettare molto perché si formi una nuova commissione, questo è certo. Ci sono tanti latitanti che hanno carisma e potere”. Questo spegnerebbe sul nascere ogni speculazione sulla possibile trasformazione di Cosa Nostra in un’organizzazione orizzontale sul modello della Camorra. Inquirenti e investigatori non ci credono molto. Il procuratore torinese Maurizio Laudi sostiene che la mafia siciliana “ha una natura gerarchico-verticistica nel suo dna”, un’impostazione che non può essere riprogrammata. Della stessa opinione anche Parente e Ciconte, il quale più che al “toto boss” è interessato al potenziamento degli strumenti normativi per accelerare il procedimento con cui i beni sequestrati alla mafia vengono messi a disposizione della comunità. “Un approccio militare – dice Ciconte – non basta, perché la mafia non è solo un fenomeno criminale ma anche e soprattutto sociale. La mafia può essere sconfitta solo colpendola nel patrimonio”.
[alberto tundo]
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